Chi pensa che un campione possa essere sempre al top 24 ore su 24, si sbaglia. Perché un campione, in questo caso una campionessa, può cadere. Ma quello che fa la differenza è la capacità di guardarsi dentro, mettere in ordine in pezzi, e ricominciare. Perché non importa come colpisci, ma come sai resistere ai colpi e come incassi. E se, quando finisci al tappeto, hai la forza di rialzarti.
Sara Cardin, classe ’87, 1° Caporal Maggiore dell’Esercito Italiano, è una Campionessa di Karate (specialità kumite) con la C maiuscola: un Mondiale nel 2014 e quattro ori europei nelle categorie di peso fino ai 55 kg. L’abbiamo vista far parte quest’anno del team di commentatori di discovery+ per i Giochi Olimpici in terra nipponica. Lei che doveva essere sul tatami a giocarsi una medaglia in una disciplina all’esordio assoluto nelle Olimpiadi. Ma che per una serie di sliding doors, si è ritrovata ad assistervi dall’altra parte della barricata. Per metabolizzare la delusione della mancata partecipazione a Tokyo, Sara è partita per un viaggio molto speciale da cui ha attinto un’energia nuova che l’ha aiutata a rimettersi in cammino.
Quest’estate abbiamo letto sui tuoi profili social di un viaggio molto speciale. Ci racconti com’è nata l’idea?
Arrivavo da un percorso impegnativo di quattro anni di preparazione olimpica, durante i quali mi sono trovata ad affrontare qualche incidente di percorso. Sono passata da essere prima nel ranking, con certe aspettative, ad avere due infortuni: uno al menisco e l’altro alla caviglia. In entrambi i casi ero tornata a vincere subito dopo essere rientrata alle gare, saltando diversi mesi di qualificazione e perdendo posti nel ranking. Poi è arrivata la pandemia e tutto è stato rimandato di un anno. Mi rimaneva la gara secca come ultima chance ma ammetto, senza vergogna, che è stata la peggiore gara della mia vita.
Vivere le Olimpiadi da commentatrice è servito per lenire un po’ il dispiacere, ma avevo bisogno di evadere con la testa per superare quel momento di grande difficoltà emotiva. Così, decido di staccare la spina per un po’ e dedicarmi agli altri. Pensavo, e speravo, che aiutando chi è più in difficoltà avrei aiutato anche me stessa. Ho contattato l’associazione FARE X BENE Onlus, di cui sono testimonial, che sostiene, promuove e tutela i diritti inviolabili della persona, soprattutto delle categorie sociali più deboli e soggette a discriminazioni come donne, bambini e persone disabili. Alla presidente Giusy Laganà avevo chiesto di “farmi sparire per un po’ in qualche angolo del mondo”. La sua proposta è stata un’esperienza di volontariato di tre settimane in Afghanistan o in Zambia. Essendo sempre stata innamorata dell’Africa, ho scelto di partire per il continente nero.
C’era qualcosa in particolare che ti aspettavi da questo viaggio?
Volevo scollegarmi da tutto lo stress e le delusioni accumulate nell’ultimo periodo, e ricaricare le batterie del mio cuore. Non sapevo cosa avrei fatto nello specifico ma è stato un bene, perché così ho potuto godere appieno di quello che mi regalava la vita. Sono partita da Roma con destinazione Lusaka. Da lì mi sono spostata verso la periferia, a Baulemi, uno slum di Lusaka. Quartiere poverissimo dove sono stata ospite nella casa di una famiglia di un ex missionario che ha fondato “In&Out of the Ghetto”, piccola organizzazione non-profit zambiana che punta a creare una comunità coesa e sottrarre i bambini alla strada.
Quando sono arrivata a Baulemi mi sono messa al servizio delle varie attività presenti nel ghetto: dalla scuola fino alle lezioni di musica e teatro. I miei primi giorni di permanenza sono stati dedicati interamente alla comunità e ai bambini.
Qual è la cosa che ti ha colpito di più dei bambini che hai incontrato?
Sono bimbi che vivono il mondo in maniera diversa rispetto ai coetanei dei Paesi industrializzati. E le esigenze sono molto diverse. Col tappo di una bottiglia, per esempio, riescono a giocarci per giornate intere. Oppure, dopo che hanno percorso a piedi 1 km per andare a prendere l’acqua con dei bidoni, giocano a ritornare a casa camminandoci sopra. Fanno uno o due pasti al giorno quando va bene. Pasti molto poveri. E poi c’è il problema dell’acqua, tra i più importanti e urgenti.
