La musica è maschilista? Non facciamo che ripetere, cifre e dati alla mano, quanto siamo ancora lontani dal realizzare un’effettiva parità di genere, in tutti gli ambiti, dalla politica alla cultura. Nemmeno la musica si salva dalle cifre impietose: se è vero che la principale fonte di guadagno per l’industria musicale gira attorno ai concerti e ai festival, osservando la partecipazione femminile alle più importanti manifestazioni italiane si nota subito una sostanziale disparità. Escluso Sanremo, valutando i tre Festival italiani a maggior richiamo anche internazionale, e osservando solo i dati del 2019 (per tutti le ultime edizioni andate in porto), annotiamo:
- Rock in Roma, festival internazionale di musica rock: tra i 31 artisti intervenuti, solo 2 donne (nell’edizione 2018 non c’era nemmeno un’artista femminile);
- MiAmi, festival di musica indie: dei 51 artisti intervenuti, 13 donne (compresi duo e componenti band);
- Club To Club, festival di musica elettronica: tra i 28 artisti e progetti in programma, si attesta a 9 la presenza femminile.
Le artiste non ci sono, sono poche, o vengono sistematicamente ignorate? La domanda è tendenziosa e probabilmente avrebbe la stessa identica risposta che si potrebbe dare in qualunque altro campo, dalla ricerca all’editoria, dalla politica all’imprenditoria. Per quanto riguarda la musica, forse non possiamo nemmeno dare la colpa ai Festival, che sono il luogo in cui la potenza di fuoco dell’artista è fondamentale per la loro riuscita. Sono l’equivalente del luogo di potere e, come in ogni altro ambito, le donne diminuiscono via via che si sale la piramide. E questo ce lo ha dimostrato il recente rapporto Gender Diversity Index 2021, secondo cui la percentuale di donne nei cda in Europa è al 35%, e solo il 7% delle aziende è guidata da un ceo donna.
Questione di “genere” musicale
Certo, le cose cambiano in base al genere musicale. Sono più alte le percentuali di partecipazione femminile nella musica indipendente o nei generi avant-pop, disastrose nei generi più tradizionalisti, come il rock e il blues. E nel più importante Festival italiano, quello di Sanremo, gioca un ruolo fondamentale dunque la direzione artistica e la sua capacità di dare spazio ai generi musicali meno scontati. In questo va data una nota di merito ad Amadeus, che nell’edizione 2021 ha portato a esibirsi ben 10 artiste su 29, una delle cifre più “vicine” alla parità nelle varie edizioni. Tra i direttori artistici che hanno fatto meglio in tal senso: Mario Maffucci nel 1999 (6 su 12), Pippo Baudo nel 2003 (10 su 23) e Gianni Ravera nel 1983 (15 su 36). Una delle edizioni più disastrose è quella del 1979, con 5 artiste su 23. Se si esclude l’edizione del 2006, che strutturò la partecipazione dei big suddividendoli in tre categorie: uomini, donne e band. È stata effettivamente l’edizione più paritaria, con 17 artiste su 35. Poi uno dice che le quote rosa non servono.
Eppure nel 1958 ( l’edizione che vide l’autentico trionfo di Nel blu dipinto di blu, scritta da Franco Migliacci e Domenico Modugno e interpretata da quest’ultimo in coppia con Johnny Dorelli) si è riusciti a fare anche di meglio: su 15 partecipanti al Festival, ben 8 erano donne. Un’inaspettata e sorprendente maggioranza.
Ma dobbiamo davvero stupirci di un rapporto sbilanciato verso il femminile? Stare qui a fare la conta dei nomi e vedere chi ha fatto meglio? Anche perché poi in realtà di un Sanremo ciò che si ricorda di più è la conduzione. E i numeri non sono molto confortanti riguardo a presentatori e presentatrici. Nelle 72 edizioni del Festival, sono 39 i conduttori che si sono succeduti alla guida della kermesse, tra ritorni e meteore. Di questi, solo 6 donne hanno avuto il ruolo di conduttrici principali. Sono così poche che vale la pena nominarle una per una: Lilli Lembo (1961), Maria Giovanna Elmi (1978), Loretta Goggi (1986), Raffaella Carrà (2001), Simona Ventura (2004) e Antonella Clerici (2010).
Molto diverso invece il caso delle co-conduzioni, ovvero gli affiancamenti in appoggio ai mastri di cerimonia. Quelle che un tempo si chiamavano vallette e che oggi si sono sentite chiamare “figure femminili”, in un maldestro tentativo di restituire loro un ruolo che andasse al di là della figurazione. La consuetudine di mettere una donna in ruolo secondario accanto al conduttore è cominciata con la quinta edizione del Festival, nel 1955 (presentarono l’edizione Armando Pizzo e Maria Teresa Ruta). Anche se è capitato che il ruolo venisse rivestito con competenze e capacità ben oltre le aspettative. E qui andrebbe citato almeno il caso di Michelle Hunziker, che nel 2018, affiancando Claudio Baglioni alla conduzione, ne è stata la colonna portante, in quanto molto più esperta e padrona dei tempi televisivi. Ma parlando di dati, le non-protagoniste a Sanremo, nei suoi 71 anni di storia, sono state ben 114. Gli uomini in co-conduzione (figure maschili?) sono stati 28.
Ma ahimè non siamo ancora alla nota dolente numerica. La direzione artistica è forse il ruolo davvero più importante del Festival, determina la sua identità e stabilisce confini, colori e connessioni dell’evento. E va annotato che non c’è mai stata una direttrice artistica in 72 anni di Festival. C’è stata una donna in codirezione: nel 1997 Carla Vistarini accanto a Pino Donaggio e Giorgio Moroder. Qualcuno fa anche il nome di Sandra Bemporad, che in realtà ha avuto un ruolo nella commissione artistica voluta dall’allora direttore Mario Maffucci. Nient’altro da segnalare.
E così, tra fiori e lustrini, coriandoli e luci, dovremo rassegnarci a vedere confermare anno dopo anno i numeri della disparità di genere sanremese? Dal 1961 a oggi hanno partecipato al Festival di Sanremo 1938 uomini e 755 donne. A vincerlo sono stati 95 artisti e 34 artiste. Eppure vale la pena ricordare che, almeno per quanto riguarda la performance canora, Sanremo è nato sotto una stella molto femminile. In principio in gara vi erano più canzoni cantate dagli stessi interpreti. Nella prima edizione le interpreti femminili erano due su tre. Nella seconda edizione Nilla Pizzi ha conquistato l’intero podio con tre diversi brani. Vale per uno comunque. E ancora non è abbastanza.
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