Bielorussia, continuano repressione e condanne per i dissidenti

Ales Bialiatsky, durante il processo, 5 marzo 2023

La testimonianza che segue è stata raccolta assieme alla videomaker di origine bielorussa Tatsiana Khamliuk.

Non possiamo dire i loro i nomi, nè possiamo sapere da dove ci rispondono esattamente. Ne va della sicurezza dei loro familiari rimasti in Bielorussia.  Di certo, possiamo dire che in esilio, sparpagliati tra Lituania, Polonia e Georgia, continuano a lavorare senza sosta. Sono gli attivisti di Viasna Human Rights Centre, organizzazione nata in Bielorussia nel 1996 per offrire assistenza finanziaria e legale ai prigionieri politici del Paese.

A poche settimane dalle condanne pluriennali dei vertici di Viasna – compreso il suo fondatore, Ales Bialiatski, Premio Nobel per la Pace 2022 – siamo riuscite a metterci in contatto con loro. Se lo aspettavano, era solo questione di tempo. Dopo la crisi socio-economica scatenata dalle elezioni presidenziali del 2020 che hanno confermato Alexander Lukashenko alla guida del Paese e i cui risultati non sono stati riconosciuti validi dall’Unione Europea, il regime ha inasprito la represssione, ha ampliato l’uso della pena di morte e introdotto nuovi strumenti come l’inclusione indiscriminata dei bielorussi nei cosiddetti “elenco degli estremisti” ed “elenco dei terroristi“.

E Viasna – come tutta la società civile e i media – è finita nel mirino.

La recente condanna di Ales Bialiatsky a 10 anni di detezione – e dei vertici di Viasna – è un segnale di forza o di debolezza del regime?

Non v’è dubbio che le continue repressioni degli ultimi anni testimoniano la profonda paura del regime di Lukashenko. Il 2020 è stato l’inizio di repressioni senza precedenti nei confronti dei cittadini per l’esercizio del loro diritto alla libertà di riunione, di espressione e di protesta contro la falsificazione delle elezioni. La raccolta e la divulgazione di informazioni sulle detenzioni arbitrarie, le torture e gli omicidi dei manifestanti pacifici e la fornitura di assistenza legale e altra assistenza ai bielorussi hanno causato la persecuzione dei difensori dei diritti umani.

È evidente che l’attività professionale di Ales Bialiatski, Valentin Stefanovich, Vladimir Labkovich, Leonid Sudalenko, Marfa Rabkova e Andrey Chapyuk è molto scomoda per il regime esistente sia a livello nazionale che internazionale. Proprio per questo motivo, i leader di “Viasna” hanno visto le accuse originarie di evasione fiscale trasformarsi in accuse più gravi di contrabbando e finanziamento delle proteste, il che ha permesso al regime di aumentare la massima pena detentiva da 7 a 12 anni.

Il potere cerca di impedire ai difensori dei diritti umani di parlare e di svolgere le loro funzioni per la protezione dei diritti dei cittadini comuni. Ma oggi, “Viasna” – nonostante sia in esilio – continua a lavorare e a fornire assistenza alle vittime delle repressioni.

Vi aspettavate una condanna cosi elevata?

La decisione del tribunale non è stata una sorpresa. I segnali che la punizione sarebbe stata estremamente severa erano già chiari quando più di un anno fa (a settembre 2022) è stato archiviato il caso penale contro Beljatskij, Stefanovič, Labkovič e alcuni altri membri di “Viasna” per evasione fiscale, ma non sono stati rilasciati. Invece, sono stati accusati di contrabbando come gruppo organizzato e di finanziamento delle proteste a favore dei manifestanti.

Se inizialmente la massima pena per uno degli articoli del codice penale era fino a 7 anni di reclusione, dopo le nuove accuse è stata aumentata a 7-12 anni. Quindi, quando il procuratore Aleksandr Korol’ ha richiesto 12 anni di prigione per il premio Nobel Ales’ Bjaljackij, non c’è stata alcuna sorpresa. E il fatto che il giudice Marina Zapasnìk abbia condannato il leader di “Viasna” a 10 anni di carcere non significa affatto che abbia preso la decisione da sola.

