Tornano i pc e i tablet sui tavoli delle cucine e sulle scrivanie delle case italiane. I ragazzi dai 12 anni fanno lezione nelle proprie case. La didattica a distanza, Dad, ribattezzata in questo autunno Didattica integrata digitale (Did), torna a essere la regola per tutti gli studenti delle superiori e le seconde-terze medie delle regioni con tassi di contagio più alti, con il nuovo Dcpm, in vigore fino al 5 dicembre. A differenza del primo lockdown, in cui le aule erano rimaste completamente deserte in ogni ordine e grado della scuola, stavolta continuano a fare lezione in presenza i più piccoli.
Ma quali sono stati i problemi che hanno dovuto affrontare dirigenti scolastici, docenti, studenti e famiglie con l’attivazione della Dad? Senz’altro è stata una sfida che ha richiesto uno sforzo enorme da parte di tutti. Lo racconta l’indagine “La scuola restata a casa. Organizzazione, didattica e lavoro durante il lockdown per la pandemia di Covid-19”, promossa e condotta dalla FLC CGIL, in collaborazione con la Fondazione Giuseppe Di Vittorio, l’Università La Sapienza di Roma e l’Università degli studi di Teramo. Uno studio realizzato con una rilevazione effettuata tra il 3 aprile e il 7 maggio, attraverso questionari online, di cui 1197 validi sui 1451 raccolti sul territorio nazionale.
L’analisi si concentra in particolar modo sui processi decisionali nei contesti scolastici, sull’esperienza pregressa di didattica a distanza e i percorsi formativi per i docenti. E poi sugli strumenti a disposizione e sulle modalità adottate per la didattica, la partecipazione degli studenti ai corsi e le disuguaglianze, il carico di lavoro per i docenti e la conciliazione tra tempi di vita e lavoro, le difficoltà incontrate e il giudizio. Dei risultati dello studio abbiamo parlato con Laura Donà, Coordinatore Dirigenti Tecnici USR per il Veneto, che spiega: “Il 12 marzo, su un totale di 600 istituti della regione, in 370 le attività realizzate attivando la didattica a distanza erano frutto di esperienza pregressa”.
Quale è stata la piattaforma più utilizzata?
“A parte il registro elettronico, le scuole secondarie di secondo grado già da marzo avevano attivato le piattaforme messe a disposizione gratuitamente dal Ministero (GSuite, Office 365 Education A1, Weschool). Ad aprile sono state utilizzate dalle scuole primarie e secondarie di primo grado, un po’ meno da quelle dell’infanzia. È stata poi fatta un’attività capillare negli istituti comprensivi per andare a fornire device agli studenti che ne avevano bisogno. Una situazione che in alcuni casi ha permesso di avere il cento per cento di alunni connessi. In altri, dove ci sono background socio-culturali meno elevati, la percentuale di ragazzi connessi è rimasta ridotta, perché le necessità di device erano superiori ai fondi a disposizione della scuola”.
I genitori sono stati molto coinvolti e impegnati con la Dad, con la presenza fisica e il sostegno quotidiano. Qual è stato il loro ruolo?
“I monitoraggi fanno emergere che i genitori della scuola primaria hanno fatto comprendere ai loro figli che il computer, il tablet e il cellulare non sono solo oggetti di gioco, ma strumenti utili per imparare. Una consapevolezza dovuta al lockdown, perché prima in questa fascia di età i bambini li usavano per i videogiochi o collegarsi a You Tube: per intrattenimento, e non come strumento di apprendimento. Ma è stato determinante anche il coinvolgimento degli animatori digitali e gli assistenti tecnici nella rete delle scuole, che hanno permesso in molti istituti del primo ciclo di istruzione di attivare piattaforme e un supporto alla didattica a distanza”.
Lo studio rivela anche che nel 62,5% dei casi sono state attivate delle iniziative di formazione per sostenere i docenti nell’acquisizione delle competenze necessarie per la didattica a distanza, con carenze maggiori tra i docenti della scuola primaria. Dalle rilevazioni in Veneto cosa è emerso?
“Il corpo insegnante dell’istituto dell’infanzia statale era quello con minori competenze digitali, e l’insegnamento a distanza doveva fare perno sui genitori. Passato lo shock iniziale del mese di marzo i docenti hanno capito che la scuola non avrebbe ripreso ad aprile, e si sono attivati con un grande lavoro di collaborazione tra loro. Hanno ideato storie, attività di animazione, esercizi, coinvolgimento grafico, hanno ricreato stimoli diversificati, perché i bambini collegati con i genitori potessero ritrovare attività e percorsi. La famiglia con un livello socio culturale medio e genitori in smartworking era disponibile alla connessione e a fare in modo che i bambini si collegassero all’orario indicato. Gli insegnanti di sostegno dei bambini disabili, con la disponibilità dei loro genitori, hanno attivato forme di attività individuali con le tecnologie, prima attraverso i social, poi grazie a piattaforme”.
