Resilienza e benessere psicologico: 3 curiosità

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Resilienza è ormai un termine di uso comune, un concetto che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni e che spesso è stato abusato, tanto da suscitare a volte un po’ di antipatia. Al di là dei diversi significati ad esso abitualmente attribuiti, all’interno della Psicologia esiste un ambito che studia proprio questa capacità. La si identifica come l’abilità – di fronte a minacce, traumi e sfide profonde – di ritrovare un equilibrio psichico e un inserimento sociale.

In questa “crisi permanente ad emergenza variabile” – come il Presidente dell’Ordine Nazionale degli Psicologi (CNOP) David Lazzari descrive il nostro tempo – la resilienza assume quindi un significato profondo. È un processo multifattoriale, dinamico ed evolutivo, studiato in particolare da Boris Cyrulnik, etologo, neurologo e psichiatra francese. Ripercorrendo il suo intervento e quello della sua collega psicologa Marie Anaut in occasione del Convegno Nazionale del CNOP tenutosi a Roma lo scorso 13 dicembre, è essenziale ricordare che non esiste un solo tipo di resilienza. Chiunque, potenzialmente, può essere resiliente, sebbene nessuno sia in grado di esserlo da solo. Vediamo questi tre punti nel dettaglio.

Non esiste un solo tipo di resilienza

Esistono due tipi di soggetti resilienti: chi supera avversità croniche (come guerra o precarietà sociale) e chi invece si trova di fronte ad un evento traumatico improvviso (come un terremoto o un lutto). In una recente ricerca condotta dall’Istituto Piepoli per il CNOP, ad esempio, tra le principali cause di malessere psicologico si identificano i timori legati al conflitto tra Russia ed Ucraina, così come quelli associati alle proprie condizioni economiche o di lavoro. In questi casi, la persona vive una prima fase di resistenza nella quale si protegge dall’angoscia e fa di tutto per conservare la propria integrità psichica, a dispetto del contesto sfavorevole. Solo successivamente, l’individuo elabora e (ri)costruisce. È in questa seconda fase che si attribuiscono senso e significato a quanto è accaduto – o sta avvenendo – e si mentalizza ciò che si sente. In questo modo è possibile parlare della situazione, andando ad inscriverla nella propria storia di vita.

Siamo tutti potenzialmente resilienti

Ogni persona è dotata di un potenziale di resilienza, ma questo può rimanere inespresso. Succede quando non sussistono le condizioni – interne all’individuo o esterne – affinché la resilienza si sviluppi. In questo caso, diventa pertanto utile chiedere aiuto a uno psicologo o psicoterapeuta, che può supportare nell’elaborazione e ricerca di senso di quanto accaduto. In questo modo, anche chi non riesce ad esprimere la propria resilienza, può essere accompagnato a farlo. È possibile identificando le risorse della persona e valorizzando le sue strategie di adattamento, individuando gli ostacoli che si frappongono al processo di resilienza (senso di colpa, vergogna, ecc). Non è un caso, dunque, se negli ultimi anni la richiesta di sostegno in tal senso sia aumentata: la già citata ricerca dell’Istituto Piepoli mette in luce che secondo il 56% degli iscritti all’Ordine degli Psicologi la propria attività professionale post-pandemia è aumentata.

Non siamo resilienti da soli

La resilienza si costituisce di risorse sì individuali, ma anche sociali e familiari. In queste ultime rientrano il sostegno di amici e colleghi, piuttosto che della comunità di appartenenza (religiosa, politica, culturale, ecc) o della famiglia e dei propri legami affettivi. La psicologia ci ricorda ancora una volta che il supporto relazionale è la più grande fonte di mitigazione dello stress. Tanto che sempre nella ricerca dell’Istituto Piepoli si evidenzia che nell’83% dei casi le difficoltà psicologiche delle persone che si rivolgono a un professionista della salute mentale sono legate alla scarsa o mancata socialità dovuta alla pandemia. È solo attraverso gli affetti, infatti, che è possibile ricevere sostegno emotivo, ma anche tangibile e operativo, grazie ad esempio all’aiuto nelle incombenze quotidiane. Solamente così si può avere tempo e spazio a sufficienza per il proprio processo di elaborazione e attribuzione di senso.

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