Quarantena da separati con figli: storie di piccole rivoluzioni

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Si è parlato di famiglie, durante questa pandemia. Ma poco di famiglie diverse da quelle tradizionali. Eppure sono quasi 100mila in Italia i minorenni figli di coppie separate o divorziate. E per loro gli effetti della quarantena sono stati ancora più dirompenti, se non altro perché spesso il lockdown ha costretto a un ripensamento generale delle “regole d’ingaggio”. Piccole o grandi rivoluzioni, come quando mamma e papà hanno scelto di tornare a vivere sotto lo stesso tetto per evitare spostamenti ai bambini.

Una premessa è d’obbligo: i decisori politici non hanno previsto interferenze o limitazioni per le coppie separate, considerando prioritario l’interesse dei bambini a continuare a frequentare entrambi i genitori. Nelle faq seguite all’approvazione dei Dpcm che hanno trasformato l’Italia in un’unica zona rossa, il Governo ha infatti chiarito che “gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o comunque presso l’affidatario, oppure per condurli presso di sé, sono consentiti anche da un Comune all’altro”, optando per il tragitto più breve e nel rispetto di tutte le prescrizioni di tipo sanitario, “nonché secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o di divorzio o, in assenza, secondo quanto concordato dai genitori“.

Ma naturalmente, in un Paese bloccato anche dalla paura del contagio, a esigenze differenti sono corrisposte soluzioni disparate, come dimostrano le tante storie raccolte da Alley Oop. Il padre dei miei figli era stato operato a giugno 2019 per un tumore, con una prognosi di due anni di vita”, racconta Fernanda.Da allora, nonostante io abbia un compagno che vive all’estero, ho deciso di essere la caregiver del mio ex marito. Il Covid-19, dice Fernanda, “ci ha ridato una famiglia, anche se diversa, perché abbiamo deciso di vivere insieme questo lockdown. Per lui, perché ha bisogno di cure e compagnia. Per i bambini, perché hanno bisogno di tempo con lui. Io lavoro, lui fa il mammo, per quello che riesce“. I sensi di colpa e le difficoltà non mancano, ma il bene “superiore” è evidente.

Anche per Monica, professione prestigiosa e una figlia di 11 anni, il coronavirus è stata l’occasione di un cambiamento. “L’accordo di separazione standard prevedeva che mia figlia vedesse suo padre, rimasto a vivere nell’abitazione familiare, per due pomeriggi a settimana e a fine settimana alternati. Ma finora lei aveva preferito trascorrere una settimana con il papà e una con me“. Con la quarantena, invece, “sono riuscita a farle capire che non era il caso che continuasse a spostarsi tra una casa e l’altra come una nomade. Lo ha compreso, e anche suo padre. Per me è stato un grande successo: dopo essere riuscita con fatica a sottrarmi a un matrimonio opprimente e frustrante, adesso posso costruire una nuova dimensione familiare”.

Luigi fa il cronista a Roma. Avendo mantenuto la residenza dove vive la sua ex compagna, cerca di scappare a trovare il figlio lì ogni volta che è possibile. Si può? Non si può? “Giro sempre con l’autocertificazione, ma non avendo una pronuncia giudiziale sull’affidamento, perché non siamo sposati ma soprattutto perché con la madre siamo in buoni rapporti e non sono sorti problemi insormontabili, se mi dovesse fermare qualche agente molto fiscale potrebbe avere qualcosa da ridire. Secondo un poliziotto al quale ho posto il quesito, lui mi multerebbe“.

Anche Elena, separata da due anni, professionista nel turismo, un sorriso contagioso e un bimbo di sette anni affetto da un disturbo dello spettro autistico, ha raggiunto un accordo con il suo ex marito. Dall’inizio di marzo si è deciso di evitare i pernottamenti di Carlo presso il padre, che vive a stretto contatto con la nonna molto anziana. “Abbiamo una giornata scandita rigorosamente“, dice Elena. “Alle 8.30 la sveglia, poi coccole, colazione, lettura di un libro e qualche esercizio sulle autonomie. Alle 10 lo lascio giocare per un’oretta, mentre io mi dedico al smistare le mail, al momento purtroppo tutte di cancellazione o spostamento viaggi all’anno prossimo. Alle 11 comincio le attività con lui seguendo le direttive della sua insegnante e delle terapiste di psicomotricità e logopedia“.

Verso mezzogiorno la richiesta di uscire si fa pressante, ma per fortuna Elena ha un grande terrazzo dove si può scorrazzare e i nonni che abitano di fronte: un’ancora di salvezza per la salute di Carlo, per cui l’isolamento è un rischio, e uno spazio in cui due volte a settimana va a trovarlo anche il padre. “Sono soddisfatta del percorso che stiamo facendo insieme in queste settimane. I progressi sia sul piano cognitivo sia comportamentale proseguono. Anche il linguaggio, la sua area più debole, sembra migliorare. Per lui la giornata è piena di spunti di apprendimento, dal lavarsi le mani a scegliere cosa mangiare. È tutto un lavoro svolto sotto forma di gioco e siccome nessuno lo conosce meglio di me per qualche tempo posso essere anche io una buona terapista…“.

