Il mantra ripetuto dagli esperti è che dovremo abituarci a convivere con la possibilità del virus e di tutto quello che comporta. In pratica, l’orizzonte a breve e medio periodo è probabilmente quello di operare e di vivere nell’incertezza, nello stress, in cambiamenti repentini dell’operatività, della situazione economica e di quella del mercato.
Cosa può aiutarci ad affrontare un periodo simile e come capitalizziamo le esperienze e le riflessioni che abbiamo fatto durante questa prima fase della pandemia?
Nel 2013 Nassim Nicholas Taleb, filosofo e matematico libanese-statunitense, ha coniato il concetto di antifragilità per caratterizzare le qualità necessarie con cui definire l’esatto opposto di fragile.
Fragile è ciò che risente degli stress e che quindi deve essere maneggiato con cura. Robusto è ciò che fino ad un certo punto resiste agli stress, ma che non sa modificarsi di fronte ad essi. Resiliente è ciò che affronta e supera gli eventi traumatici adattandosi al nuovo contesto. Antifragile è di più: un cambio di paradigma, qualcosa che sa addirittura trarre vantaggio dai momenti di difficoltà, di incertezza e di perturbazione non solo per resistere o per adattarsi flessibilmente al cambiamento, ma anche per migliorare sé stesso. Per quanto riguarda le organizzazioni aziendali un approccio antifragile è quello che può consentire di “prosperare nel disordine”.
Possiamo riconoscere questo paradigma all’interno di alcune esperienze descritte in questi giorni da quotidiani e social media. Mi riferisco ad esempio a quegli imprenditori della moda che hanno convertito le proprie organizzazioni per creare indumenti per medici e personale sanitario; ai gruppi di industriali lungimiranti che hanno saputo trasformare maschere per la subacquea in respiratori adatti a funzionare nella terapia intensiva; ai colossi della vendita e distribuzione on line che hanno ampliato immediatamente la loro offerta intercettando i nuovi bisogni e riuscendo, ad esempio, a consegnare in meno di 12 ore cibi freschi e cucinati.
L’intuito di questi visionari risuona fortemente per il valore sociale e sanitario che sostiene le loro creazioni. Ma si può dire che siano stati approcci antifragili? Le strade intraprese potranno essere importanti anche per aspetti di continuità futura economica e lavorativa?
Per provare a rispondere a queste domande Taleb ci viene in aiuto. Citando uno dei suoi libri tornato fortemente in voga in questi giorni, il COVID-19 appare come un “cigno nero” ossia un evento talmente imprevedibile e inaspettato da cambiare convinzioni fortemente radicate in noi, come appunto la millenaria convinzione che i cigni potessero essere solo bianchi.
Proprio a causa di questo “Cigno nero – Coronavirus” è tornata nuovamente l’attenzione sul concetto di antifragilità. Infatti, nel suo libro “Antifragile – Prosperare nel disordine” Nassim Taleb con l’arguzia e il fascino che caratterizzano il suo modo di scrivere, ispira i lettori parlando di persone e imprese che sanno andare oltre alle difficoltà incontrate e agli irrisolvibili dubbi sul futuro, riuscendo a trarre vantaggio proprio dalla complessità in cui si trovano; queste organizzazioni ed individui antifragili non solo resistono all’incertezza e all’indeterminazione, ma addirittura crescono e prosperano.
Guardando con gli occhi di Taleb le mosse fatte dagli imprenditori illuminati citati in precedenza ci accorgiamo di come possano essere l’esempio di una reazione antifragile in questa situazione di disagio. Questi uomini e queste donne:
- hanno trasformato le loro realtà in attori protagonisti di un progetto sociale, di aiuto ospedaliero e di sostegno all’uscita dalla crisi sanitaria;
- hanno saputo ingaggiare e generare forte motivazione nei loro collaboratori, che hanno letto nel contributo, proprio e dell’azienda per cui lavorano, la partecipazione ad un disegno più grande, quasi eroico;
- hanno saputo ispirare nei propri lavoratori un senso di appartenenza all’azienda e alla comunità che potrà essere la chiave di una ripartenza vincente trainata proprio da loro;
- sono riusciti a superare il rischio di un lock down aziendale che poteva esser dannoso dal punto di vista economico e stanno veicolando l’eco della loro antifragilità come leva di marketing indiretto e come potenziale motore per la ripresa post crisi.
Le aziende protagoniste di queste esperienze non hanno perseguito una strada che mirava a comprendere le cause del cigno nero, bensì hanno accettato la casualità dell’evento come sostituto della causalità; hanno accettato l’imprevedibile e, senza ricercarne le cause, hanno appreso di non poter anticipare e controllare quello che avviene. In questo modo sono state messe le basi per affrontare l’incerto in maniera generativa distruggendo i pericolosi concetti del “dobbiamo programmare e verificare tutto” e “non possiamo cambiare, abbiamo sempre fatto così”.
Con una forte capacità di auto-riflessione e di visione prospettica queste organizzazioni e questi imprenditori hanno saputo rimettersi in gioco e lavorare su se stessi partendo dalle basi che apparivano solide anche in questo periodo: le persone di queste organizzazioni che si sono sentite coinvolte e motivate; la propria immagine che è stata sostenuta e perfino rilanciata e le proprie competenze che si sono aggiornate e rinnovate. Accogliendo l’idea che l’errore e il fallimento fossero possibilità da considerare, ma soprattutto e comunque da cui apprendere, sono riusciti a sfruttare il momento per proiettarsi verso un nuovo status quo le cui basi sono solidamente state poste con le scelte fatte in questi mesi di “caos”.
Proprio all’interno di questi esempi possiamo trovare ispirazione per guardare attraverso questo periodo e costruire il nostro nuovo futuro antifragile, fatto di flessibilità, visione prospettica, orientamento ai risultati, resilienza e apertura all’apprendimento.