Informazioni, strumenti operativi e risorse non sono (più) sufficienti al buon funzionamento del proprio team. Alla leadership è oggi necessario comprendere le emozioni. Non far leva su di loro, quanto, piuttosto, accoglierle. Far sentire i membri del proprio team liberi di esprimerle e far percepire loro di essere compresi una volta che scelgono di aprirsi.
Questo, si traduce nella capacità – tutt’altro che scontata – di sentirsi a proprio agio in conversazioni che, tendenzialmente, a proprio agio non mettono. Come ricorda un recente articolo pubblicato su Harvard Business Review proprio su questo argomento. Non è dunque un caso se spesso avviene l’esatto contrario: si ignorano i vissuti emotivi di chi li esprime (“Pensa positivo”), si minimizzano (“Non devi preoccuparti”), si negano (“I problemi sono altri”).
Come poter accogliere in maniera efficace le emozioni delle persone con cui si lavora?
Se è vero, come già ho scritto, che i manager devono sviluppare competenze psicologiche, conoscendo però i limiti della loro influenza, ecco tre suggerimenti che permettono di essere persone – ancor prima che leader – migliori.
Riconosci
Il riconoscimento è legittimare e convalidare l’esperienza di chi ci sta di fronte. È come affermare “io ti vedo”, rendendo, chi si ha di fronte, consapevole di non essere solo.
Frasi come “so che sei in difficoltà” o “vedo il carico di stress che stai affrontando” hanno un potere enorme: liberano la persona dal peso delle sue emozioni, offrendole la possibilità di fare pace con ciò che prova.
È frequente trascorrere le proprie giornate lavorative mettendo l’emotività da parte. La si relega alla pausa tra una call e l’altra o addirittura alla sera, quando si spegne il computer. Riconoscere i vissuti del proprio team, invece, legittima il fatto che essi possano far (anche) parte delle ore lavorative. Questo, permette a sua volta di far sentire le persone maggiormente libere di esprimere le proprie emozioni, consentendo loro di non accumulare tutta quella frustrazione che inevitabilmente si ripercuoterebbe sulle attività da svolgere e sulla collaborazione.
Prova a capire
Trasformare il giudizio in curiosità è una capacità essenziale ogni qual volta ci si trova davanti a una persona che si fatica a capire. Come leader è dunque essenziale chiedere a chi è in difficoltà di raccontare di più rispetto a ciò che sta vivendo, sempre nel rispetto dell’altrui riservatezza. Dimostrare sincero interesse è possibile anche attraverso domande che spesso appaiono banali. Un “che cos’è successo?” può fare la differenza.
La difficoltà nel fare domande aperte e dirette, sta nell’assumersene la responsabilità. Una volta posto l’interrogativo, è infatti necessario anche ascoltare la risposta. E soprattutto sostenerla. Ed è qui che molto spesso i manager inciampano.
Avere a che fare con le emozioni non è banale, ma è una competenza che sappiamo può essere allenata. Da qui, la necessità di formare chi ha ruoli di responsabili sì, a fare domande, ma anche, e soprattutto, a sostenere le risposte. Altrimenti, gli interrogativi finiranno per continuare ad essere taciuti, nonostante le ore di formazione intraprese.
Offri supporto
“Se hai bisogno la mia porta è aperta” presuppone che eventuali persone in cerca di aiuto abbiano il coraggio di entrare, come sottolinea Simon Sinek in un suo intervento.
Le domande, ancora una volta, corrono in aiuto. Specialmente se concrete e specifiche. “Come posso aiutarti?” è una buona soluzione, ma capita che il collega, soprattutto in mancanza di un clima organizzativo sicuro, non si senta comunque a proprio agio ad aprirsi. Con il risultato che un “grazie, non ho bisogno di niente” finisce per essere la risposta più gettonata.
“Può aiutarti se finisco io la presentazione?” “Può esserti di supporto parlarne?” sono esempi di interrogativi più chiusi, ma in questo caso più efficaci. Alla persona è infatti sufficiente un sì e un no, che, a prescindere da quale sia la scelta, richiede una dose di coraggio decisamente inferiore rispetto ad esplicitare un proprio bisogno.
Accogliere e saper gestire i vissuti emotivi dovrebbe essere la competenza trasversale per eccellenza, per la quale, potenzialmente, non dovrebbe nemmeno servire formazione ed esercizio. Le emozioni sono infatti la prima forma di conoscenza del mondo con la quale entriamo in contatto durante l’infanzia, e definiscono la nostra intera esistenza come esseri umani. Eppure, ancora troppo frequentemente, sono proprio loro le grandi assenti nell’esercizio della leadership.
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