Le Vittoriose, 20 storie di donne che hanno un’idea per il nostro futuro

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Eccole. Pronte a parlare, a presentarsi e a raccontare di sé. Senza slogan, o frasi fatte da marketing sensazionalistico, ma con una straordinaria naturalezza. È questo ad avermi subito colpito ne “Le Vittoriose” di Eliana Di Caro, giornalista del Sole 24 Ore.

Venti storie di donne (Luciana Lamorgese, Bina Awargal, Anne-Marie Slaughter, Yasmina Reza, Anne Applebaum, Dainora Pociute, Almudena Grandes, Taty Almeida, Pinar Selek, Martha Nussbaum, Carla Cohn, Zita Gurmai, Iraam Saeed, Erma Solberg, Siba Shakib, Leymah Gbowee, Nemat Shafik, Paula Diehl, Antony/Anohni Hegarty) che ce l’hanno fatta, che hanno raggiunto obiettivi di altissimo livello nei rispettivi campi professionali. Donne che hanno dimostrato che si può e che si deve andare avanti nonostante tutto, nonostante un mondo che frappone ostacoli di ogni tipo.

Alcune più famose, altre meno, ma per loro il successo non è lustrarsi i galloni sulla giacca. È fare bene il proprio lavoro, è testimoniare con parole giuste e appropriate, è restare coerenti a se stesse e ai valori professati e incarnati quotidianamente. Queste donne sono la loro storia. Vengono da ogni parte del pianeta e raccontano la loro realtà, a volte dolorosa e faticosa.

In ognuna di loro non manca mai l’afflato generoso verso i deboli e categorie svantaggiate perché sanno che cosa è stato e che cosa significa essere messi da parte. Nelle interviste, poi, emerge spesso una proposta, un’idea su cui mettere l’accento: dall’istruzione all’economia al sentimento di appartenenza ad un’Europa in cui credono fermamente. Se cercate una fonte di ispirazione o una role model, qui la troverete.

Spesso – per fortuna – le cose sono gradualmente cambiate rispetto ai tempi dei loro inizi, ma la strada da percorrere è in ogni caso ancora molto lunga. «Avevo 15 anni quando ho fatto il mio primo discorso sui diritti delle donne. Nel villaggio di mia nonna, nel cuore del Rajasthan, avevo notato che le ragazze erano trattate in modo diverso dai ragazzi (io no, perché ero un’ospite speciale…). E così tornata a Delhi, un giorno a scuola, dove dovevamo fare un intervento, mentre le altre studentesse parlarono di musica o di come preparare la tavola, io sottolineai l’importanza del voto femminile»: è Bina Awargal, economista dello sviluppo e dell’ambiente all’Università di Manchester.

Oggi l’India è cambiata e le ragazze possono scegliere che cosa studiare e quale professione intraprendere. Non tutte ancora e non dovunque perché le disuguaglianze ci sono e non possono essere nascoste. «Ma penso che la direzione del cambiamento per le donne sia giusta, sono ottimista» è il conclusivo messaggio di incoraggiamento, per il suo popolo e per tutte noi.

Ambizione, coraggio, determinazione. Tutte qualità che Le Vittoriose possiedono. Accanto ad un senso di concretezza e di pragmatismo che non le distoglie dal ruolo in famiglia. Come Anne-Marie Slaughter che, dopo due anni, aveva lasciato il ruolo nello staff di Hillary Clinton per tornare ad insegnare e potersi dedicare meglio alle esigenze della sua famiglia. Raccontò tutto in un articolo. «Sono una femminista convinta – ha dichiarato alla Di Caro – e credo che uomini e donne possano aspirare ad avere entrambe le cose (lavoro e famiglia, ndr), ma dobbiamo cambiare il modo in cui concepiamo la carriera dando pari importanza al lavoro e alla cura delle persone. E poi c’è la questione maschile: non ci sarà un’uguaglianza vera finché gli uomini non avranno un ruolo attivo in casa così come le donne non si affermeranno nella professione. Negli Stati Uniti ci sono progressi su questo fronte. Certo, non abbiamo il congedo di paternità, l’assistenza pubblica per i figli, e altro che in Europa c’è già».

Le Vittoriose usano con attenzione parole che hanno una spinta potentissima, da leggere e sottolineare, da centellinare. Come quelle di Yasmina Reza (che ha scoperto Natalia Ginzburg), di Anne Applebaum (bersaglio di critiche e attacchi personali per un suo lavoro sulla Grande Carestia in Ucraina), di Luciana Lamorgese (che crede fermamente nella necessità di unire competenza ed esperienza sul campo), di Almudena Grandes (attenta alla condizione femminile nel suo Paese, la Spagna), di Maria Anna Potocka (che ad un certo punto si ritrova con una laurea e senza lavoro, così pensa di mettersi a fare la tassista, ma i tassisti – uomini – non la vogliono perché donna e laureata), di Pinar Selek (che vive in esilio in Francia e che dedica pagine di grande sensibilità al nodo irrisolto del genocidio armeno, letteralmente cancellato dalla memoria in Turchia).

«Noi abbiamo la forza di realizzare le utopie – afferma la sociologa turca – Nel mio libro cito Antonio Gramsci che parlava del pessimismo dell’intelligenza unito all’ottimismo della volontà. Beh, io… io credo a questa volontà. Attenzione: la cosa importante non è soltanto la riconciliazione, ma anche la giustizia. Fintanto che non si attua una politica di riparazione, non si può parlare di una vera riconciliazione».

Ogni ritratto apre dei piccoli squarci sulla vita privata, piccole fessure da cui intuire grandi battaglie, come quelle che viviamo ogni giorno. E in prossimità dell’8 marzo vale la pena sempre guardare con orgoglio alle cicatrici.


Il libro, in uscita questo fine settimana, si può trovare anche nelle edicole.

Titolo: Le Vittoriose

Autrice: Eliana Di Caro

Casa Editrice: Il Sole 24 Ore

prezzo di lancio 10,90 euro