Violenza sulle donne: D.i.Re, 2021 ancora senza nuovo piano, rafforzare la governance dei fondi

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Fondi insufficienti per i centri antiviolenza, governance delle risorse “sbagliata” e un 2021 che parte senza il nuovo piano anti violenza, visto che quello precedente è scaduto nel 2020. Sono le lacune nella lotta alla violenza sulle donne che Antonella Veltri, presidente di D.iRe-Donne in rete contro la violenza, mette in luce in un’intervista a Alley Oop Il Sole 24 Ore, di fronte a un mutato scenario politico, una ministra delle Pari opportunità, Elena Bonetti, riconfermata ma senza portafoglio, e ancora criticità, acuite dal Covid, nella gestione finanziaria dei centri anti violenza, pur riconosciuti come strutture cardine nella lotta al fenomeno dalla stessa Convenzione di Istanbul. Il tutto si inquadra in uno scenario che, per effetto della pandemia, ha visto un calo degli omicidi ma l’aumento dei femminicidi. Nel primo semestre 2020, secondo l’ultimo rapporto Istat, gli assassini di donne sono stati pari al 45% del totale degli omicidi, contro il 35% dei primi sei mesi del 2019, e hanno raggiunto il 50% durante il lockdown nei mesi di marzo e aprile 2020. Ad aggravare la situazione, prosegue Veltri,  “il ministero delle Pari Opportunità è purtroppo rimasto, anche sotto questo governo, senza portafoglio. Il fenomeno della violenza va, invece, inquadrato in un più ampio panorama di affermazione dei diritti delle donne”.

A che punto è la strategia nazionale anti violenza?
 Il piano nazionale 2017-20 non solo è scaduto, ma si è previsto un finanziamento per solo 62 azioni delle 102 previste nel piano. Erano azioni coerenti con le “P”   (prevenzione del fenomeno, protezione delle vittime, punizione del colpevole) della convenzione di Istanbul. Per il momento  non vediamo nessuna determinazione né volontà di cambiamento.

Antonella Veltri

Antonella Veltri

Quali i principali colli di bottiglia?

Innanzitutto una disomogeneità a livello territoriale nell’erogazione dei fondi ai centri anti violenza. I finanziamenti vengono erogati a centri e case rifugio attraverso le regioni che agiscono in maniera differente. In alcune c’è l’affidamento diretto (come in Friuli), in altre si va avanti su base competitiva come Puglia, in altre ancora il riparto avviene attraverso amministrazioni pubbliche ed enti locali. Inoltre va meglio definito il concetto di centro anti violenza, è troppo ampio. E va cambiata la governance dei fondi che è sbagliata, va rafforzata.

In che modo?

Al momento lo Stato trasferisce i fondi e le regioni devono attivarsi sulla spesa di questi fondi. Ci ritroviamo a discutere a livello locale su come spendere i fondi della 119 (la cosiddetta legge sui femminicidi, ndr), e alla fine i soldi vengono polverizzati tra le varie realtà. Attualmente ci sono una cabina di regia e un comitato tecnico di cui Di.Re fa parte. Chiediamo, quindi, che venga reso più fluido il meccanismo di distribuzione dal governo ai centri visto che l’intermediazione delle regioni rende disomogenea la distribuzione dei fondi, interrompendola e burocratizzandola. Certo in base al titolo V della Costituzione le regioni non possono essere bypssate, ma riteniamo si possa risolvere il problema in qualche altro modo. Inoltre chiediamo, alla luce della nostra esperienza, di rappresentare un pezzo importante della nuova governance.

Per la definizione di centro anti violenza non è bastato il lavoro di Istat e Cnr che ha mappato le strutture attuali?

Si è proceduti a una ricognizione dell’esistente mentre occorre proprio ridefinire il concetto di centro antiviolenza, rendendolo più aderente a quanto previsto nella Convenzione di Istanbul. Purtroppo a livello regionale rientrano nella definizione anche associazioni che si occupano di altro, come la lotta alla povertà o all’alcolismo.