Ecco, nonostante questo e avendo assistito anche a situazioni brutte, la cosa che sorprende più di tutti è il loro sorriso. Ho incontrato bambini e adulti dignitosi. Un aspetto che ho voluto sottolineare anche nel mio racconto di quest’estate sui social. Sono bambini che non hanno sogni e fanno fatica a sognare. Ma hanno la gioia delle piccole cose, vivono alla giornata e cercano di essere felici nel presente. Il loro problema più grande è sapere cosa mangiare la sera. Ma gli dai un’unghia e sembra tu gli stia dando l’universo. Si affezionano moltissimo e non si riesce a non fare altrettanto. Una delle mia emozioni più belle è stata quella di essere chiamata per nome dopo una settimana che ero li. I primi giorni venivo chiamata musungu (che vuol dire donna bianca), poi hanno cominciato a chiamarmi Sara.
Come accoglievano i tuoi insegnamenti di karate? Che valore può avere lo sport in realtà simili?
Dopo alcuni giorni che ero li, si è sparsa la voce che ero Campionessa del Mondo di Karate e mi hanno chiesto di fare qualche lezione. Da lì a poco, della mia presenza lo ha saputo anche la tv Nazionale zambiana che è arrivata a Baulemi per raccontare quello che stava succedendo. Il problema iniziale è stato il linguaggio. Ci sono 73 lingue, una per ogni tribù. Fortunatamente, però, sia i mass media che i bambini che hanno la possibilità di frequentare la scuola, parlano inglese. Per gli altri, mi sono fatta aiutare da alcuni volontari del centro.
I miei insegnamenti si sono tradotti in una grande partecipazione, entusiasmo e un’energia che non so spiegare a parole, ma molto molto forte. Il valore dello sport in realtà come queste assume un’importanza ancora maggiore. Perché non sono abituati a fare attività sportive “codificate” e regolate da disciplina e organizzazione. All’inizio era come fare la maestra nei primi giorni di scuola, dove si imparano le regole base. Ma questi bambini sono velocissimi ad apprendere. I valori che ho cercato di trasmettere loro sono stati la passione e i sogni. Credo che parlare di questo mantenendo viva la speranza sia importantissimo. Così come lo è trattare il valore del rispetto per l’altro. Il bello dello sport è proprio questo: parlare una lingua diversa da quella della politica e della religione.
Cosa ti ha colpito delle donne che hai conosciuto e cosa porterai nel cuore?
Svolgevo le mie attività principalmente a Baulemi tra le baraccopoli. Altre volte, invece, sono andata a prestare servizio al centro islamico che si trova a 30 km di distanza. Perché il capo della tribù islamica dello Zambia era venuto a conoscenza della mia presenza al villaggio e mi aveva invitata ad insegnare Karate alle donne del centro islamico. Come donna, è stata un’esperienza molto intensa insegnare ad altre donne. Loro si sono divertite molto, ed è la cosa che a me è rimasta nel cuore più di tutte.
Ne ho incontrate tante, anche molto giovani. E alcune di loro in gravidanza. Questo mi ha fatto riflettere su tanti aspetti. In particolare, quando lo sceicco voleva che rimanessi lì per un anno ad insegnare Karate a tutte le donne del centro. C’erano stati diversi casi di violenza domestica e il suo desiderio era che le donne islamiche della sua terra avessero più sicurezza in se stesse. Non ho avuto bisogno di indossare il velo e questo mi ha fatto apprezzare ancora di più la loro apertura nei miei confronti.
Come è tornata Sara Cardin da questo viaggio?
Quando sono salita sull’aereo sono scoppiata in lacrime. Una parte di me non voleva andare via. Ho visto tanta bellezza e porto dentro tanti ricordi preziosi, tra cui l’affetto che mi lega a un bambino in particolare che non voleva andassi via. Sono stata felice di aver visto uno spaccato di mondo che non si può raccontare finché non lo si vive.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Il mio obiettivo era rimettere in ordine alcune priorità. Il viaggio è stato fatto per stare sola con me e ripensare a tante cose. Quando ti sdrai a terra in una notte africana, le stelle sono più grandi e tutto ha una luce diversa. Sono partita con tanti pezzi di Sara sparsi per il mondo e sono tornata tutta intera. Ogni tassello della mia vita degli ultimi quattro anni, oggi ha un posto preciso. E di questo mi sento sollevata. Il mio futuro è vivere con gioia nel presente.
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