Ecco come l’ergonomia rende più vivibile il lavoro

silviagilotta

Più un invito che un imperativo, Be Kind è il titolo del TEDx Torino di questo febbraio. Sii gentile, verso gli altri ma anche verso te stesso, e soprattutto, “pratica” questa gentilezza dove e come puoi. Ma quali sono le declinazione del dove? Nell’intervento di Silvia Gilotta, ergonoma, psicologa del lavoro e founder dell’azienda Adequat, troviamo una spiegazione pertinente al suo settore di competenza, l’ergonomia nell’ambito lavorativo.

“L’ergonomia è uno strumento che opera con gentilezza verso le persone, e lo è in quanto progetta avendo a cuore il loro equilibrio e benessere, rispettando l’unicità di ognuno”. L’ergonomia è una disciplina scientifica che si può applicare in ogni contesto dove è presente l’essere umano: si occupa dell’interazione tra individui e sistemi progettando soluzioni funzionali in un’ottica di produttività. Abbiamo chiesto a Silvia Gilotta di spiegarci meglio come funziona il suo lavoro, cosa si intende per ergonomia come strumento gentile, e cosa vuol dire essere donna nel suo settore.

Ergonomia cognitiva e organizzativa, un concetto non per tutti, ma che in realtà è rivolto a tutti. Partiamo innanzitutto da cosa vuol dire essere un’ergonoma e nello specifico come si applica al contesto lavorativo.

Essere un’ergonoma significa avere un background che deriva da qualche ambito specifico, quindi nel mio caso la psicologia. L’approccio ergonomico è un approccio sistemico, ossia si occupa dell’interazione tra le persone e gli altri elementi del sistema, all’interno dei contesti organizzativi e di lavoro, ma anche negli altri contesti di vita. Per elementi intendiamo tecnologia, l’ambiente, i processi di lavoro, operativi e decisionali. Sono necessarie competenze per fare analisi della situazione, quindi anche la valutazione dei rischi (come previsto dal D.Lgs. 81).

In base ai risultati si torna alla fase di progettazione per modificare qualcosa in modo da diminuire i rischi, sia fisici sia mentali. Lavorare in progettazione significa supportare il team di progetto affinché operi mettendo le persone al centro, tenendo conto delle loro esigenze e caratteristiche. Tutta l’area dell’usabilità, della user experience e dell’interazione con le interfacce digitali, è anche nostra competenza. Il nostro obiettivo è rendere le interazioni con gli oggetti più facili, più giuste e più a misura d’uomo in funzione dell’equilibrio e del benessere. Per me nello specifico, in ambito lavorativo.

In occasione del TEDx Torino sei stata invitata a parlare di gentilezza applicata all’ergonomia. Come dovrebbe essere un sistema gentile ed ergonomico che risponde alle esigenze di un individuo?

Sono stata invitata a parlare su come l’ergonomia possa essere considerato uno strumento gentile verso le persone. Come ho detto nel mio talk, lo è in quanto progetta avendo a cuore l’equilibrio e benessere, nel rispetto dell’unicità di ognuno. Un sistema di lavoro per essere gentile deve essere ergonomico, cioè pensato per supportare le attività delle persone. Il sistema è gentile ed ergonomico quando è progettato avendo a mente di supportare l’essere umano, quindi deve conoscerlo nel suo funzionamento e nelle sue caratteristiche. Per esempio, non bisogna progettare un sistema tecnologico che richiede troppa attenzione per l’uso. Il sistema deve aiutare a lavorare meglio fisicamente e mentalmente. Per rimanere in tema, a maggio la SIE Società Italiana di Ergonomia organizzerà a Lucca il convegno nazionale biennale, e il titolo sarà proprio “L’ergonomia gentile per la salute, la sicurezza e la felicità”.

Come sei arrivata all’ergonomia e quali difficoltà hai affrontato nella tua carriera? 

