Perché una denuncia di furto non viene mai messa in dubbio? E perché, invece, una denuncia di stupro viene sempre messa in discussione? Ci avete mai riflettuto? Quando una donna denuncia una violenza da parte di un uomo, soprattutto se quell’uomo è il suo compagno, il suo ex, come nella maggior parte dei casi, quella denuncia ha dell’incredibile. O meglio, alla parola delle donne troppo spesso non viene data fiducia, non viene dato credito.
Unbelievable, incredibile: la serie tv originale Netflix, oltre ad essere una serie crime magistralmente scritta, molto ben recitata, coinvolgente e intensa, ha il grande merito di portare lo spettatore dentro quel meccanismo perverso che pervade i casi di violenza contro le donne, per cui credere fino in fondo alla parola di chi denuncia uno stupro non appare cosa scontata. Nel caso della serie, che racconta fatti realmente accaduti, a non essere creduta è Marie, una ragazza problematica che viene da una lunga storia di abusi e di affidi familiari, la cui fragilità fa sì che le sue parole non vengano ritenute degne di fiducia neanche dalle persone a lei più vicine. Lei stessa, in più momenti, viene messa sotto pressione, si ritrova all’angolo e la cosa che le sembra più facile fare è dire quello che tutti sembrano aspettarsi da lei: non è vero, ho inventato tutto, lo stupro, la violenza, l’uomo mascherato in camera mia. Il trauma sul trauma, la vittimizzazione della vittima. Un muro di incomprensione e sospetto che la schiaccia e che si aggiunge all’incubo già subito.
Molto forti le scene dei primi interrogatori di Marie: la ragazzina, sotto shock, è costretta a ripetere il racconto all’infinito, prima a un poliziotto, poi a un ispettore, poi in centrale. Nessuna attenzione per il suo stato psichico del momento, per la ovvia confusione mentale che può derivare dall’aver subito per ore una violenza sessuale in casa propria. Dal sentirsi terrorizzata, sola impaurita. “Meno male – dice a un certo punto uno degli ispettori – stavolta è durata poco, ha ammesso subito di essersi inventata tutto” e alzando le spalle cita due o tre casi di donne che hanno “inventato” storie di abusi per poi ritirare le denunce.
I dati e le testimonianze mostrano che gli iter giudiziari lunghi e complessi, le difficoltà che le donne si trovano ad affrontare nel momento in cui decidono di denunciare, la scarsa preparazione dei magistrati (in Italia solo il 13% ha una formazione specifica per trattare i casi di violenza di genere) portano a un gran numero di denunce ritirate, donne che non riescono a portare a fondo l’iter processuale, complice anche un contesto sociale e familiare che spesso non sostiene e aiuta il percorso di uscita da situazioni di violenza, soprattutto se domestiche.
In Unbelievable, però, la possibilità di uscire e di “salvarsi” viene preservata, per fortuna. Certo, serve l’ostinazione di due donne che di violenza ne hanno vista, servono indagini finalizzate e accurate, serve un cambio di prospettiva che mette al centro la vittima, le sue parole, le sue emozioni. Servono coraggio, tenacia, volontà. Servono vittime che trovano il coraggio di guardare in faccia il loro stupratore. Serve l’attenzione alla persona, alla donna, vanno messi da parte i pregiudizi. Perché se anche una donna, una persona, è eccentrica, “strana”, non convenzionale, magari è bizzarra in alcuni atteggiamenti come una delle donne vittime raccontate nella serie, non per questo merita discredito. Non per questo le sue parole non contano. Quello che fa la differenza – e in questo caso la differenza viene raccontata benissimo – è l’atteggiamento di chi ascolta, di chi si prende carico del caso, degli operatori che vengono a contatto con le vittime. Poliziotti, magistrati, investigatori ma anche medici, infermieri. Uomini o donne che siano. Ancora una volta, è la cultura che deve cambiare, devono cambiare gli occhi con cui ci guardiamo, uomini e donne. Solo così una ragazzina poco più che adolescente, Marie Adler, la cui storia ha ispirato la serie, avrebbe potuto evitare di essere violentata da un uomo prima e dalla polizia e dalla società intorno a lei, subito dopo.
In una scena, una delle poliziotte è in un bar. Un uomo la guarda: è bionda, giovane. Lei lo guarda a sua volta, sembra riflettere. Entrano delle ragazze, lo sguardo dell’uomo su di loro si fa insistente, fastidioso, pesante. Le ragazze se ne vanno, lui le segue con gli occhi puntati. Lei si alza, lui torna a guardare lei con insistenza. Con un gesto apparentemente casuale la donna scosta la giacca, mostra pistola e distintivo. Immediatamente l’uomo abbassa lo sguardo, sprofonda nel tavolo. Ho sentito una specie di liberazione, di rivalsa, in quella scena. E’ questa, anche, la cultura da cambiare. E non è che ci dobbiamo mettere in tasca pistola e distintivo, per questo!
Il prossimo 25 novembre, in occasione della giornata mondiale di lotta alla violenza contro le donne, ALley Oop organizza un incontro al Sole 24 Ore, via Monte Rosa 91, a cui interverranno giudici, avvocati, psicologi, associazioni che quotidianamente lavorano a contatto con questa realtà. Per informazioni e per registrarsi: alleyoop@ilsole24ore.com