Parità e inclusione in azienda: non si migliora ciò che non si misura

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Se un’azienda non definisce prima e non misura poi i propri obiettivi rispetto alla diversità, all’equità e all’inclusione, rischia di non avere una strategia efficace e soprattutto di non ottenere risultati significativi”. Valentina Mosca, appena nominata Diversity, Equity and Inclusion Solution Lead di Mercer Italia, è convinta che non si possa migliorare ciò che non si può misurare e per questo accoglie favorevolmente l’aggiornamento del Codice delle Pari opportunità, che introduce anche la certificazione della parità di genere per le aziende, obbligatoria da gennaio 2022. Come si possono preparare le aziende, e quali sono i fattori più importanti da tenere presenti?

In Mercer voi avete preceduto la normativa, elaborando un diagnostico. Di che si tratta e come funziona?
In Mercer abbiamo sviluppato un diagnostico per fotografare lo stato dell’arte di un’organizzazione rispetto alle tematiche di Diversità, Equità e Inclusione (DEI).  Questo strumento è nato da 20 anni di consulenza su questi temi e dalla serie di ricerche “When women thrive” : se un’azienda non definisce una strategia triennale sulla DEI con KPI misurabili, non otterrà risultati significativi. Il nostro diagnostico può aiutare a farlo, prima di tutto restituendo a chi lo compila degli output concreti in quattro ambiti: sulla rappresentatività nei vari livelli organizzativi (diversità); sulle pari opportunità di accesso alle carriere, di sviluppo professionale e parità salariale (equità); sul senso di appartenenza e di identificazione con l’azienda (inclusione) e – quarto ambito – sull’attuale governance e la strategia aziendale. In base ai dati inseriti, l’output indica a quale punto di maturità un’azienda si trova rispetto alla DEI.

Ma come interagirà il diagnostico di Mercer con la certificazione della parità di genere, introdotta per legge?
L’approvazione della proposta di legge che modifica il Codice delle pari opportunità è molto recente (è stata approvata in Senato lo scorso 26 ottobre, dopo l’approvazione alla Camera, ndr) e ora devono essere definiti tutti i dettagli. Una volta identificati gli eventuali enti certificatori o comunque i criteri di certificazione, inizia il “lavoro vero” cioè quello di diagnosticare, coinvolgere, agire e monitorare”.

In base alla vostra esperienza e alle compilazioni già ricevute, avete già delle evidenze aggregate sui principali punti di forza e le aree di miglioramento delle aziende?
Sicuramente c’è una buona consapevolezza a livello di comitato di direzione e top management, ma c’è ancora poca consapevolezza di quanto questi temi siano strategici non solo in termini di equità sociale ma anche di business, in modo particolare nel middle management. E in aggiunta notiamo che le aziende hanno già tante iniziative in corso ma sono disarticolate e non sinergiche, quindi rischiano di perdere di efficacia oltre che di senso. Per generare impatto, invece, una strategia DEI deve avere un approccio sistemico, in linea con la missione di un’azienda – la sua identità e i suoi valori – e la sua strategia triennale: solo così non si tratta di diversity washing, o di mera compliance, ma di una vera e propria produzione di efficienza”.

Il disegno di legge ha approvato anche la parità retributiva, per contrastare il gender pay gap: quanto è in Italia oggi e da cosa dipende?
A partire dal nostro studio annuale Total Remuneration Survey (TRS), abbiamo approfondito nel tempo la disparità salariale di genere, ancora una volta partendo dal monitoraggio dei dati per definire una strategia d’azione verso l’equità retributiva. Nel 2018, i dati ricavati dal nostro TRS riportavano per l’Italia un gap retributivo “grezzo” (il Gender Overall Eearnings Gap) del 24% ma affinando questo risultato attraverso l’analisi di alcuni fattori di differenza legittimi – come ad esempio la complessità di ruolo, il livello organizzativo, l’area professionale e la posizione geografica – la percentuale scendeva al 10%. Questo dato però include il cosiddetto Unexplained Gender Pay Gap, cioè una parte del differenziale retributivo è inspiegabile in base a parametri legittimi ed è dovuto a pregiudizi e stereotipi di genere: è proprio questa la parte di divario salariale da eliminare. Partendo dall’analisi dei fattori che a monte di questo dato ne sono la causa e strutturando poi delle azioni per mitigare e correggere questa situazione”.

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