Scuola, cosa aspettarsi dal nuovo ministro?

school-back-to-school-paper-colo

Dopo la crisi di governo, il nuovo esecutivo ha giurato al Quirinale, nella prima settimana di settembre. Incassato il voto di fiducia, rinnovati equilibri e una nuova maggioranza hanno delineato un quadro inedito.

fioramonti-miur-cosa-cambia-scuola-universitaAl dicastero dell’Istruzione, Università e ricerca è andato Lorenzo Fioramonti (M5S). Il suo curriculum che è già sui siti istituzionali dice di lui che è un accademico, esperto di economia e di Africa e che della politica non è un neofita, perché nel primo governo Conte era viceministro e sottosegretario del predecessore Busetti.

Fioramonti si occuperà di scuola e dunque di formazione. Ma cosa dobbiamo aspettarci dal nuovo ministro? Non c’è contratto di governo, stavolta, ma c’è un programma delle forze che compongono l’esecutivo. A un primo sguardo, sembra che Movimento5Stelle, Pd e Leu abbiano cercato una sintesi delle loro posizioni. Sappiamo intanto che l’incremento della dotazione delle risorse figura tra le priorità della legge di bilancio per il 2020, così anche la tutela della scuola pubblica intesa come tutela dei beni comuni. Sono, è vero, formule molto larghe; propositi che andranno riempiti di fatti.

Ed è proprio dai contenuti che bisognerebbe ripartire. Non si può prescindere, ci pare, da una questione di metodo. Per dirla senza troppi giri di parole da questo governo ci si attende un rinnovamento che ripensi le idee e riscriva i concetti, a partire però da un’ottica che per prima muti la prospettiva.

È su queste premesse che Alley Oop ha incontrato Monica Pasquino, presidente di Scosse.org, per capire cosa bisognerebbe suggerire al ministro che incomincia a guardarsi intorno.

L’ associazione di promozione sociale nasce a Roma nel 2011 da una startup dell’università di Tor Vergata ed ha una mission certamente molto ambiziosa. Al centro di tutte le sue iniziative c’è la scuola, ci sono le attività e le politiche che mirano a promuovere le pari opportunità, valorizzare le differenze di genere, l’intercultura. E, ancora, lotta alle mafie, alla violenza contro le donne, al bullismo, all’omofobia, alla tratta e a ogni fenomeno che leda la dignità degli esseri umani.

La domanda che apre questa riflessione non può essere che la più semplice. Qual è la scuola che vogliamo? La presidente di Scosse ha le idee chiare e una capacità di comunicazione che è slancio, impeto: “una scuola pubblica, laica, plurale, accogliente e realmente inclusiva. Una scuola che valorizzi le differenze, mettendo al centro il riconoscimento della soggettività e il protagonismo di ogni bambina e ogni bambino, di ogni ragazzo e ogni ragazza, favorendo l’incontro e lo scambio, e lavorando sulla costruzione di una comunità. Una scuola che abbia come obiettivo lo sviluppo dell’autonomia e del pensiero critico, la crescita di persone capaci di leggere la realtà e di cambiarla. Una scuola che investa nella formazione, riconosca il lavoro delle e degli insegnanti, costruisca dialogo con le famiglie senza rinunciare alle proprie scelte educative“.

Partiamo dall’educazione che della formazione è declinazione importante. La situazione in questo Paese è quanto meno complessa e Monica Pasquino prova a fare il punto. “Ci sono scuole che sentirebbero l’esigenza di portare avanti percorsi educativi contro gli stereotipi e sulle differenze, di contrasto al bullismo e alla violenza, di educazione sentimentale e contro l’omofobia o la trans fobia, scuole che spesso finiscono nel mirino di gruppi organizzati che minacciano azioni legali o creano vere e proprie macchine del fango e della disinformazione”.

È proprio sugli stereotipi che il progetto di Scosse si caratterizza per un approccio del tutto innovativo: “Il nostro lavoro, nella formazione di insegnanti, educatrici ed educatori così come nelle classi, è aiutare ognun* a indossare delle “lenti” per riconoscere e decostruire gli stereotipi che permeano la nostra cultura, fuori e dentro la scuola, dal linguaggio all’illustrazione, dai social media alla pubblicità. Non un tentativo censorio di imporre un modello rigido in sostituzione di un altro modello, ma un invito a mettersi in gioco in prima persona. L’approccio è orizzontale e laboratoriale: autonarrazioni, letture, simulazioni, lavori di gruppo e giochi di ruolo”.

