Parità salariale, approvato dal Senato il disegno di legge

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Non è “comune” che nel passaggio da una Camera all’altra l’approvazione di un disegno di legge impieghi meno di 15 giorni. Che sia accaduto con il provvedimento sulla parità salariale tra donne e uomini dimostra l’urgenza e la concretezza che questo Parlamento, d’accordo tutte le forze politiche, ha voluto riconoscere all’incrocio tra i due assi fondamentali per l’uscita dalla crisi pandemica e per la crescita del Paese: lavoro e parità di genere. Nella consapevolezza piena e fattiva che senza uguaglianza “di fatto” tra donne e uomini non potrà esserci ripresa e non potrà esserci sviluppo sostenibile e innovativo.

Considero un fatto politico di straordinario valore e significato il raggiungimento di tale obiettivo reso possibile dalla volontà unitaria, pur nelle differenze di parte, di dare all’Italia una legge di civiltà per il superamento delle discriminazioni e disuguaglianze di genere, per il riconoscimento della libertà delle donne nel poter scegliere lavoro e famiglia e non tra lavoro e famiglia e insieme una legge che, grazie a un paritario riconoscimento economico e quindi sociale del lavoro delle donne, libererà, secondo tutte le stime nazionali e internazionali, il potenziale necessario alla crescita del Pil, del benessere e di tutta la nostra economia.

Una legge, fortemente voluta dal Partito Democratico, frutto dell’impegno e del confronto costante, attivo e proficuo tra tante donne dentro e fuori il Parlamento, ispirato ai valori che le nostre Madri costituenti, penso in particolare a Nilde Iotti e Tina Anselmi, vollero fossero iscritti nella Costituzione e che ne attua i principi fondamentali. Con questa legge, infatti, si dà concreta realizzazione all’uguaglianza, di fatto, tra i generi di cui parla l’articolo 3 e alla parità di diritti e di retribuzione tra lavoratrici e lavoratori di cui parla l’articolo 37 che da prima ministra donna del Lavoro Tina Anselmi pose alla base della legge 903 del 1977 “Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro” che all’articolo 2 afferma “La lavoratrice ha diritto alla stessa retribuzione del lavoratore quando le prestazioni richieste siano uguali o di pari valore. I sistemi di classificazione professionale ai fini della determinazione delle retribuzioni debbono adottare criteri comuni per uomini e donne”.

Da allora il percorso di emancipazione, di autonomia e libertà delle donne, innescato e sostenuto, anche allora, dentro il Parlamento attraverso interventi normativi (oltre alla parità salariale, dalla legge sul divorzio alla riforma del diritto di famiglia, alla legge sulla tutela sociale della maternità e l’interruzione volontaria di gravidanza) e fuori grazie al movimento femminista, non si è mai interrotto: le donne hanno ottenuto diritti, spazi, opportunità ma senza arrivare ancora a uno scardinamento strutturale degli stereotipi di genere che determinano, ancora oggi, la divisione dei ruoli tra donne e uomini dentro la società.

Stereotipi che hanno contribuito ad aumentare ingiustizie e disuguaglianze durante la pandemia di Covid quando proprio le donne lavoratrici, e soprattutto le madri lavoratrici, hanno pagato il prezzo più alto della crisi occupazionale o perché impossibilitate a sostenere da sole il peso del lavoro e cura della casa, dei figli, degli anziani h 24 o perché, da precarie o con contratti part time non volontari, sono state le più colpite dalla perdita di posti di lavoro nella misura del 70% nel 2020.

Questa legge è dunque “parte” della risposta, sia in termini culturali che di strumenti concreti, che il nostro Paese deve dare a un’esigenza e a un’urgenza di riequilibrio di un sistema che penalizza le donne nella distribuzione dei tempi di vita e di lavoro, nelle opportunità di carriera, nei salari che oggi possono essere più bassi, rispetto a quelli degli uomini, addirittura del 20% a parità di mansioni e di ore lavorate: “uno dei peggiori gap salariali tra generi in Europa” come lo ha definito anche il premier Mario Draghi nel suo discorso programmatico al Senato nel febbraio scorso.

Cosa stabilisce la legge

Nello specifico con l’articolo 1 si rende più efficace l’informazione e il controllo delle Camere sull’applicazione della legislazione in materia di pari opportunità; si valorizza il ruolo della consigliera nazionale, che procederà a trasmettere ogni due anni una relazione di monitoraggio sulla disparità di genere in ambito lavorativo.

