Russi che aiutano ucraini: l’esperienza di “Casa con il faro”

I profughi ucraini scappano dalla guerra, cercano Paesi dove poter ricominciare. Per quanto inaspettato, una buona parte cerca la libertà proprio in Russia.
Secondo gli ultimi dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, da febbraio 2022 i profughi ucraini che hanno abbandonato la loro terra sarebbero quasi otto milioni, di cui due avrebbero varcato il confine con la Russia.

In questo momento è complesso tracciare i dati dei rifugiati soprattutto in Russia, dove l’informazione è evidentemente pilotata dal governo. Ciò non toglie che a Mosca, Lida Moniava, fondatrice di “Casa con il faro” (“Dom s majakom”), hospice che aiuta bambini e giovani adulti malati terminali, oltre a questo abbia aperto un nuovo fondo per aiutare i rifugiati ucraini che arrivano a Mosca. Moniava, intervistata dalla rivista russa Kommersant, ha raccontato che “le famiglie affidatarie sono già 2.500, dal 10 ottobre, data in cui l’associazione ha cominciato a lavorare”.

Da 5 a 900 volontari curatori

“All’inizio avevamo cinque curatori, poi 15, 25, 50. Ora sono 900. I primi a essere stati formati sono stati i volontari dell’hospice già esistente, ma dopo, grazie alla pubblicità e alla rete personale di ognuno dei volontari il gruppo si è fortunatamente ingrandito”. Non è stato facile. Una parte dei moscoviti è restia ad aiutare per motivi politici, “perché considerano i rifugiati che vengono in Russia non veri rifugiati. Credono che i veri rifugiati siano in Europa”. In questo momento “Casa con il faro” aiuta solo coloro che sono entrati in Russia dopo il 24 febbraio. Nonostante ci siano molte persone che si sono trasferite cinque anni fa e che vorrebbero ricevere aiuto.

Molti profughi ucraini hanno bisogno di cure

La situazione dei profughi è terribile, l’associazione raccoglie bisogni di ogni tipo e cerca di anticipare le richieste. Addirittura più di una volta ha contattato ucraini che non avevano, a loro dire, bisogno: “Siamo sette persone in un monolocale, dormiamo anche in bagno, ma abbiamo un tetto sopra la testa e il riscaldamento, per noi va tutto bene, non serve aiuto”.

Tra i rifugiati ci sono anche persone malate di cancro. Hanno bisogno di un trattamento continuo che è stato tuttavia interrotto dai bombardamenti. Ci sono molte persone con ferite di vario tipo e che avrebbero bisogno di riabilitazione. Se non si riesce a fare riabilitazione subito dopo l’infortunio, in seguito ci saranno meno possibilità di ripristinare le funzioni perdute.

In Russia, tuttavia, i rifugiati incontrano spesso difficoltà nell’ottenere cure gratuite e riabilitazione medica. “Siamo particolarmente preoccupati per i bambini. I nostri medici dicono che ci sono molti rifugiati con l’anemia da malnutrizione, che hanno quindi problemi di salute. Il nostro medico ha visitato i rifugiati e poi ha detto: prima, compriamo loro carne rossa, e poi ci occuperemo di tutto il resto”.

La meta non è importante

Può sembrare stupefacente che ucraini, in fuga da una guerra iniziata dai russi, cerchino rifugio proprio a casa del proprio carnefice. Moniava racconta a Kommersant che “le persone fanno ciò che è più facile. Seduti in uno scantinato senza cibo, senza acqua, senza elettricità, senza servizio cellulare, sotto le bombe hanno paura per le loro vite; i loro vicini sono morti, cose terribili sono accadute davanti ai loro occhi. I rifugiati, seduti nel seminterrato sotto le bombe, andrebbero ovunque, purché lì non vi sia pericolo. Se gli viene detto che in 15 minuti un autobus parte da questo o quell’edificio, decide in 5 minuti se andare o meno. Questo non è un viaggio pianificato in anticipo e la meta dell’autobus non è importante. La nostra fondazione ha un presidente del consiglio, Marina Melia, è una psicologa e mi ha parlato della piramide dei bisogni fondamentali di Maslow. Al primo livello, il più basso, ci sono i bisogni umani di aria, cibo, acqua, calore, sonno, al secondo, il bisogno di sentirsi al sicuro, e solo al terzo, il bisogno di ragionare su argomenti etici. E fino a quando i bisogni fondamentali di una persona non sono soddisfatti, una persona non è in grado di pensare ad altro”.

Una volta arrivati in Russia e la fase di emergenza è superata, alcuni decidono se proseguire in Europa o tornare nel territorio dell’Ucraina. Molti decidono comunque di restare in Russia. Una signora anziana ha spiegato il motivo a “Casa con il faro”:
“Ma quale Europa! Mi fanno male le gambe! Per me è difficile camminare”. Trasferirsi in un altro Paese è per chiunque traumatico. Lo shock culturale colpisce sempre. Spesso il muro linguistico è per molti invalicabile. Rimanere quindi in un Paese dove almeno non esista questo limite è visto positivamente dai profughi.

Registrarsi in Russia per non essere più profughi

Il primo problema da superare arrivati in Russia è la registrazione. Senza registrazione nel luogo di residenza, una persona non può richiedere pagamenti, inserire un figlio a scuola, all’asilo o trovare un lavoro. Molto spesso purtroppo i rifugiati vengono ingannati: i truffatori offrono la registrazione per denaro, le persone consegnano i loro ultimi centesimi, ma non ottengono alla fine quanto richiesto.

Altro problema con cui si scontrano i profughi è la ricerca del lavoro: sebbene infatti le leggi siano dalla parte dei rifugiati, molti datori di lavoro semplicemente non vogliono assumerli. Accogliere i rifugiati significa per loro più scartoffie e più burocrazia per la registrazione.

Non si può essere solo spettatori

Lidia Moniava ha deciso di dare una mano ai fratelli ucraini, perché non è possibile stare con le mani in mano ed essere spettatori di questa tragedia: “Stanno accadendo eventi orribili e noi ne siamo stati testimoni. Sedersi e non fare nulla è molto più difficile che fare qualsiasi cosa. I sensi di colpa e di responsabilità tormentano le persone. Questo lavoro è uno dei modi per fare qualcosa, per correggere in qualche modo le conseguenze dei terribili eventi che stanno accadendo. Molti volontari scrivono che non solo si sono ripresi dalla depressione, ma è diventato più facile per loro vivere perché non sono rimasti testimoni indifferenti, ma hanno aiutato attivamente persone bisognose”.

La strada da fare è ancora lunga e dura, come conferma ad Alley Oop Nita Mitiusceva, responsabile delle pubbliche relazioni di “Casa con il faro”: “Continueremo a fornire assistenza. Non prevediamo una diminuzione del numero di rifugiati, quindi lavoreremo come abbiamo fatto l’anno scorso. In Russia i rifugiati non hanno difficoltà con l’elettricità, ma ci sono molti altri problemi: da quelli domestici a quelli psicologici. A questo proposito, l’inverno non cambia l’essenza del nostro lavoro: ogni stagione porta le sue difficoltà”.

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