Da molto tempo le decisioni in casi simili sono prese ai più alti livelli e il cosiddetto processo giudiziario è solo una copertura per dare una qualche legittimità all’illegalità dei comportamenti del governo.

Quale effetto ha avuto in Bielorussia l’invasione della Russia in Ucraina?

Il fatto che le autorità bielorusse abbiano fornito il territorio e l’infrastruttura della Bielorussia per l’invasione dell’Ucraina ha posto il nostro Paese nella posizione di complice dell’aggressione militare. La Bielorussia è caduta in una dipendenza politica ed economica ancora più grande dalla Russia e subisce una significativa parte delle sanzioni adottate a seguito della guerra. Questo comporta il rischio di perdita di sovranità e una maggiore subordinazione del paese a Putin.

Nonostante i grandi rischi, i bielorussi hanno espresso la loro protesta contro la guerra, cercando anche di rallentare lo spostamento delle truppe russe lungo la ferrovia bielorussa. Ciò ha comportato arresti nelle città in cui si sono verificati atti di sabotaggio, compreso l’uso di armi, e i “partigiani delle rotaie” sono stati accusati di “atti terroristici” e condannati a lunghe pene detentive fino a 22 anni di reclusione.

Come ha reagito il regime alle proteste del popolo bielorusso contro la guerra?

Attivisti costretti a coprirsi il volto per sicurezza

Attivisti costretti a coprirsi il volto per sicurezza

Questa reazione delle autorità ha aggravato ulteriormente la situazione dei diritti umani e ampliato le basi per la pressione sui bielorussi: ora le persone possono essere perseguite penalmente non solo per avere criticato lo Stato. La nazione continua ad essere immersa in un nichilismo giuridico e la complicità del regime di Lukashenko nella guerra è diventata un catalizzatore di questo processo.

Ricordiamo che gli arresti e i processi, le perquisizioni e le convocazioni nelle strutture di potere per motivi politici, la liquidazione delle organizzazioni della società civile, la dichiarazione di libri e materiali informativi dei media indipendenti come materiali estremisti sono la realtà quotidiana della Bielorussia. Essere immersi in questo clima acuisce la condizione di paura e di diffusa illegalità in cui vive la popolazione.

Viasna oggi denuncia la presenza di 1.458 prigionieri politici in Bielorussia. C’è ancora qualcuno in grado di fare opposizione o ormai Lukashenko ha represso qualsiasi voce dissidente nel Paese?

Attualmente, qualsiasi manifestazione di dissenso in Bielorussia comporta enormi rischi. I partecipanti alle proteste pacifiche del 2020 e coloro che non sono d’accordo con l’aggressione russa contro l’Ucraina continuano a essere condannati a restrizioni e privazione della libertà. Le persone sono accusate e punite con la detenzione per “offese” a Lukashenko, giudici, rappresentanti del governo, e per “oltraggio ai simboli dello Stato”.

I partecipanti ai sindacati indipendenti, avvocati, medici, scienziati, blogger e lavoratori sono tutti perseguitati, praticamente non rimane indenne nessun settore della società. Recentemente, una serie di arresti ha colpito psicologi e psichiatri. L’attività di media indipendenti viene definita “estremista” e recentemente l’Associazione dei giornalisti bielorussi è stata riconosciuta come una “formazione estremista”.

Non c’è più alcuna organizzazione per la difesa dei diritti umani o un grande media indipendente nel paese, praticamente tutto il settore civile è stato costretto a lasciare la Bielorussia per continuare la propria attività senza la minaccia di persecuzione penale.

Durante i periodi di detenzione sono rispettati i diritti umani?

È importante sottolineare che nei luoghi di detenzione i prigionieri politici subiscono ulteriori violazioni: sono tenuti in condizioni vietate dagli obblighi internazionali della Bielorussia, sono soggetti a sanzioni disciplinari per motivi inventati, vengono registrati per scopi preventivi, vengono posti in isolamento punitivo, il regime di detenzione viene aggravato e il loro periodo di detenzione viene prolungato arbitrariamente. Il diritto alla corrispondenza viene violato e i prigionieri politici vengono privati di visite dai loro cari con pretesti inventati. Purtroppo sono frequenti i casi di suicidio e di omicidi, come successo a Vitold Ashurak, ucciso di botte in cella.

