Otto parole per orientarci nell’anno che abbiamo davanti

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Photo by Jan Tinneberg on Unsplash

Siamo entrati in questo 2021 in un momento che possiamo definire inafferrabile, che ancora fatichiamo a definire e nominare. Siamo in un territorio, la cosiddetta “nuova normalità”, senza precedenti, tutto da esplorare e diverso per ciascuno, per condizioni di partenza, processi psicologici o eventi che l’hanno caratterizzato. E allora proviamo a tracciare una mappa di parole che ci guidi, “parole chiave” che tentano di aprire spiragli di comprensione su quel magma psicologico pieno di ombre che stiamo attraversando.

FiduciaIl virus ci ha messo a stretto contatto con l’incertezza e l’imprevedibilità: nemico invisibile e silenzioso, non sappiamo ancora se e quando potrà essere sconfitto. Da marzo dello scorso anno, poi, si è accompagnato alla perdita di gran parte delle nostre abitudini e sicurezze, inclusa per molti anche quella economica. Giorno dopo giorno, ci siamo adattati a sottrarre qualcosa alle nostre vite, per entrare in una dimensione ai confini della realtà dove, quando va bene, oscilliamo tra il sentirci esuli e il senso di spaesamento. Se è vero che l’intolleranza dell’incertezza è uno dei maggiori fattori di rischio psicopatologico, dobbiamo riconoscere che tutti noi in questi mesi abbiamo imparato senza volerlo a fidarci di cose che non abbiamo capito e non capiamo fino in fondo, che non vediamo direttamente e non possiamo controllare. La fiducia, a volte faticosamente sostenuta, persa e poi ritrovata, nella scienzanegli affetti e in quanto abbiamo affrontato finora (tantissimo), può aiutarci a non abbassare lo sguardo nei momenti più critici, a non smettere di cercare nuove possibilità, a riprendere in mano progetti e a scoprirne di nuovi. La fiducia nella possibilità di trovare margini di miglioramento, sarà la benzina del nostro futuro. È la sfida lanciata da Alighiero Boetti, artista immenso, con la lampada che si auto-illumina una sola volta in un anno: possiamo stare lì a guardarla insistentemente e controllare che lo faccia, o fidarci della promessa che un giorno la lampada si accenderà.

Valori – Ciascuno di noi in questi mesi ha fatto i conti con il dolore della mancanza, ma in alcune occasioni l’abbiamo scoperta alleata. La mancanza ci aiuta a sentire ciò che conta: chi vogliamo vicino, come vogliamo comportarci, a cosa scegliamo di donare i prossimi dieci minuti del nostro tempo? “Chiediti in ogni momento: è necessario?”, scriveva Marco Aurelio. Cosa è diventato o sta diventando sempre più importante per noi? Quali sono i nostri valori? Gli studi confermano che agire secondo i propri valori è un fattore di protezione per la nostra mente. La foto apparsa sui giornali di una ragazza in piedi sul tettuccio di un’auto che cerca di scorgere una persona cara oltre la vetrata di un ospedale è indelebile nella mia mente. Chi conta per noi? Per chi contiamo veramente? Per chi saliremmo sul tettuccio di un’auto e chi lo farebbe per noi? Il dolore e il disorientamento non sono terreni aridi. Chiederci cosa stiamo imparando in questo tempo, e aiutare anche i bambini a soffermarsi su questo, è un’ancora di salvezza.

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Ospedale Valduce di Como, la foto pubblicata sui social

 Confini Per i più, l’orizzonte spaziale della vita si è tremendamente ristretto. Molti si ritrovano confinati tra le pareti di casa, nell’angusto perimetro visivo costituito da sedia, scrivania e computer. Foster Wallace diceva “che a volte agli esseri umani basta restare seduti in un posto per provare dolore”. Rischiamo di farci assorbire da questo perimetro e dalle sequenze di azioni senza intervallo e tempi di percorrenza: questi segnavano il passaggio da un contesto sociale e da uno stato mentale all’altro. Se fossimo in un film sarebbe il salotto di “Carnage” di Polanski, con quell’atmosfera a tratti soffocante. Appare subito chiara la sfida che ci attende: imparare a mettere dei confini, arginando quel lavoro che tende ad invadere l’ambiente domestico fino a confondersi con esso.

