Le figlie di Salem, quando il potere è responsabile dell’odio

le-figlie-di-salem

Una ragazza sola entra in un bosco, con un secchio. Attraversa il sentiero e le ombre tra gli alberi, sbuca in una radura, al passaggio di un fiume, a cui si avvicina per riempire il secchio. Si solleva la gonna e scopre le gambe. Un uomo la sta guardando.

In un’epoca in cui anche scoprire le caviglie poteva mettere nei guai una donna, lei si accorge con sgomento dell’uomo che la sta fissando mentre ha la gonna sollevata fino all’inguine. Ma l’uomo arriva da un altro villaggio, conosce altre leggi, altre regole. Non le sta guardando le gambe. Non la sta concupendo. La sta incontrando, semplicemente, come una persona in un bosco.

La piccola Abigail, che ha solo 14 anni, riconosce in quello sguardo qualcosa di diverso da quello degli uomini a cui è abituata. L’uomo è di una tribù di “indiani”, Abigail proviene da un villaggio di coloni del New England, nel 1600. Il villaggio si chiama Salem.

È così che si apre la graphic novel illustrata e raccontata da Thomas Gilbert, edita in Italia da Diabolo Edizioni. L’autore non è nuovo al tema della regressione selvatica verso una natura millenaria e istintiva, fuori dalle leggi della razionalità, verso una qualche forma di liberazione di cui si fa messaggera la donna, il femminile. Ma nel narrare un evento noto della storia americana come quello delle cosiddette “streghe di Salem”, è andato ben oltre il tema della liberazione e dell’istinto.

L’indagine di Gilbert si è spinta a fondo nella documentazione storica, per mettere in luce come avviene il radicamento dell’odio nel sistema di valori di una società, anche quando questa si crede moderna e progressista. L’odio è utilizzato come un’arma, uno strumento di controllo, dal pastore di Salem, che proprio grazie alla paura può mantenere la sua posizione di protettore e i privilegi economici che ne derivano.

Dall’altra parte però, fuori dal suo controllo e nel segreto del bosco, le ragazze del villaggio stanno scoprendo con il giovane indiano una visione diversa del mondo, una cosmogonia in cui non c’è differenza tra esseri umani e animali e in cui l’istinto si libera attraverso la danza e la conoscenza della natura che le circonda.

Sappiamo bene come finisce questa storia e come l’isteria collettiva sia stata l’unico movente dell’assassinio collettivo di 20 persone tra donne, uomini e bambini. Ciò che la narrazione di Gilbert aggiunge a quello che già sappiamo, è una visione universale su queste ragazze che già nel titolo non sono le classiche “streghe” di Salem, bensì le “figlie”. Figlie di un villaggio, di una comunità, di un’umanità di cui anche noi, in un altro luogo e in un altro tempo, facciamo parte.

Cosa accade a una società che non sa ascoltare e proteggere i propri figli? Le aberrazioni dei processi di Salem, le ridicole scuse utilizzate per condannare gli imputati e le imputate, gli abusi di ruolo e di potere, la violenza, le menzogne, diventano nel racconto di Gilbert un j’accuse verso le responsabilità del potere e di chi legittima il potere assecondandolo. Gli unici colpevoli, pagina dopo pagina, sono i cittadini di Salem, che terrorizzati dalla propria povertà accettano di darne la colpa al demonio accanendosi sui suoi simulacri: lo straniero e le donne.

La piccola Abigail, protagonista e voce narrante di questo racconto, osserva tutto ed è piena di domande, ma anche di fronte all’evidenza accetta il silenzio che le viene imposto: prima in quanto figlia, poi in quanto membro del villaggio, infine come imputata e prigioniera delle paure dei concittadini. Rompe il silenzio troppo tardi, nel momento in cui capisce che sarà inutile farlo, perchè gli ingranaggi di questa distruzione sono già in movimento e presto ne verrà schiacciata.

È allora che comprende davvero la posizione senza difese in cui si trova: appena la bambina ha mostrato i segni della donna, è stata azzittita, prima dalla stessa assemblea delle donne, ancelle del vero potere, quello maschile, che poi ha continuato a imporle il silenzio perché è un potere che parla e non ascolta.

La verità di una donna non ha peso in questa assemblea di uomini. Ma adesso basta, non starò più zitta”. Con queste parole Abigail decide finalmente di dire tutto ciò che pensa durante il processo. Non basterà a salvarle la vita, come ben sappiamo, ma aiuterà noi osservatori a trovare uno sguardo nuovo per leggere questa storia.

Nell’ambiguità delle immagini della graphic novel, tra demoni e mostri, umani e non, la verità è quel momento in cui l’orrore si mostra per ciò che è, e comincia a fare meno paura. Molto più terrificanti delle creature infernali, sono le creature di odio e di cecità che condannano a morte le loro stesse figlie. Ecco che le vicende legate a Salem si slegano quindi da ogni ombra di misticismo e magia per diventare davvero un racconto civile sul potere e la legalità. Abigail, grazie all’apprendistato nei boschi con l’amico straniero e grazie al suo percorso di formazione doloroso e soffocante, troverà il coraggio in tribunale di disconoscere la legge a cui è soggetta dicendo: “Sono io che vi accuso ora”.


Thomas Gilbert. Le figlie di Salem, Diabolo Edizioni, 2019, 26€