“Fa male essere russi. A nome della Russia, del mio popolo, vorrei chiedere perdono agli ucraini”. Queste parole piene di evidente amarezza aprono la prefazione italiana di “Russki Mir: guerra o pace”, l’ultimo saggio del dissidente russo Mikhail Shihkin. Dopo il Big Book Prize, il Russian Booker Prize, il Russian National Bestseller, e il Premio Strega Europeo con “Punto di fuga”, questa è la sua ultima opera: una raccolta di saggi che approfondiscono la storia contemporanea della Russia partendo dalle radici. Perché per prevedere un futuro non ci si può esimere dall’analizzare come si è arrivati alla Russia di oggi. Perché fa male essere russi? Perché una democrazia in Russia è difficile?
Il passato per comprendere il presente
Per rispondere a queste e altre domande Mikhail Shihkin analizza il passato del suo Paese a partire dall’invasione dei Vichinghi (“Il fatto che lo Stato si comporti come una potenza occupante nei confronti della popolazione risale alla sua fondazione da parte dei Vichinghi”), per poi passare all’occupazione mongola fino ad arrivare al Novecento, secolo su cui si focalizza, perché con il 1917 c’è stato uno dei primi tentativi di instaurare una democrazia. “La Rivoluzione di febbraio del 1917 dichiarò la Russia il Paese più democratico del mondo: furono aboliti tutti i privilegi corporativi, garantita la completa libertà di religione e di espressione, il suffragio femminile fu introdotto prima che in molti Paesi occidentali”. Tutto questo non durò purtroppo il tempo sperato e a breve nascerà la Čeka e un regime completamente autoritario.
Le illusioni del Novecento russo
Nemmeno la fine di Stalin e l’Unione Sovietica segneranno il cambiamento desiderato da parte del popolo russo, perché “l’Unione Sovietica era uno Stato malato, che faceva parlare molto di sé per le armi nucleari, ma non era in grado di rifornire la sua misera popolazione di cibo e beni necessari”. Fu l’arrivo della parola magica Perestrojka a creare nella gente l’illusione del cambiamento, che tuttavia rimase un’illusione perché anche con il presidente Gorbaciov la democrazia vera rimase una chimera. Così con i successivi presidenti fino ad arrivare a Vladimir Putin, motivo dell’allontanamento di Shishkin dalla Russia: “Il nuovo zar promise al popolo quello che voleva: stabilità, ordine e grandezza dell’impero. Sotto ai nostri occhi, la Russia dei ‘selvaggi anni Novanta’ si coagulò in un nuovo impero, come il latte nella cagliata”.
Il popolo russo non ha imparato cosa sia la democrazia
Secondo Shishkin, la storia insegna che in Russia non può esistere democrazia, perché il popolo stesso non ha avuto occasione di impararla o meglio di esperirla: “La maggior parte de russi non ha idea”, infatti, “di cosa sia una democrazia, perché non ha mai vissuto una democrazia e non ha mai avuto l’opportunità di imparare la democrazia. Il termine russo ‘democrazia’ ha una connotazione: caos, decadenza, promesse vuote e demagogia”.
Futuro semplice e futuro anteriore della Russia
Negli ultimi capitoli l’autore dedica le sue previsioni al futuro semplice e al futuro anteriore della Russia. Il primo è un quadro negativo segnato dalla decadenza più completa: suicidio ecologico con assenza della raccolta differenziata, riduzione costante e drastica della popolazione, assistenza medica catastrofica rispetto all’Occidente, alcolismo dilagante e stato depressivo della società. Il futuro anteriore è un capitolo dedicato a una visione sulle nuove generazioni, che vogliono dare un calcio all’eredità della storia. Una visione che lascia spazio alla speranza.
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Titolo: “Russki mir: guerra o pace?”
Autore: Mikhail Shishkin
Traduttrice: Veronica Giurich Pica
Editore: 21 Lettere Editore
Prezzo: 19 euro
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