Attività di informazione Viasna all’estero

La Bielorussia continua ad essere l’unica nazione in Europa e Asia centrale in cui viene applicata la pena di morte e nell’ultimo anno sono state ampliate le basi per la sua applicazione: ora la massima punizione può essere inflitta per “tentato attacco terroristico”, che le autorità interpretano in modo estremamente ampio, così come per “tradimento dello Stato”. Tutto questo è importante per capire il contesto generale in cui si trova la società civile. Le opportunità per esprimere una posizione contraria al regime senza rischi per la libertà, la salute e la vita, sono attualmente estremamente limitate.

La condanna dei vertici di Viasna ha sollevato dichiarazioni indignate da tutta Europa, ma l’Unione europea potrebbe fare di più?

La responsabilità per le repressioni contro il popolo, compresa la condanna dei membri di “Viasna”, ricade interamente sulle autorità bielorusse. Attualmente, il regime di Lukashenko è isolato dal mondo democratico, trovandosi in una dipendenza economica e politica dalla Russia, e al momento non è incline ad ascoltare le voci provenienti dall’Occidente. Tuttavia, il sostegno al popolo bielorusso e alla società civile da parte dei politici e della società europea è estremamente importante.

La diffusione di informazioni e la solidarietà sono le nostre armi principali nella lotta contro l’illegalità che regna nel paese. Ad esempio, l’organizzazione tedesco-svizzera per i diritti umani Libereco – Partnership for Human Rights sta facendo un lavoro enorme con il lancio della campagna #WeStandBYyou, in cui i parlamentari europei diventano simbolici “padrini” dei prigionieri politici in Bielorussia e ne chiedono il rilascio.

Qual è la cosa piu’ importante che puo fare l’Europa per sostenervi?

È estremamente importante che le repressioni, le torture e le sentenze ingiuste non avvengano in silenzio. E siamo grati ai politici europei per la loro reazione univoca alla condanna di Vladimir Labkovich, Valentin Stefanovich e Ales Belyatsky a lunghe pene detentive solo perché stavano svolgendo attività pacifiche per la difesa dei diritti umani. Molti attivisti e vittime di repressioni politiche hanno trovato un rifugio sicuro nei Paesi dell’UE, molte iniziative possono continuare a funzionare grazie al sostegno europeo.

Questo è di enorme importanza e ci aspettiamo ulteriore sostegno da coloro che lottano per la democrazia in Bielorussia. La nostra sfida ora è mantenere l’attenzione sui prigionieri politici. Le persone in Bielorussia sono private della libertà e della possibilità di esprimersi, quindi le voci al di fuori del paese acquisiscono un’importanza enorme. Invitiamo tutti coloro che hanno una tribuna e una voce libera a denunciare la situazione e non accettare in silenzio la violazione dei diritti umani proprio al confine dell’Unione Europea.

Qual è oggi l’appoggio della Bielorussia alla guerra di Putin?

Le numerose voci sul fatto che le truppe bielorusse si uniscano anche alle operazioni militari e che inizierà la mobilitazione rimangono – per ora – solo timori. In generale, il livello di coinvolgimento della Bielorussia nella guerra non è cambiato quest’anno. Per quanto riguarda il coinvolgimento nel sostegno alla guerra da parte dei cittadini, è molto difficile da definire. Ottenere dati affidabili sull’atteggiamento della società in condizioni di forisssima pressione e repressione è praticamente impossibile. Ma possiamo dire che, nonostante i rischi enormi, nel febbraio 2022 le persone sono uscite per protestare per le strade delle città.