Trauma – Le parole non si limitano a portare con sé un significato: si appiccicano alle cose e si fingono realtà. Facciamo attenzione, allora, ad abusare del concetto di trauma. Se è vero che molti hanno vissuto dei traumi (e gli studi sottolineano, tra le priorità, quella di fornire supporto psicologico a chi sia stato ricoverato per il COVID o abbia vissuto gravi traumi nel proprio passato), non tutto ciò che stiamo vivendo in questa pandemia è trauma o ricordo traumatico. Ad Harvard parlano più propriamente di stress tossico. Non possiamo dire come reagiremo nel lungo periodo al protrarsi di questa tossicità, ma sappiamo che l’evoluzione ci ha dotato della capacità di imparare dal passato per affrontare meglio il futuro. Siano predisposti a farlo. Poiché le parole costruiscono il mondo nel quale viviamo è importante arricchire il nostro lessico e tenere a mente che possiamo scegliere le parole per raccontare ciò che viviamo, evitando ove possibile etichette che pesano come macigni.

Solitudine – Abbiamo capito di più e meglio il significato della solitudine. Il pensiero di morire da soli o che un essere umano muoia da solo è forse il più doloroso tra quelli che abbiamo dovuto affrontare. È insostenibile il numero delle persone che fino ad oggi hanno dovuto lasciare la vita senza lo sguardo o la carezza rassicurante di una persona cara. Si sta facendo troppo poco per questo. Si è sentito parlare di tamponi rapidi per tutto, persino per entrare all’Ariston a seguire Sanremo, ma non per evitare che una persona sia sola nella malattia o si congedi dalla vita nella solitudine di una RSA o di un ospedale, tra sconosciuti, per quanto impagabilmente capaci di calore umano.

Corpo – I corpi sono stati i più colpiti da questo virus, e non solo a causa della malattia e delle sue conseguenze. Il corpo ha smesso di esplorare, di immergersi nei luoghi e nelle relazioni: non più cinema, teatri, concerti, non più strette di mano calorose, baci e abbracci spensierati. Il non verbale, così prezioso per la comunicazione, è per lo più coperto: all’aria aperta il viso è nascosto da una mascherina, online il corpo è invisibile nel quadrato dello schermo. Per bambini e adolescenti, l’esplorazione del corpo è anche costruzione della mente; attraverso il corpo si sviluppano l’identità, l’autonomia, l’intimità. Le conseguenze ovviamente non riguardano solo i più giovani. Un corpo fermo su una sedia dopo un po’ sembra spegnersi e rallentare. Aumenta il tempo trascorso davanti ad schermo, si diffondono stili alimentari poco salutari, diminuisce l’attività fisica, compaiono disregolazioni nei ritmi del sonno. Nella propria abitazione ci si sente al sicuro – non a caso i settori che hanno trainato maggiormente l’economia in questi mesi sono stati cibo e casa- e questo è un bene. Secondo uno studio italiano appena pubblicato, il diminuire dello stress legato alla scuola ha contribuito alla diminuzione di disturbi fisici come il mal di testa tra i bambini. Tuttavia, negli studi di psicoterapia iniziano a presentarsi bambini e adolescenti che pur potendo abbandonare la DAD per tornare a scuola, a causa dell’ansia si rifiutano di farlo, preferendo continuare a seguire la lezione da casa. Il nostro corpo sta perdendo l’abitudine ad interagire con gli altri: quando potremo tornare ad incontrarci con maggiore continuità, adulti e bambini, avremo dunque bisogno di un tempo per riabituarci.

Sguardo – Oltre nostre vite, sta cambiando il nostro sguardo. Sono più dispiaciuta davanti alla scortesia altrui, più arrabbiata davanti alle violenza di ogni tipo, più sensibile alla gentilezza e alle risate inaspettate, più incline alla gratitudine. Il dono di uno sguardo attento alle piccole cose sembra essere ciò che oggi ci eleva da una routine di luoghi e azioni uguali a se stesse e sottilmente angoscianti. Attenzione alle piccole cose e sguardo d’insieme: la nostra vita prende senso solo nel suo insieme, e non nel singolo passo, per quanto riuscito (più spesso imperfetto).

Bellezza (e misura) – Psicologicamente abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a raccogliere la sfida, che ci toga dal continuo oscillare tra “il pericolo non esiste” e “il pericolo è ovunque, dobbiamo chiuderci in casa” (con quell’illusoria sicurezza casalinga che sostiene l’isolamento), predisponendo occasioni culturali che ci aiutino a trovare una misura per vivere il presente. I luoghi d’arte e cultura, dai festival del cinema ai musei, ci donano molto e ci fanno provare molto. Oggi più che mai abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a passare dal cuore prima che dalla testa.