Supportare le donne imprenditrici e le imprese guidate da donne non è solo la cosa giusta da fare in una prospettiva sociale. È anche una delle mosse più intelligenti in una prospettiva economica. Secondo le analisi del report GPS (Global Perspectives & Solutions) di Citi pubblicato questo mese, il raggiungimento della parità di genere nella crescita delle aziende aggiungerebbe tra 1,6 e 2,3 mila miliardi di euro al PIL mondiale (circa il 2-3%). E porterebbe tra i 288 e i 433 milioni di posti di lavoro.
Lo studio, che rappresenta un’ulteriore conferma dell’attenzione lunga anni del gruppo Citi per le questioni di pari opportunità, punta a capire lo stato dell’attività imprenditoriale mondiale. Guarda alle barriere che le imprenditrici devono affrontare e le ragioni che le perpetuano. Ma anche alle sfide da considerare per sbloccarne il potenziale. Arriva quindi a offrire una serie di proposte di intervento utili che mostrano le opportunità del finanziare iniziative al femminile.
È sempre più chiaro oggi come il rilancio di una parte di economia condotta da donne permetta, a cascata, anche vantaggi diffusi alle comunità di riferimento e rappresenti un potente strumento di riduzione della povertà. Le imprese a guida femminile solitamente assumono più donne. Più che gli uomini, poi, le donne tendono a investire in educazione, salute e welfare per le famiglie e la collettività.
Finanziamenti e partecipazione
Secondo l’analisi di questo report GPS, sono due i macro ambiti in cui ricadono le barriere che frenano (quando proprio non impediscono) l’acceso e la crescita delle aziende “in rosa”. Da una parte la difficoltà nel ricevere finanziamenti. Dall’altra la mancanza di partecipazione completa delle donne alla vita pubblica e al sistema economico. Da qui, appare chiaro poi come gli ostacoli siano diffusi capillarmente un po’ a tutti i livelli e in tutte le fasi di sviluppo. A partire dall’inferiore conoscenza di nozioni finanziarie e da una minore presenza delle donne nei settori dell’innovazione. Fino al loro accesso ridotto ai sistemi di credito, alle limitazioni legali per l’imprenditorialità femminile e al persistere di norme sociali discriminanti e immutate nel tempo.
Tutto questo nonostante, come sottolinea il report di Citi, il potenziale delle aziende femminili sia confermato dai numeri. Guardando ai dati, per esempio, nel 2018 le startup guidate da donne hanno generato 78 centesimi per ogni dollaro di investimento raccolto. Quelle condotte a prevalenza maschile arrivavano a 31 centesimi. O ancora: nel 2019 private equity e fondi venture capital che presentavano team senior di investimento bilanciati per genere, hanno prodotto ricavi tra il 10 e il 20% superiori a quelli dove mancava un sufficiente livello di diversità.
Visto che i numeri da soli non catturano abbastanza chiaramente la complessità della situazione, nello studio alle analisi quantitative si affiancano i racconti delle conversazioni (definite nello studio “truly eye opening” – davvero illuminanti) con le dirette interessate, e scambi con esperti sia interni che esterni a Citi e soggetti attivi nel mercato più in generale. A fronte degli scenari tratteggiati, è chiara la necessità di intervenire su una moltitudine di piani e in tutte le fasi di sviluppo. Si legge: “supportare le imprenditrici a far crescere le loro imprese (finanziariamente e non) è importante quanto supportarle nel loro avvio. Le imprenditrici sono la chiave per affrontare le sfide globali, tra cui agevolare la ripresa post COVID-19 e rivolgere (gli sforzi) agli obiettivi di Sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite”.
Un potenziale sotto-rappresentato e sotto-utilizzato
Benché una maggiore partecipazione delle donne possa stimolare una crescita più resiliente e sostenibile, è indubbio che ancora il potenziale femminile resta sotto-rappresentato e sotto-utilizzato. Sono necessarie secondo l’analisi di Citi azioni ampie e collaborative da parte di istituzioni e comunità finanziarie, governi e settore privato. Tra queste, per esempio, si citano come cruciali:
– riconoscere l’opportunità di investire nelle imprenditrici, senza dimenticare di applicare una “lente di genere” sugli strumenti finanziari;
– supportare le dipendenti e investire nel loro talento;
– migliorare le politiche di genere e contrastare la discriminazione, anche attraverso una migliore raccolta di dati sulle donne che fanno impresa;
– investire nell’istruzione delle ragazze e nel re-training delle donne, con attenzione alle materie da cui restano ancora maggiormente escluse (le conoscenze finanziarie e le skill digitali, per esempio);
– innovare prodotti e servizi e puntare a filiere che siano “gender smart”.
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