Lo sguardo del padre

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Pochi giorni fa ho perso lo sguardo di mio padre su di me. Della perdita di un genitore si sa che avverrà, è nella natura delle cose, ma, come per la nascita di un figlio, saperlo non basta. Deve avvenire perché sia un fatto reale: perché non sia solo teoria e si trasformi invece in una parte di noi. Essere figlia lo era, e lo è ancora. Figlia di madre, figlia di padre: due figlie diverse, che per cinquant’anni hanno adottato strategie diverse per tessere relazioni che dovevano sopravvivere all’usura del tempo e ai disequilibri che un legame di sangue trasmette sempre, di generazione in generazione. Essendo figli, si è il punto di arrivo di decine, centinaia, migliaia di storie che, combinandosi, hanno messo al mondo proprio noi. E da noi quella storia continua: prima di tutto in quel che siamo e poi in quel che generiamo, che siano altri figli o progetti, idee, pensieri, giorni.

Che ci sia o meno pace nella relazione, quella relazione fa parte di noi e ci definisce. E lo sguardo del padre, per una figlia, è una definizione forte, inevitabile. E’ il primo uomo da cui vorremmo essere amate, e quindi da cui impariamo ad amare e a farci amare. Ci insegna ad amare anche amandoci male, perché il bisogno di essere amate da lui è così forte che non c’è trucco, abilità, camuffamento che non useremmo pur di essere viste e accettate da lui. E cos’è questo, se non un potentissimo modo di amare?

Se avessi potuto parlare, al funerale di mio padre avrei detto questo: “Con lui ho imparato che l’amore non pone condizioni: ama e basta”. E questa è una liberazione: è stato liberatorio, è avvenuto in età adulta: capire che potevo amare senza condizioni. Che potevo amare mio padre anche senza riconoscermi nello sguardo che aveva su di me. Che potevo amarlo pur sapendo che mi vedeva diversa da quel che ero, e che rifiutava tutto quel che non voleva vedere. Dovevo lasciare una parte di me fuori dalla porta, farmi piccola per stare dentro al suo sguardo, cedere a continui compromessi. Ma, sembra incredibile eppure è così, questa negoziazione brutale generava amore: era l’incontro tra due volontà di amare che non accettavano condizioni.

Io volevo amarlo e basta.

E questo modo di amare ha liberato il suo amore per me, o forse ho capito che era possibile per lui fare lo stesso, e quindi ho lasciato che anche lui mi amasse allo stesso modo.

E’ stato faticoso, una delle fatiche più grandi della mia vita. E’ stata una scelta fatta ogni giorno, mai scontata: quella di accettare il suo sguardo su di me, così parziale e a volte spaventoso (si, qualche volta avevo paura anche di farmi male, e non avevo torto), perché la strada rimanesse aperta anche per il resto, perché quello sguardo comunque mi definiva, e da lì passava anche l’amore. Avrei potuto, dovuto, litigare di più, farmi sentire? Avrei dovuto affermare meglio chi sono, provare a farmi capire? Avevo invece scelto la strada del compromesso e dell’amore.

Che cosa succederà, adesso che quello sguardo non c’è più? Che cosa cambierà nel mio modo di farmi vedere, nella mia voglia di farmi capire? Sono passati solo pochi giorni, ma alcune cose appaiono già chiare e mi fanno compagnia, mentre questa nuova dimensione di figlia mi trasforma.

La prima è che lui adesso, volente o nolente, vivrà in me. Ricordo lui nel modo in cui mi muovo, lo riconosco quando vedo la mia ombra per strada, ho le stesse nocche delle dita. So che alcuni modi di pensare – e non tutti mi piacciono, ma alcuni sì, e molto – sono gli stessi, rivelando che certe attitudini sono genetiche, visto che con lui non ho vissuto mai. Ospitato da me, adesso forse sarà lui a dover tollerare molti compromessi, ma sono quasi certa che l’espressione di noi nei miei figli lo divertirà e sarà più facile da accettare.

La seconda scoperta è stata un momento di consapevolezza, uscendo di casa il giorno dopo il funerale: mi sono sentita come se mi mancasse una gamba, come se sotto di me fosse saltato un pezzo. Per la prima volta ho capito che c’era stato: che avere due genitori è comunque come reggersi sulle spalle di qualcuno, è una parte del tronco che ci tiene a terra. E ho capito che per un po’, mentre l’idea di lui si trasforma, è come se quella parte non ci fosse più. Poi forse la ritroverò, ma invece di ancorarmi a terra mi proietterà verso il cielo.

Chi diventerò, non essendo più la figlia di mio padre? Oppure lo sono ancora? Che ne sarà di tutti i compromessi: diventeranno rimpianti? E quell’amore, a cui mi ero abituata, quanto mi mancherà? Saprò essere grata per averlo avuto? O dovrò difenderlo da ciò che in questi anni ho tenuto fuori dalla porta, che prepotentemente rientrerà?

Si è spento uno sguardo che mi faceva esistere e che da nessun altro avrei tollerato che non fosse lui. Perché accettare di essere amata così ha fatto di me la persona che sono oggi: come una palestra d’amore implacabile usata ogni giorno della mia vita. Grazie papà, ti voglio bene.

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  • Monica Lombardi |

    Orfana di madre in tenera età , ho vissuto con mio padre tutta quella vita che gli è rimasta da vivere, io e lui, amore unico. Sono stata sempre figlia, mi sono sentita sempre e solo una figlia anche se nel frattempo ero diventata moglie e madre. Della sua perdita devastante ricordo i giorni dopo il funerale, quando la casa era vuota e la consapevolezza che mai piú l’avrei rivisto si faceva giorno dopo giorno sempre piú concreta. È una mancanza talmente forte che penso non si riesca mai superare. Ancora adesso, dopo vent’anni, mi ritrovo a guardare i suoi luoghi del cuore orfani della sua presenza, e mi viene quasi voglia di chiamarlo, da gridare forte il suo nome. Cari luoghi, dove mi pare ancora di sentire, di rimbalzo, la sua voce.

  • Pierangelo Bellini |

    Amare un genitore consapevolmente è decidere di affrontare un lungo viaggio. Perché il genitore impara ad amare te in potenza, e quella proiezione non lo lascia mai. Un figlio subisce il fascino di una immagine già formata, è come se questi due sentimenti si incontrassero un attimo con due asteroidi. È una materia affascinante, grazie di condividere le tue sensazioni.

  • Carlo Sorci |

    Mi hai fatto sentire padre. Grazie

  • santo |

    Articolo molto bello, sentito, reale, di piena umanità.

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