Ogni anno, a livello globale, vengono persi 12 miliardi di giorni lavorativi a causa di ansia e depressione, per un costo complessivo che si stima arrivi a circa 1000 miliardi di dollari. È quanto emerge dal recente report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in tema di salute mentale, che sottolinea l’urgente necessità di intervenire per concretizzare un cambio di rotta.
Nel 2019 quasi un miliardo di persone – di cui il 14% adolescenti – viveva con un disturbo mentale: il 31% manifestava disturbi d’ansia, mentre quasi un altro 30% sintomi depressivi. Dopo il primo anno di pandemia queste patologie sono aumentate rispettivamente del 26% e 28%, finendo per impattare non solo sul benessere delle singole persone ma anche sulla tenuta sociale ed economica di paesi, istituzioni e aziende.
La salute psicologica è infatti direttamente correlata, come ben evidenziato nel report dell’OMS, non solo all’aspettativa di vita, ai tassi di morte e suicidi e alla disabilità, ma anche alla produttività, all’assenteismo e al turnover. I suoi impatti, dunque, sono sanitari, sociali ed economici.
Non è dunque un caso che tutti i 194 Stati membri dell’OMS abbiano sottoscritto il Piano d’azione globale per la salute mentale 2013-2030, che li impegna a raggiungere obiettivi che vanno nella direzione di potenziare il benessere psicologico delle rispettive popolazioni.
Le diverse raccomandazioni sono raggruppate in quattro macro aree: rafforzamento di una leadership e una governance che si focalizzino sulla salute mentale, implementazione di politiche di assistenza a livello di comunità, sensibilizzazione e prevenzione e, infine, potenziamento nella diffusione di informazioni e ricerche nell’ambito. Gli obiettivi trasversali sono quelli di abbattere lo stigma che ancora accompagna il tema della salute mentale, prevenire i rischi ad essa associati e potenziare soluzioni e programmi di cura e assistenza.
In particolare, si invitano gli Stati membri ad attuare politiche, leggi e regolamenti volti a prevenire, proteggere e monitorare la dimensione mentale e i diritti umani ad essa associati. Un impegno politico e legislativo che possa, a cascata, dare un indirizzo preciso per il prossimo futuro. Il Piano esorta poi ad aumentare gli investimenti nei confronti della salute psicologica, non solo assicurando fondi e risorse ai settori sanitari e sociali interessati, ma anche garantendo iniziative di sensibilizzazione diffuse. In Italia, è da poco stato ufficializzato il Bonus Psicologo e si sta lavorando sul fronte della Psicologia di base, eppure, è ancora troppo poco.
Il documento chiede parallelamente di ripensare gli ambienti – abitazioni, comunità, scuole, aziende, spazi urbani – al fine di eliminare tutte quelle barriere che impediscono o limitano la partecipazione attiva di chi convive con patologie psichiche. Un ruolo attivo, in questo, lo stanno sempre più dimostrando tutte quelle organizzazioni che si dotano di servizi di supporto psicologico per le loro persone, nonché programmi di sensibilizzazione, DE&I (Diversity, Equity & Inclusion) e normalizzazione della dimensione mentale a lavoro. Tutte attività in linea con le indicazioni contenute nel Piano, che spronano gli Stati membri a intensificare l’impegno contro ogni tipo di violenza, a partire dall’educazione dei più giovani, grazie alla diffusione di programmi di educazione emotiva nelle scuole.
Infine, si pone l’accento sull’assistenza sanitaria: viene introdotto l’obiettivo di rafforzarla attraverso la costituzione di reti funzionali ed estese, il potenziamento di servizi di salute mentale di comunità e l’utilizzo del digitale. La tecnologia, infatti, viene riconosciuta come elemento indispensabile per garantire l’auto-aiuto, fornire assistenza e rendere accessibile il supporto psicologico e i percorsi di psicoterapia a distanza.
La rotta, dunque, è tracciata: nei prossimi otto anni – che ci dividono dalla data ultima individuata del Piano d’azione globale per la salute mentale 2013-2030 – avremo modo di capire se verrà mantenuta.
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