Ma in Europa la situazione qual è? Un metodo di analisi comparata potrebbe portarci a ripescare La Clause, progetto nato negli anni settanta e mai superato, pensato con l’intento di promuovere l’armonizzazione verso l’alto delle leggi scritte per le cittadine europee.

Lo schema danese in quel contesto tra tutti era il modello scelto per l’educazione, anche dei piccolissimi, su temi urgenti come la sessualità. Era il 2016 quando il ministro per l’istruzione annunciava in Danimarca un piano nazionale contro il bullismo; oggi da più parti si festeggiano risultati assai positivi. L’Osservatorio Nazionale Bullismo e Doping, nelle parole della sua consigliera, conta che in 10 anni nel paese nord europeo gli atti di bullismo sono passati dal 25 al 7 per cento. Lì la scuola insegna già l’empatia.

Non è sempre completamente bianco o completamente nero, però. Basta aggiornare la disamina per scoprire che il terreno è scivoloso, fatto di contraddizioni.
Così c’è anche chi oggi mette in dubbio risultati che si davano per conseguiti. Anche in Danimarca. E accade che un approccio sbagliato esponga inevitabilmente la battaglia contro lo stupro a più scarse probabilità di successo. Smettere di considerarla una manifestazione della violenza contro le donne, depotenzierebbe le politiche di contrasto. A sostenerlo è Amnesty International che fa una critica di certo interessante. Bisogna tornare alla prospettiva di genere che nelle decisioni e nelle politiche manca ed è un vulnus da sanare. Non c’è perfezione, insomma, non ci sono ricette da copiare senza averle prima adattate.

“Serve – ci ricorda Monica Pasquino – un approccio trasversale e interdisciplinare all’educazione al genere e alle differenze che parta dalla primissima infanzia e attraversi tutti gli ordini di studi. Un’attenzione ai corpi, ai desideri e alle sessualità, all’affettività e alla costruzione di relazioni equilibrate e paritarie”.

Parliamo, in soldoni, di una rivoluzione culturale. Ma come si fa a rendere concreta un’ambizione così grande? La presidente di Scosse una risposta ce l’ha: si chiama Educare alle differenze.

Il progetto nasce 6 anni fa dall’idea di tre associazioni – SCOSSE, Stonewall e Progetto Alice – come un evento di scambio, autoformazione e confronto tra centinaia di formatrici e formatori, insegnanti, realtà impegnate nel mondo dell’associazionismo, della scuola e dell’educazione per dare una risposta all’attacco che veniva potente dalle realtà integraliste, contro la cosiddetta teoria gender. Un mondo di saperi e pratiche diffuse hanno trovato così un nuovo terreno di contaminazione. Dall’evento è nata poi un’associazione-rete che mette assieme alcune delle realtà fondatrici e delle più attive nei progetti educativi sulle differenze. Si è creato un luogo permanente di scambio e di solidarietà e, soprattutto, impegnato quotidianamente nel monitoraggio di quanto avviene nel mondo dell’educazione, sia sul fronte politico-isituzionale che sul piano sociale e della ricerca. Serve ad offrire un’interlocuzione autorevole e forte alle istituzioni e premere perché anche in Italia si torni a dare centralità e autonomia al mondo della scuola pubblica e laica. Una scuola che dia spazio a progetti di educazione sessuale e sentimentale, che lotta contra gli stereotipi, che intercetta e non censura i bisogni delle ragazze e dei ragazzi è il più potente strumento di difesa della democrazia e di contrasto a ogni forma di razzismo, discriminazione, omofobia e violenza di genere”.

Inevitabile è chiedere conto di un primissimo bilancio, allora. “Assolutamente positivo. Educare alle Differenze è giunto alla sua sesta edizione, ancora una volta completamente autorganizzata e autofinanziata. Ha attraversato l’Italia da Bologna a Palermo e quest’anno sarà ospitato a Pisa. Sono quasi 700 le persone finora iscritte per questa edizione, insegnanti consapevoli della necessità di intraprendere un lavoro quotidiano, ma anche associazioni che portano avanti progetti a lungo termine. Negli anni Educare ha incontrato una crescente attenzione anche da parte delle Istituzioni”.

