Vi è purtroppo una grave miopia in questa decisione, a molteplici livelli. Il primo è facilmente intuibile:
chi più spende meno spende, recita un vecchio proverbio. Detto in termini scientifici, le difficoltà psicologiche in breve tempo cessano di essere una questione privata, trasformandosi in situazioni critiche (e dunque
costi)
per le famiglie, le aziende e la società. Da oltre vent’anni
Martin Knapp, professore di Health and Social Care Policy presso la London School of Economics, si occupa di indagare i costi dei disturbi mentali, con ricerche che dimostrano come l’investimento nella
prevenzione, a tutti i suoi livelli, abbia indubbi vantaggi economici. Tra i tanti esempi citati dall’autore vi è quello dei disturbi della condotta in età infantile: se non ricevono cure adeguate, questi bambini hanno maggiore probabilità di avere un percorso accidentato a livello scolastico e, successivamente, lavorativo e relazionale. A fronte di una riduzione della loro “produttività” – intesa come possibilità di essere parte attiva della società -, crescono i costi dei servizi che devono essere coinvolti, inclusi quelli della giustizia nei casi in cui siano commessi reati. Non investire nella prevenzione e nella cura genera dunque un
risparmio solo apparente; vi è invece certezza di
maggiori costi a lungo termine.
E’ triste constatare che altri bonus siano invece stati approvati: “bonus mobili”, “bonus TV e decoder”, “bonus rubinetti” e “bonus monopattini”. Quando siamo in ansia, sembrano suggerire questi bonus (quasi fossimo in una puntata di Black Mirror), possiamo riarredare la nostra casa, guardare una bella serie e consolarci nell’unico mondo – quello della tv – rimasto fuori dal tempo e illusoriamente privo di mascherine. E se ancora il nido casalingo o il focolare televisivo non funzionassero, potremmo sempre fare un giro su un monopattino all’aria aperta.
Sappiamo che il Nord America e l’Australia sono all’avanguardia nella ricerca e negli interventi educativi sul tema della salute mentale e che le loro tendenze anticipano quelle globali. Guardiamo allora ad alcuni dei trend per la psicologia individuati dell’American Psychological Association per il 2022:
1. Aumento della richiesta di competenze psicologiche
2. Gli psicologi delle aziende e delle organizzazioni aiutano i datori di lavoro e i dipendenti a muoversi nel nuovo mondo del lavoro
3. Mai come in passato le società di private equity investono fondi in app per la salute mentale e relativi interventi
4. Riduzione (Potenziale) dello stigma pubblico mentre personaggi famosi affrontano pubblicamente la propria battaglia per la salute mentale
5. La psicologia può aiutare le donne che sono state costrette a lasciare il lavoro a causa della pandemia
6. Crisi di salute mentale tra i bambini (comprese le scuole)
7. Massimo storico di burnout e stress
8. Gli psicologi svolgono ruoli sempre più essenziali in contesti medici e di salute pubblica
Questi trend mostrano che in alcuni paesi coinvolti dalla pandemia il ruolo della psicologia è protagonista di un interessante dibattito e di una riconosciuta centralità; da noi invece il benessere psicologico, la salute mentale – che come sappiamo non è solo assenza di malattia – e la psicologia restano ai margini del discorso politico.
Non sono bastati i volti di infermieri accasciati su tavoli per la stanchezza dovuta a turni estenuanti, il dolore per i lutti, la costante preoccupazione per la malattia e le incertezze economiche, il distanziamento fisico per molti divenuto isolamento, la crisi della scuola, lo sforzo titanico per adattarsi ad una realtà in costante cambiamento.
La decisione del nostro Governo non è lungimirante, allora, perché i costi dei disturbi non prevenuti e non trattati ricadranno a livello sociale: come ci ricorda il PNRR, non vi è ripresa, purtroppo, senza resilienza. Mai come in questo momento sarebbe utile prevenire, favorendo l’acquisizione di competenze psicologiche (ad esempio, abilità di regolazione emozionale) e intercettare i bisogni delle persone costrette a vivere una condizione di disagio. Andare dallo psicologo non può essere un lusso per pochi privilegiati.
È infine educativamente fuorviante, perché un piccolo contributo come il bonus avrebbe innescato un circolo virtuoso, contribuendo a riconoscere la legittimità delle difficoltà psicologiche.
In una vignetta che leggevo qualche giorno fa un bambino dal volto triste e angosciato dice alla mamma: “Sto male”. La mamma lo rimprovera, dicendogli: “Ancora?! Ma basta, dai, pensa a chi ha una malattia vera!”. Escludere il “bonus psicologo” dalla legge di bilancio equivale alla risposta di quella mamma. Affermando che le cure non sono necessarie, sembra ribadire la “banalità” della sofferenza emotiva e dei disturbi psichici, privandoli di legittimità. Il negazionismo del “don’t look up” continua ad avere il sopravvento, proprio come nel film di Adam McKay con Leonardo DiCaprio. Ma volgere lo sguardo altrove non aiuta a far scomparire il meteorite.