Fino a qui i numeri, ma cosa racconta chi gestisce in prima persona l’organizzazione scolastica in questa difficile fase? Alessio Perpolli è dirigente scolastico dell’IC Bosco Chiesanuova (Verona), e coordinatore del collegio dirigenti del primo ciclo degli istituti della provincia veronese. L’istituto comprensivo è il più grande del Veneto per numero di plessi. Conta venti scuole, tra infanzia, primarie e secondarie.
Come vi siete organizzati durante il lockdown?
“Le scuole utilizzavano da cinque anni Google Suite e la Google Classroom per il supporto alla didattica. A fine febbraio, a una settimana dall’inizio del lockdown, i nostri studenti delle scuole medie erano pronti a partire attraverso questi strumenti, un vantaggio rispetto ad altri istituti che avevano un gap sia dal punto di vista organizzativo sia tecnologico. Negli anni avevamo accumulato e previsto una serie di dispositivi, che abbiamo potuto mettere a disposizione dei ragazzi durante l’emergenza”.
In altri istituti la situazione era più complicata?
“C’erano situazioni più povere dal punto di vista economico, e anche come esperienza. Ma nella tristezza e negatività del momento la didattica a distanza è stata uno stimolo, anche per gli studenti più refrattari a utilizzare questo strumento. Ci sono state difficoltà in alcuni istituti nel partire con Google Suite, ma tutti alla fine si sono dovuti impegnare”.
La formazione è stata strategica per gli insegnanti?
“Nella scuola primaria i bambini sono meno autonomi, ed era necessario avere la presenza di un adulto o dei genitori. Abbiamo fatto un lavoro di analisi delle richieste, e cercato un punto di equilibrio, modalità efficaci e rispettose delle situazioni familiari. Abbiamo concordato un forte rapporto con i genitori per trovare ritmi, orari. Molte lezioni si sono svolte al pomeriggio, alle 17 dopo il lavoro. Abbiamo messo in rete, in condivisione, diverse risorse tra le varie scuole del nostro istituto”.
Come definisce l’esperienza della didattica a distanza?
“È uno strumento, ma non la soluzione a tutti i problemi. È una possibilità, un valore aggiunto da non perdere. La parte relazionale ed emozionale dei processi di apprendimento si perde, ed è un limite. La Dad aiuta ad affrontare le emergenze in un periodo definito. È un rinforzo rispetto alla didattica relazionale in classe. Bisogna saperla utilizzare, ma la presenza in classe, il contatto reale è impagabile. Nella scuola dell’infanzia e nei primi anni della scuola primaria, era importante mantenere questo contatto e non perdere il legame con i bambini. Più si abbassa la fascia di età, più è importante la presenza quotidiana”.
Dallo studio emerge anche che per circa 2 docenti su 3 (64,7%) il carico di lavoro è aumentato in modo rilevante. Dato negativo anche per le professoresse, per le quali si è registrato un aumento degli impegni maggiore rispetto agli uomini. Paolo Ticozzi è docente di informatica all’istituto superiore classico scientifico Bruno – Franchetti di Mestre, che ha programmato la didattica a distanza per gli studenti, lavorando su un suo personale sito didattico.
Perché è aumentato il lavoro?
“Il tempo utilizzato per fare le lezioni online agli studenti, preparare materiali e verificarli è stato maggiore rispetto a quello che normalmente si spende per preparare una lezione personale. Nel mio sito didattico ho caricato esercizi e video in cui spiegavo come si svolgevano e si risolvevano, e questo ha aiutato i ragazzi. Realizzare un video richiede più tempo, si tratta di un aggravio iniziale, ma una volta che un docente struttura i materiali online, in futuro si trova facilitato”.
Ha fatto anche formazione sulla Dad ai colleghi?
“Li ho formati sull’utilizzo della piattaforma per la didattica a distanza, compilando certificazioni Google. Il tutto è stato facilitato per me. Sono un insegnante di informatica giovane, conosco la programmazione, e gli strumenti digitali. So come si crea un sito Internet. Ho messo i materiali a disposizione online, in modo che chiunque possa accedervi. All’inizio ho utilizzato videolezioni online con Zoom, poi la piattaforma ufficiale di Google Meet“.
La didattica in presenza è importante e insostituibile in quanto tale?
“Anche con la didattica a distanza si possono trasmettere contenuti e si può lavorare meglio, riuscire a differenziare e personalizzare i lavori. Ma non dobbiamo dimenticare i problemi dei ragazzi che vivono in ambienti più difficili e non hanno una stanza dove possono stare tranquilli a lavorare, o non hanno strumenti adeguati, problemi di connessione”.