E le risposte del sistema? “La situazione è a macchia di leopardo. Ci sono amministrazioni molto attente che difendono e promuovono, talvolta con coraggio contro aggressioni mediatiche, bellissimi progetti e altre che arrivano a censurare i libri per l’infanzia che non corrispondo alla loro visione bigotta delle persone, del genere o delle famiglie, o che introducono regolamenti discriminatori per escludere alcune bambine o bambini magari figli di migranti o famiglie povere da servizi essenziali come le mense sovvenzionate, che provano a ripristinare diciture discriminatorie nei documenti. Nel mezzo ci sono sempre le scuole”.

Se Educare alle Differenze è una sfida, in un Paese come il nostro non poteva che assumere i contorni di una battaglia che la presidente di Scosse conduce con grande rigore e lucidità. “La necessità di un lavoro continuativo, strutturato e condiviso è certo uno degli ostacoli maggiori perché richiede investimenti costanti e tempi dilatati, così come la quasi totale assenza di strumenti di tutela per garantire l’autonomia dei progetti, salvaguardare chi li conduce e arginare attacchi e interferenze. Ma fare rete e sostenersi reciprocamente in questo percorso continua a rivelarsi un’arma vincente”.

Quando le chiediamo cosa manca, la risposta non è timida: “Quello che manca e continua a mancare è un vero impegno coerente da parte delle istituzioni centrali, del MIUR, del legislatore, che anche quando ne ha avuto la possibilità, come con le leggi sulla Buona scuola, con il recepimento della Convenzione di Istanbul o la legge contro il cyberbullismo, ha perso delle occasioni. Ha rinunciato a chiamare le cose col loro nome, depotenziando gli interventi educativi previsti, puntando spesso sugli aspetti punitivi e penali e, talvolta, facendo persino l’occhiolino a certe pretese avanzate da gruppi di genitori integralisti che pensano di interpretare il loro ruolo di tutela di figli comprimendo sempre più l’autonomia di insegnamento e il ruolo stesso della scuola come istituzione laica e libera”.

E in conclusione, allora, cosa aspettarsi dal nuovo corso? “Il nuovo esecutivo nasce in un clima di cauto ottimismo, non foss’altro perché ministri come Salvini o Fontana che hanno per oltre un anno alimentato l’odio come strumento di parossistica propaganda politica sulla pelle di intere categorie di persone non sono più al governo. Ma restiamo in attesa dei primi passi concreti – conclude Monica Pasquino – Adesso alle nuove ministre e ai nuovi ministri spetta segnare coi fatti la discontinuità. Per il mondo della scuola c’è davvero tanto da fare”.

Un elenco, nemmeno troppo ampio, la presidente di Scosse lo abbozza, affinché da Alley Oop possa partire come suggerimento: “Bisogna cominciare dal ridare dignità e centralità alle e agli insegnanti, agendo in primis contro la precarietà, ai bisogni delle e degli studenti, garantendo la qualità educativa e il diritto per tutte e tutti di essere accolti e rispettati. Questo vuol dire rendere obbligatori nelle scuole percorsi di educazione alle differenze, al genere, alla sessualità, non solo sulla carta ma concretamente con le dovute tutele e i giusti investimenti. Perché investire nella scuola è investire sul nostro futuro e sulla nostra convivenza civile e democratica”.

In verità, senza volere essere ottimisti a tutti i costi, a toccare queste stesse corde ci era sembrato fosse già il neo ministro che, in una delle primissime interviste, usava parole di apertura: “Desideriamo nuove generazioni più responsabili, coscienti delle dinamiche ambientali e sociali che rischiano di distruggere la nostra società. Una scuola il più possibile capace di insegnare agli studenti ad essere collaborativi e cittadini attivi”.

L’auspicio è che Lorenzo Fioramonti possa cogliere gli spunti per una nuova stagione e, perché no, far seguire a questa nostra riflessione il suo contributo.