Ma Elena è preoccupata per il futuro: “Noi siamo sempre in giro per l’Italia per visite e terapie supplementari. Molte erano previste per aprile e sono state rimandate, ahimé. Il tempo per noi è un fattore importante, speriamo di non perderne troppo”. A sera, Elena battezza i personaggi delle storie che legge con i nomi degli amichetti che Carlo non può più frequentare. “La sua frase tipica prima di addormentarsi è: aspettiamo il giorno. Mi sciolgo di tenerezza perché capisco che non vede l’ora di ricominciare la sua nuova routine quotidiana. Evidentemente, non è così male per lui. Io sto sperando davvero che questo disastro serva a rimettere qualche pezzo delle nostre vite al posto giusto”.

Lo spera anche Maria, separata civilmente, con la richiesta di annullamento del matrimonio alla Sacra Rota arrivata dal suo ex proprio durante il lockdown. Sua figlia di otto anni prima trascorreva il fine settimana dal padre, che però vivendo con altri coinquilini ha scelto di non farle correre rischi. In compenso, la vede in videochiamata quasi ogni giorno. “Guardandola, lei così sensibile e arguta, colgo un po’ di irrequietezza per quello che stiamo vivendo”, osserva Maria. “Ma si è adattata. Pensando a tutto quello che abbiamo attraversato in questi anni posso dire che riusciamo a mantenere un equilibrio anche in mezzo a questa tempesta”.

Navigare tenendo la barra dritta non è facile. Ne sa qualcosa Maurizio, titolare di un’attività commerciale. A marzo, a causa delle restrizioni sugli orari, ha lavorato meno della metà. I suoi guadagni si sono assottigliati al punto da non riuscire a versare il mantenimento previsto di 1200 euro. Decide di scrivere una lettera alla ex moglie per chiederle il favore di accettarne 750, l’importo che gli consente di restare a galla con il suo locale. Per tutta risposta, lei gli comunica che sulla base del divieto di spostamenti deciso dal Governo l’11 marzo non potrà più vedere il figlio. Il suo avvocato gli consiglia di fare ricorso, lui non vuole: “Non voglio danneggiare il mio bambino dopo una separazione già conflittuale. Per ora mi accontento di vederlo in videochiamata, ma soffro”.

Eleonora e il suo ex hanno mantenuto l’abituale frequentazione dei figli con il padre. Ma durante l’orario scolastico i bambini adesso restano a casa con la mamma, che lavora in smart working a volte anche la notte e non può più contare sull’aiuto prezioso dei nonni. Di fatto, si è ritrovata sola a gestire contemporaneamente la casa, i figli e la sua attività. “Ero combattuta, ma alla fine ho deciso di continuare a far venire la nostra tata, anche se con meno assiduità. Così almeno il tempo libero dal lavoro posso dedicarlo ai ragazzi”. Più elastica l’organizzazione che si sono dati Azzurra e Fabio: prima il loro bambino di 8 anni, Sergio, stava a casa del padre a weekend alternati, adesso invece va da lui ogni 4-5 giorni e ci resta per altrettanti, con al seguito il pc e i libri necessari per la didattica a distanza. Un modo per condividere piaceri e doveri della nuova quotidianità senza scuola. “La compagna di Fabio ha tre figli, uno dei quali coetaneo di Sergio: io sono contenta che stia più spesso da lui”, sorride Azzurra.

“Non prendetemi per un folle, ma la difficile situazione che stiamo vivendo tutti in questi mesi può essere vista come un’opportunità per noi stessi e per i figli”, commenta Jacub, padre separato con tre bambini e presidente dell’associazione “Padri in movimento”. “Sarebbe solamente necessario guardare al di là del semplice decreto di separazione e affidamento, un documento limitato che non sancisce il da farsi in tempi di emergenza come questi”. Con la chiusura delle scuole e l’obbligo di stare in casa, a suo avviso, proprio le famiglie separate avrebbero l’occasione di “un immediato cessate il fuoco delle inutili ostilità per convergere verso una tutela e un supporto sostanzialmente condiviso dei figli”. Senza guerre nelle guerre.

Lui, dopo una sfiancante separazione conflittuale, ci è riuscito. “Oggi sono contentissimo di come io e la mia ex compagna stiamo combattendo fianco a fianco l’emergenza, cercando di non aggravare ulteriormente il peso della separazione sulle spalle dei bambini, che possono scegliere liberamente con chi stare. Basta sapersi organizzare. Chi mai si sarebbe immaginato di stare nuovamente tutti a tavola assieme, scherzando e ridendo in un clima di assoluta collaborazione? Mi sento finalmente un padre che vive la genitorialità da protagonista, non perché la pretendo, ma perché la vogliono i bambini. Si è prima padri e poi uomini.

  • Valeria |

    Queste storie insegnano che solo chi riesce a mettere da parte le ostilità in una separazione può godere di prospettive più rosee per i propri figli e per se stesso. Godiamoci i nostri piccoli finché si può, anche approfittando di questa improvvisa tempesta… perché possiamo trovare riparo nella famiglia.

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