In modo speciale per l’indotto del lusso, un anno e mezzo di pandemia ha rappresentato un problema. Se prima il 60% degli acquisti di beni personali di alta gamma nel mercato italiano erano effettuati da turisti stranieri, sotto la spinta dell’emergenza Covid a tenere in piedi il business degli artigiani del made in Italy è stato l’e-commerce.
Nello shopping dell’estate i prodotti più venduti sono stati borse a mano, portafogli, maglieria in cashmere e sandali in stile caprese. A convincere all’acquisto dell’artigianato di lusso hanno contribuito la possibilità di toccare “a distanza” un pezzo d’Italia e l’idea di acquistare un pezzo realizzato a mano, in maniera artigianale e sostenibile dai migliori artisti. Mirta, la piattaforma punto di riferimento per acquirenti e artigiani del lusso, ha rilevato un aumento del 25% del numero di ordini estivi e del 27% della spesa media da parte di acquirenti internazionali.
Il remote tourism
Con la pandemia, l’ecommerce si fa “remote tourism”. La nostalgia dell’Italia da parte dei turisti extraeuropei nell’estate 2021 si è trasformata in una voglia di visitare virtualmente le botteghe degli artigiani italiani e di comprare l’eccellenza della pelletteria, del cashmere e dell’home decor. Nel periodo giugno-agosto 2021 il 54% degli acquisti effettuati sulla piattaforma Mirta era diretto agli Stati Uniti; segue l’Asia con il 18% del totale: in questo caso, il maggior numero di acquisti è arrivato da Hong Kong, Singapore, Cina e Taiwan. L’Europa, chiaramente per la maggiore fattibilità degli spostamenti, è solo terza, con il 17% degli acquisti.
Parlando invece di volumi di spesa, la situazione cambia: l’importo medio più alto speso in shopping di artigianato italiano lo troviamo in Canada, dove la cifra ammonta a 542 euro; segue l’Australia con 502 euro e Hong Kong con 460 euro.
Complessivamente, nell’estate 2021 si è speso ben il 27% in più rispetto a quella precedente.
Un recente sondaggio condotto da Mirta su un campione di artigiani italiani del lusso ha rivelato che per il 77,8% degli artigiani la pandemia ha indotto un incremento significativo nell’utilizzo dell’e-commerce e il 62% di chi opera nel settore ha visto la propria clientela ampliarsi notevolmente grazie alla vendita online.
Il business di Mirta
Mirta è una startup cresciuta in tempo di pandemia, una piattaforma di e-commerce che supporta gli artigiani italiani e ne promuove il lavoro, facendoli conoscere in maniera diretta ai clienti in tutto il mondo. Grazie al digitale, la piattaforma apre le porte delle botteghe creando un collegamento diretto tra produttore e cliente finale, mettendo al centro le creazioni, il valore e la firma di ciascun artigiano.
“Ci proponiamo di portare beni italiani all’estero – racconta ad Alley Oop Martina Capriotti, founder di Mirta insieme a Ciro Di Lanno – e aiutare nella transizione verso il digitale le piccole realtà artigiane che durante la pandemia sono state duramente colpite. Non online e spesso abituate alla vita fisica, nel momento in cui i turisti non sono più venuti in Italia, si sono sentite in difficoltà. Abbiamo cercato di supportarle attraverso la tecnologia e l’e-commerce in un percorso di costruzione, e durante l’estate abbiamo visto un effetto maggiore”.
I due giovani, entrambi di 32 anni, si sono inventati la formula del pre-order, soprattutto quando le botteghe erano chiuse e impossibilitate a portare avanti il lavoro, dando la possibilità ai clienti internazionali di pre-ordinare dei prodotti. Dal punto di vista del cliente c’era entusiasmo nel supportare piccole realtà in difficoltà, da parte dell’artigiano era fondamentale continuare a operare anche quando il lavoro era bloccato. “Gli artigiani si sono visti cancellare tanti ordini – dice Martina – dai negozi durante la pandemia, e il fatto di portare i loro prodotti su una piattaforma attraverso la digitalizzazione, riuscire a farli vendere su un altro canale è stato fondamentale nel dare continuità all’attività, quando il loro business tradizionale stava venendo a mancare”.
Mirta nasce dalle esperienze personali di Martina e Ciro. Si sono conosciuti lavorando in consulenza strategica, poi hanno preso due strade diverse, che li hanno portati all’estero. Martina per due anni ha lavorato tra Cina e Giappone per dei brand asiatici nel mondo del fashion, dove ha avuto l’idea di Mirta. “Da una parte ho visto come il made in Italy sia apprezzato all’estero – afferma – e sia sinonimo di qualità e lusso, dall’altra come ciò che conosciamo delle piccole botteghe e delle realtà storiche, faccia fatica ad arrivare nei mercati, perché non ha i mezzi”.
Ciro si trovava a Stanford per un master su come fare startup tecnologica. Mettendo insieme le loro esperienze sono poi tornati in Italia, per creare qualcosa che avesse impatto. “Ci piace dire che siamo degli abilitatori – sostiene Martina – lasciamo all’artigiano la concentrazione sul prodotto e gli diamo quei mezzi tecnologici che possono permettere di arrivare nei mercati lontani, dove c’è voglia di questa tipologia di made in Italy”.
I dati dicevano che su 60.000 artigiani, il 60% non era online: Martina e Ciro hanno preso questa fetta di produttori italiani, per aiutarli nella digitalizzazione, che ora rappresenta la normalità.
Su cosa si fondano i settori trainanti e più rappresentativi del made in Italy? Su un know-how manifatturiero e su profili professionali di altissima esperienza. “Sicuramente il settore moda – descrive Martina – rappresenta la principale leva trainante del comparto, grazie alle 80 mila micro e piccole imprese dei settori del tessile, dell’abbigliamento, della pelletteria, dell’occhialeria e della gioielleria”. Ma è l’apprezzamento internazionale l’elemento cardine: se l’artigianato di lusso è così amato all’estero lo si deve ad una nuova generazione di imprese, che hanno dimostrato di saper organizzare “quel saper fare sedimentato nella cultura italiana dell’artigianato all’interno di processi creativi e produttivi in linea con le richieste di un consumatore cosmopolita. L’attenzione al digitale ne è una prova”.
Sull’imprenditoria italiana Martina osserva esserci un grande fermento a livello femminile, con founder donne o ragazze che lavorano in start up digitali.
“E’ un momento – conclude – di crescita collettiva anche all’interno della nostro team, dove tra 35 persone la metà sono donne donne coraggiose, che hanno un livello di conoscenza e una passione per la tecnologia. Per affermarsi, è necessario avere voglia di partecipare alla rivoluzione digitale”.
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