L’articolo 2 aggiunge tra le discriminazioni indirette (cioè quei comportamenti apparentemente neutri che possono mettere le donne in quanto tali in una posizione di svantaggio) la modifica delle condizioni e dei tempi di lavoro che sfavoriscono in ragione del sesso e delle esigenze familiari.

L’articolo 3 interviene sulla disciplina del rapporto sulla situazione del personale per la verifica del rispetto del principio della parità di genere da parte delle imprese sia pubbliche che private con riferimento ai processi di selezione e reclutamento, all’accesso alla qualificazione e alla formazione professionale, nonché alle misure adottate per promuovere la conciliazione di tempi di vita e di lavoro. Tra le maggiori novità sono da sottolineare l’estensione dell’obbligo di redazione del rapporto biennale anche alle aziende con più di 50 dipendenti; la pubblicazione, in chiave di trasparenza, sul sito internet del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali dell’elenco delle aziende che hanno tramesso il rapporto e di quelle che non lo hanno trasmesso e sempre per garantire trasparenza specifiche modalità di accesso al rapporto da parte dei lavoratori e delle rappresentanza sindacali nel rispetto della tutela dei dati personali; le modalità di trasmissione alla consigliera o consigliere nazionale di parità e consigliere e consiglieri di parità regionali e delle città metropolitane dell’elenco delle aziende tenute all’obbligo entro il 31 dicembre di ogni anno e specifiche sanzioni per rapporti mendaci o incompleti o per inottemperanza oltre i 12 mesi.

Con l’articolo 4 invece viene istituita la certificazione della parità di genere per attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere. Gli sgravi fiscali fino a 50 mila euro per le aziende che ottengono tale certificato sono descritti all’articolo 5.

Si rafforza anche il quadro sanzionatorio. Si prevede che la sospensione per un anno dei benefici contributivi goduti dall’azienda si applichi nel caso di inottemperanza protratta per oltre dodici mesi; inoltre, si attribuisce all’Ispettorato nazionale del lavoro il compito di verificare la veridicità dei rapporti, stabilendo, nel caso di rapporti mendaci o incompleti, una sanzione pecuniaria.

Infine, l’articolo 6 dispone l’equilibrio di genere negli organi delle società pubbliche non quotate in mercati regolamentati.

Un articolato coerente anche con la strategia Ue per la parità di genere 2020-2025 che punta ad aggredire le cause profonde del gender pay gap e quindi la bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro per la mancata condivisione tra donne e uomini dei tempi e delle responsabilità famigliari oggetto anche di un altro disegno di legge, a prima firma Nannicini Fedeli, presentato nei mesi scorsi in Senato, il lavoro di cura non retribuito, il maggior ricorso al part time involontario e le carriere discontinue.
Una legge che – insieme alla proposta di legge sopra citata che prevede congedo di paternità obbligatorio a 5 mesi, congedi facoltativi a 12 mesi perfettamente paritari, part time e lavoro agile agevolati ma solo se di coppia, sgravi contributivi per le aziende e manager della condivisione oltre che servizi territoriali rafforzati – segna un punto di svolta pratica e culturale ma che dovrà trovare piena applicazione e sostegno anche nelle politiche che devono attuare il Pnrr e in scelte di sistema che individuino nel superamento delle disuguaglianze di genere e nell’aumento dell’occupazione femminile stabile e di qualità obiettivi prioritari e strategici per la crescita di tutto il Paese.
Per una vera svolta serve infatti una visione politica di sistema e di lungo periodo capace di realizzare gli impegni assunti anche a livello internazionale per accrescere l’empowerment femminile attraverso la formazione, la partecipazione e la piena condivisione delle responsabilità tra donne e uomini nella famiglia, come in politica e nelle imprese.

Imprese che devono essere accompagnate, come avviene con questa legge, attraverso il cambiamento e sostenute nell’adottare le misure necessarie per essere protagoniste del cambiamento stesso in senso positivo insieme a tutti i soggetti, pubblici e privati, sindacali, datoriali, associativi, che a livello nazionale e locale, insieme alle cittadine e ai cittadini, devono concorrere agli obiettivi di sviluppo sostenibile che ci siamo dati e che sono iscritti nel Pnrr, nel Next Generation Eu, nell’Agenda 2030 dell’Onu.