Quando ero giovane ho letto un articolo che parlava di tecnologie e stanze del futuro, ho deciso così di fare l’ergonoma. Sono di Torino e ho cercato quali fossero le università all’epoca che avevano questo insegnamento, e ho scelto psicologia. Ho sostenuto l’esame di ergonomia facendo una tesi in ergonomia, poi ho frequentato un Master e un Dottorato in psicologia applicata ed ergonomia. Mi sono iscritta all’albo degli psicologi, poiché in Italia non c’è un albo ergonomi ma esiste una certificazione europea Eur.Erg. Sono membro della Società Italiana di Ergonomia, di cui ora sono presidente per la sezione Piemonte-Valle D’Aosta.

Nella mia carriera il fatto di essere donna non sempre è risultato un fattore ottimale, soprattutto in passato quando ero più giovane, lavorando principalmente nei processi produttivi. Ora sono cresciuta dal punto di vista professionale e di competenze, mi sono affermata quindi questo non è più un problema, anche se ho sempre sostenuto che l’ergonomia è donna. Un po’ perché siamo in tante, sia in ambito di ricerca che in ambito professionale. Poi perché, la comprensione, l’apertura e l’empatia, sono caratteristiche più affini alle attitudini di una donna. Se da un lato lavorare nell’ambito industriale è stato complicato all’inizio per quanto riguarda la credibilità, ora non lo riscontro più. Anzi, ora la sensibilità per l’attenzione alle persone è riconosciuta e ricercata.

Cosa fa in pratica un ergonomo e da dove comincia?

L’ergonomo in generale viene chiamato quando ci sono dei problemi. Culturalmente però, questo approccio non è ancora molto diffuso. Veniamo chiamati quando c’è da avviare un cambiamento e fare innovazione, per lo sviluppo di un nuovo processo o una nuova tecnologia, o per capire se una tecnologia è adeguata ad uno specifico contesto. In ogni caso si tratta di una fotografia o un film della situazione attuale da un punto di vista di processi e flussi di lavoro. Valutiamo anche l’impatto delle tecnologie sulle persone in termini di accessibilità ed accettabilità. Andiamo sul campo a fare analisi, interviste, raccolta dati, focus group, questionari, dipende dal tipo di domanda progettuale. Costruiamo conoscenza affinché i decisori abbiano informazioni pertinenti, verticali e specifiche per prendere le giuste decisioni.

Nel tuo intervento hai detto che l’ergonomo si fa carico del cambiamento, nel rispetto del benessere mentale e fisico di ogni individuo. Spesso dimentichiamo di osservare l’ambiente che ci circonda e di chiederci se risponde ai nostri bisogni. L’ergonomia è quindi il futuro? E a quale tipologia di attività si rivolge il tuo lavoro? 

Siamo sempre focalizzati sul produrre ma fare ergonomia vuol dire proprio arrivare ad ottimo livello di produzione quantitativa e qualitativa attraverso il benessere delle persone. Se un individuo è in una condizione ottimale di lavoro e ha gli strumenti giusti, il contesto adeguato, la motivazione, la giusta formazione, lavora bene. Lavorando bene si produce di più. Persino le definizioni in letteratura e nella normativa esplicitano che l’ergonomia ottimizza la domanda affinché la risposta sia in equilibrio, facilitando la performance dell’intero sistema e quindi la produttività. Per questo è gentile: lavori sugli obiettivi organizzativi attraverso il benessere delle persone. Io spero che sia il futuro, ci sono i dati per dire che questo approccio è efficace.

L’ergonomia non è una nuova disciplina, è matura, abbiamo accumulato esperienza e casi di successo. Forse non siamo mai stati bravi a comunicare cosa facciamo e dove possiamo essere utili, soprattutto in territorio italiano. Al di là delle Alpi per esempio c’è un diverso valore e riconoscimento sociale, qui di meno. Però c’è anche da dire che quando avvia una sinergia con un ergonomo, in moltissimi casi diviene continuativa. In questo momento e alla luce degli ultimi anni, è fondamentale ripensare al lavoro nelle sue nuove forme. L’ergonomia è traversale, si rivolge a tutte le tipologie di impresa e si applica a qualsiasi contesto ed artefatto.

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