I cosiddetti “partigiani ferroviari” hanno organizzato sabotaggi sulla ferrovia, cercando di impedire il movimento di attrezzature russe. I bielorussi stanno combattendo dalla parte dell’Ucraina (compreso il reggimento di Kastus Kalinowski, che fa parte delle Forze Armate Ucraine). All’inizio di marzo 2023, un aereo russo di allarme e controllo a lungo raggio A-50 è stato danneggiato mentre si trovava in Bielorussia. Nonostante sia impossibile fare dei sondaggi rilevanti in condizioni di controllo totale e totalitarismo, i dati delle ricerche sociologiche disponibili indicano l’assenza di un sostegno incondizionato alla guerra.

Il popolo bielorusso vorrebbe avvicinarsi al modello democratico, come ha fatto l’Ucraina, o manca ancora una coscienza politica del genere?

Si tratta di due storie molto doverse. Se guardiamo alla “rivoluzione arancione” del 2004 e alla “rivoluzione della dignità” del 2013, la società ucraina difendeva i propri interessi in un paese con elezioni libere e un cambio di potere; con media liberi e diversificati, anche se influenzati da diverse gruppi politici; con la rappresentanza di diversi interessi e forze politiche nel parlamento. In altre parole, la lotta degli ucraini non avveniva solo sotto forma di attività di protesta, ma trovava anche il sostegno dei maggiori imprenditori, nell’ambito della diffusione dell’informazione e della rappresentanza politica.

In Bielorussia, invece, Lukashenko, vincendo le elezioni nel 1994, si è subito occupato della monopolizzazione del potere: sono fatti scomparire gli oppositori politici; il presidente ha avuto enormi poteri, mentre il parlamento è diventato presto una marionetta; attraverso modifiche alla Costituzione, è stata cancellata la limitazione del numero di mandati presidenziali. Durante tutto questo tempo, praticamente in ogni elezione, i candidati alla presidenza sono finiti dietro le sbarre. Lukashenko, arrivato al potere, ha subito combattuto contro i media indipendenti, molti dei quali hanno ora uno status ufficiale di “estremisti”. Inoltre, non ha esitato a mettere spotto pressione le imprese private.

Dunque, non è un tema di coscienza politica.

Esatto. Il punto è che si è sviluppato un modello di gestione piuttosto rigido, che tende alla nazionalizzazione di tutto e non accetta l’iniziativa privata e il dissenso. Pertanto, nel 2020, il popolo bielorusso si è trovato praticamente da solo di fronte ai poteri illimitati di Lukashenko e dei suoi agenti di forza. La ragione per cui è ancora al potere non è dovuta alla “mancanza di consapevolezza politica” dei bielorussi. Il nostro popolo ha dimostrato di avere una coscienza politica molto chiara – ma alla distruzione dei meccanismi politici esistenti per cambiare la situazione nel Paese.

Dopo la condanna di Bialiatsky, sarà possibile per Viasna continuare la sua missione di difesa dei diritti umani in Bielorussia?

Senza dubbio, le condanne inflitte ai nostri colleghi sono state un grande colpo e una grande prova non solo per loro stessi e per i loro cari, ma anche per l’organizzazione. Tuttavia, dopo l’arresto di Ales Belyatsky, Valentina Stefanovich e Vladimir Labkovich, è già passato più di un anno e mezzo e l’attività di “Viasna” non si è mai fermata per un istante.

Continuiamo a promuovere i valori dei diritti umani, a registrare i fatti di repressione contro il popolo bielorusso, a diffondere informazioni a riguardo, a fornire assistenza alle vittime di violazioni dei diritti umani e ai detenuti politici, a preparare rassegne analitiche sulla situazione dei diritti umani in Bielorussia e così via. Inoltre, abbiamo lanciato la campagna #FreeViasna per sostenere i nostri colleghi detenuti, al fine di informare la comunità internazionale sulla situazione dei difensori dei diritti umani bielorussi condannati a lunghe pene detentive e di chiedere alle persone di compiere azioni di solidarietà per loro.

Negli ultimi due anni le condizioni in cui siamo costretti a lavorare sono cambiate notevolmente, ma gli obiettivi non sono cambiati: eravamo e saremo a sostegno delle persone nella difesa dei loro diritti. E facciamo l’impossibile per continuare il lavoro dei nostri colleghi detenuti politici, nonostante tutto.

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