“Donna casalinga” e “uomo con i pantaloni”, gli stereotipi resistono fra gli adolescenti

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Dall’uomo che deve mantenere la famiglia e comandare in casa alla donna che deve assolvere al suo ruolo “naturale” di mamma e moglie e accudire i figli; dal tradimento femminile considerato più grave di quello maschile al perdurare di atteggiamenti discriminatori nei confronti delle ragazze con tolleranza nei confronti di sessismo e omofobia. Gli stereotipi di genere sono ancora oggi duri a morire, ma se ad esserne ingabbiati sono gli adolescenti allora la questione diventa allarmante, soprattutto se trovano consenso nello stesso universo femminile. I ragazzi italiani, vivono ancora permeati da comportamenti tradizionalisti e antiquati e dalla forte rigidità dei ruoli di genere, che hanno solidissime radici culturali difficili da estirpare. Basti pensare per esempio a come, ancora oggi, molti libri di scuola dipingono i generi.

Secondo i risultati della ricerca ‘Gap, giovani alla prova’, svolta dall’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Irpps) condotta su oltre 3mila studenti e studentesse delle scuole superiori, 4 ragazzi su 10 ancora ritengono che debba essere l’uomo a mantenere la famiglia, ma a pensarlo non sono soltanto i maschi, ma anche il 25% delle studentesse. Inoltre, ben 1 maschio su 4 si dice convinto che debba essere l’uomo a comandare in casa e 1 su 5 continua a ritenere il tradimento femminile più grave di quello maschile. Come contraltare c’è da dire però che sembra essere superato uno dei più classici stereotipi: per il 90% dei giovani anche gli uomini, non solo possono, ma anche devono svolgere le faccende domestiche.

“Scorciatoie cognitive dure a morire, creano un’immagine falsata della realtà”
Secondo il sociologo Antonio Tintori, referente del gruppo di ricerca Mutamenti sociali, valutazione e metodi (Musa) del Cnr, gli stereotipi di genere “creano un’immagine rigida e falsata della realtà sociale. Noi le definiamo ‘scorciatoie cognitive’, perché rappresentano un’ipersemplificazione delle relazioni umane, sono idee frutto di una specifica costruzione sociale, riduttive, poco affaticanti, che trovando però largo riscontro nelle opinioni della popolazione appaiono come vere. Sono duri a morire perché anche se sono solo un costrutto vivono di una persuasione occulta fortemente impermeabile alle disconferme”.

“La famiglia responsabile principale della riproduzione dei ruoli di genere”
I fattori che determinato la riproduzione degli stereotipi di genere nelle nuove generazioni, spiega Tintori, sono molteplici, ma “si ritrovano prevalentemente nel processo di socializzazione primaria”, ovvero nella famiglia. Per il sociologo il responsabile principale della sopravvivenza, e dunque del perpetuarsi, di tali condizionamenti sociali, “è la famiglia, che è senza dubbio il principale luogo di riproduzione delle disuguaglianze sociali”. In altre parole, prosegue Tintori, la famiglia, propone spesso “una lettura della realtà sociale distorta e costretta in confini percettivi predefiniti, rigidi e falsi, così gettando le basi cognitive per l’accettazione e la riproposizione delle condizioni di discriminazione ed esclusione che nel corso della vita adulta le donne si trovano ad affrontare in ambito familiare e lavorativo”.

La pandemia ha acuito gli stereotipi di genere
Oltre alla famiglia, sostengono l’idea dell’esistenza di questi condizionamenti anche l’area di residenza (maggiormente il Mezzogiorno), la tipologia scolastica frequentata (in particolare gli istituti tecnici e professionali), il credo religioso e lo status culturale del gruppo dei pari. “Come è stato dimostrato da grandi indagini nazionali condotte nell’ambito dell’Osservatorio sui mutamenti sociali da Covid19 dal gruppo MUSA del CNR nel corso del lockdown del 2020 – dice ancora Tintori – la pandemia, e di conseguenza il distanziamento fisico e il confinamento domestico, ha addirittura rivitalizzato la stereotipia di genere, e pertanto i ruoli di genere da questa prescritti. Ci troviamo dunque oggi a dover far fronte a uno scenario ancora più complicato di quello del recente passato, proprio per via di uno ‘scivolamento’ regressivo in un passato mai abbandonato dove vive forte l’idea della supposta subalternità delle donne agli uomini, dell’esistenza di un ruolo naturale della donna, quello di madre e moglie, e dunque il germe che origina pregiudizio, discriminazione e violenza nei confronti delle donne”.

Gli atteggiamenti stereotipati si confermano durante il lockdown
Una buona dose di stereotipi di genere fra gli adolescenti è emersa, infatti, anche durante la prima e più severa fase di lockdown nel 2020. Secondo la prima indagine condotta nell’ambito dell’Osservatorio MSA-COVID-19 durante la fase 1 in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e la Fondazione Movimento Bambino Onlus, anche per i giovani tra i 18 e i 21 anni gli stereotipi sono ancora fortemente radicati e li si rintraccia con chiarezza in specifiche affermazioni che sono state utilizzate in quel periodo. È infatti pari al 25,7% la quota degli adolescenti che nella più rigida fase di distanziamento ha ritenuto giusto che fosse in primis l’uomo a doversi distrarre e dunque ad uscire per fare la spesa o per altre esigenze domestiche (di cui il 17,1% di femmine e il 37,3% di uomini). Allo stesso modo il 19,9% ha concordato nel fatto che sia comprensibile che l’uomo possa perdere la pazienza in una simile situazione (di cui il 14,5% femmine e il 27,2% maschi). Inoltre, ben il 18,4% del totale con picchi del 23,3% fra i maschi e del 14,8% fra le femmine hanno visto il forzato rinchiudersi dentro il focolare domestico come la possibilità per la donna di riacquistare il suo ruolo naturale di mamma e di moglie, rispolverando quella che è l’immagine più emblematica della stereotipia di genere, ovvero l’idea per la quale la donna è portatrice di un suo ruolo naturale che risiede nell’essere appunto madre e moglie. E di conseguenza è sempre la donna che deve accudire i bambini per il 10,3% degli intervistati, e a pensarlo sono soprattutto i maschi (37,3%).

