Le aziende crescono con l’export ma l’export non è donna

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Marco Polo non porta la gonna. I giornali sono pieni di titoli “il settore tal-dei-tali si salva solo grazie all’export” e le donne sono tagliate fuori dal business del commercio internazionale. Siamo abituate a pensare che guadagniamo meno, che occupiamo meno poltrone o che guidiamo meno governi. Ma che anche vendessimo meno all’estero questo no, non me lo aspettavo. Peraltro, con percentuali decisamente ingenerose. Perché se nel caso dei ministeri o degli stipendi la media è di uno a tre, nel caso dell’export siamo a un rapporto di uno a cinque: solo un’azienda europea che esporta su cinque è guidata – o posseduta – da una donna.

I dati arrivano dal rapporto “From Europe to the world: understanding challenges for European businesswomen” che la Commissione Ue ha richiesto all’International Trade Centre. E oltre a certificare che le aziende al femminile sono meno propense all’export, ci ricordano anche che le (poche) imprese rosa che esportano sono mediamente più piccole e concentrate nei settori a minore potenziale internazionale. Insomma esportiamo meno, nei comparti meno redditizi, e partendo da dimensioni aziendali più piccole: ecco perché alla fine, ancora una volta guadagniamo meno.

Certo, nell’agroalimentare siamo ben posizionate, anche perché spesso si tratta di aziende di famiglia e capita non di rado che vengano ereditate dalle donne. Ma l’export alimentare nel nostro Paese non è la fetta più grossa: è l’industria manifatturiera che traina il commercio estero, e lì le donne in plancia di comando sono meno. Farmaceutica, auto, macchinari: questi sono i campioni dell’export europeo. E sono tutti settori a maggioranza maschile.

In una cosa, però, le donne europee sembrano più intraprendenti: nella capacità di cercare fondi per finanziare la propria attività di export. Fa domanda di finanziamenti all’internazionalizzazione il 17% delle manager contro l’11% dei colleghi maschi. Con una differenza: preferiscono rivolgersi ai fondi istituzionali Ue, le donne, mentre la maggioranza degli uomini punta dritto sulle banche commerciali.