Startup: meno pitch e più numeri per conquistare gli investitori

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E se fosse il pitch a compromettere le possibilità di una startupper o imprenditrice di ottenere investimenti, a vantaggio dei colleghi uomini? Se fosse proprio il momento di presentazione dell’idea di business agli investitori il momento in cui il gender gap si manifesta in una maniera sottile ma inequivocabile?

E’ la tesi di un articolo scritto da due venture capitalist e una docente universitaria per Harvard Business Review. Il punto di partenza sono i numeri che già conosciamo: nel 2018, solo il 3% del capitale di rischio negli Stati Uniti è andato a società fondate da donne. Tuttavia, il numero delle imprenditrici è aumentato sia negli Stati Uniti che nel mondo, e ancora più elevato è il numero di aspiranti imprenditrici.

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In base alla ventennale esperienza dei tre autori, a contatto con centri imprenditoriali che vanno dalla Silicon Valley a Singapore, l’idea è che che, adottando un approccio più guidato dai dati per valutare il potenziale e la redditività di una startup, i venture capitalist sceglierebbero più startup guidate da donne.

Investire nel capitale di rischio, ricordano gli autori dell’articolo, prevede quattro fasi. Quella meno legata ai numeri e ad aspetti tecnici, quindi più suscettibile alla attivazione di bias, quindi in qualche modo viziata da preconcetti, è proprio il pitch. A supporto della loro tesi gli autori riportano un esperimento dove in una fase di presentazione di business a investitori sono state usate slide e testi identici, con o senza foto del “presentatore”, illustrate da voci maschili e femminili.

Gli investitori – uomini e donne allo stesso modo – hanno preferito le attività narrate da un uomo, a maggior ragione se quell’uomo era di bell’aspetto. La differenza di genere nel contesto di un pitch si evidenzia anche dal modo in cui vengono poste alle domande: gli uomini sono messi nelle condizioni di rispondere sottolineando punti di forza e potenzialità del proprio progetto, mentre alle donne si chiede di focalizzarsi di più sui rischi potenziali.

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C’è poi la controversa questione della minore fiducia in se stesse che le imprenditrici sembrano avere rispetto agli imprenditori. Il tema è dibattuto, fosse reale, una eventuale prudenza non necessariamente dovrebbe essere ritenuta un handicap, ma al momento, nella percezione dell’assertività, pesa.

E allora? Il suggerimento degli autori dell’articolo è di strutturare un percorso meno focalizzato sul pitch e più sui numeri. Qualcuno ha già iniziato a farlo – raccontano. Solo per fare un esempio Social Capital, venture capital califoriano, ha iniziato a raccogliere le presentazioni delle attività di busiess online e a valutare le imprese soprattutto con un approccio quantitativo. Il risultato è stato che il 40 per cento degli investimenti è andato a società guidate da donne.