I ragazzi tollerano sessismo e omofobia
Fra i ragazzi poi c’è una certa tolleranza verso il sessismo e l’omofobia. Il primo è ritenuto un atteggiamento degno di rispetto e non giudicabile negativamente se non contestualizzato, da almeno uno studente su 10. Sono i maschi a presentare una tolleranza al sessismo decisamente superiore alle femmine (13,4% contro 5,4%). E addirittura sembra essere diffuso un atteggiamento di maggior tolleranza nei confronti dell’omofobia: questa può essere definita presente in 1 adolescente su 4, in particolare tra i maschi, ma non solo (32,7% dei maschi e il 14,6% delle femmine).
Dall’indagine emerge, inoltre, che le ragazze, in ambito scolastico, sono vittime di varie forme di discriminazione e violenza: sono soggette all’esclusione dal gruppo il 40% delle studentesse contro il 20% degli studenti, il 31% delle adolescenti subisce insulti per l’aspetto fisico contro il 17% dei ragazzi, almeno 1 studentessa su 10 viene offesa in quanto donna.

“L’educazione arma contro gli stereotipi, la scuola gioca un ruolo di primo piano”
Insomma, gli stereotipi di genere hanno solidissime radici culturali consolidatesi in tanti anni e secondo Tintori solo l’educazione potrà sconfiggerli. Educazione però – osserva il sociologo – intesa nel senso stretto del termine, e cioè come processo che libera le nostre migliori e più genuine energie dall’interno, e non certo come ulteriore elemento di indottrinamento. L’educazione può produrre spirito critico, aprire gli occhi, rendere consapevoli, scardinare il meccanismo riproduttivo di questi condizionamenti favorendo la libertà cognitiva delle più giovani generazioni. La scuola, in questo, dovrà avere un ruolo sempre più di primo piano, proprio per riequilibrare le risorse distorsive spesso dispensate ai più piccoli dalle famiglie in termini di incorporazione di regolarità sociali”.

 Il gruppo MUSA del CNR, riferisce Tintori, ha avviato proprio questo mese nuove attività di ricerca, educazione e formazione, nell’ambito dell’Osservatorio sulle Tendenze giovanili. In particolare, “saranno effettuate innovative ricerche nel campo psicosociale in scuole primarie e secondarie di secondo grado d’Italia”. Tra i temi trattati “primeggia la devianza sociale, a partire dal cyberbullismo, che sta esplodendo per via dell’iperconnessione indotta dalla diffusione del Covid19 e dalla trasposizione dell’interazione sociale dal piano reale a quello virtuale, e quindi l’influenza dei condizionamenti sociali, in particolare la stereotipia di genere, e quella etnica, sulla produzione di atteggiamenti e comportamenti. Queste nuove attività di ricerca sono state accuratamente studiate al fine di produrre dati di elevata affidabilità e offrire già nel giro di pochi mesi una fotografia dettagliata della condizione giovanile in Italia, con il supporto di proposte di politiche sociali e di interventi finalizzati a mitigare l’influenza dei principali fattori distorsivi e devianti del comportamento che saranno identificati per mezzo della tecnica di scenario planning Delphi MIX del CNR-Irpps”.

 

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  • Lorenzo |

    La Scuola italiana è stata totalmente femminilizzata.
    87% di insegnanti donne e solo il 13% uomini.
    Negli Asili nido si arriva intorno al 99,3%, nelle Scuole primarie al 97%.
    Portando gravi danni di apprendimento sugli studenti di sesso maschile che infatti sono coloro i quali abbandonano di più, hanno rendimenti inferiori, ripetono gli anni scolastici in numero maggiore, si diplomano meno e si laureano meno.
    La Scuola è la prima causa di discriminazione di genere e il peggior esempio per le giovani generazioni di uguaglianza di genere.
    Altro che modello per insegnare ai giovani come eliminare gli stereotipi di genere, la Scuola è l’esempio di discriminazione di genere inverso. Discrimina gli uomini e li forma in modo minore e sbagliato.
    Domando: come mai non ne avete parlato, visto che è il problema principale?

  • Ezio |

    Non credo siano sterotipi, ma imprinting genetici radicati in millenni di storia ed antropologia dell’organizzazione delle tribù prima, società contadine ed inurbate in evoluzione fino ad oggi.
    Concordo che lo sviluppo attuale abbia modificato di fatto le cause e le necessità di distinzioni non più necessarie in gran parte del mondo soprattutto civilizzato e democratico, ma i cambiamenti radicati nel profondo di ogni essere umano, necessitano di un certo tempo per diventare nuovi valori ed abitudini.
    Quindi più progetti, propositi, riflessioni, meno colpe e sensi di colpa vissuti e stereotipati, che creano solo conflitti e non inclusione evoluta.

  • gloria |

    ciao, sono una dirigente Psicologa mi congratulo per l’artic0lo che contiene idee valide e attuali, sono convinta che l’attività di casalinga o quant’altro debba essere una libera scelta di ciascuno, il fenomeno del casalingo è anche una realtà corrente ,certo alcune credenze e ideologie sono dure a morire , ma la patologia nasce quando c’è un conflitto tra ciò che si è e ciò che si vuole essere, buona giornata e buon lavoro

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