Ha ventiquattro anni. È giovane, bella, ha lunghi capelli castani e un sorriso dolcissimo. Ha talento. Frequenta l’Accademia di Belle Arti di Foggia e contemporaneamente segue un corso di fotografia, la sua vera passione. Un ritratto apparentemente normale di una ragazza speciale che fa di tutto per continuare a vivere i suoi anni, con la gioia e la freschezza che le spettano in questa fase della vita.
Claudia Amatruda è affetta da una malattia rara di cui non si conoscono le cause, né l’origine, ma che soprattutto è invisibile all’esterno e si fatica a credere che sia così. «Il dolore c’è ma non si vede – racconta Claudia – e si agisce solo per alleviare i sintomi». Conosce e ne riconosce solo i segnali e tutto ciò che ne consegue, ma una definizione vera e propria, a distanza di cinque anni dalle prime avvisaglie, non c’è stata e così si continua a viaggiare nel limbo delle supposizioni e delle ipotesi. «Avevo 19 anni ed era il periodo degli esami di maturità – ricorda – ovviamente non capivo cosa mi stesse succedendo, pensavo fosse una cosa passeggera e all’inizio non ci diedi molto peso; continuai per un po’ a comportarmi come se nulla fosse, come se stessi benissimo, fino a quando poi i sintomi hanno iniziato ad aggravarsi e io e i miei genitori abbiamo iniziato a girare gli ospedali d’Italia in cerca di risposte».
La pista è quella di una diagnosi semi-definitiva che parla di “Neuropatia delle Piccole Fibre, Disautonomia e Connettivopatia ereditaria”. «Signorina, deve avere pazienza» è la frase che si è sentita ripetere un’infinità di volte. È forte Claudia. Ha un coraggio straordinario e non si arrende all’immobilità e ai limiti che la malattia le pone innanzi giorno dopo giorno, alternando farmaci, sedute di fisioterapia e tanta piscina, le attività che le consentono di stare in piedi. «Attualmente le cose più difficili da fare sono salire le scale, correre, e stare in piedi o camminare per più di 10/15 minuti – precisa – sono difficili, ma non impossibili, con la mia testardaggine, un po’ di sacrificio ma soprattutto l’aiuto fisico delle persone che mi stanno vicino, posso fare tutto».
E poi nelle sue giornate c’è la fotografia a darle la carica e la motivazione ad andare avanti. Perché Claudia non è una che si tira indietro, che si nasconde nella sua stanza a piangere, ma porta avanti la sua personale battaglia ogni giorno, raccontando la sua testimonianza. «Le mie giornate sono un po’ come quelle di tutti – aggiunge – ma con ritmi più lenti e scandite da pillole mattina, pomeriggio e sera. In generale posso dire di dover dosare sempre le mie forze, e dover scegliere attentamente in cosa investire le mie energie per arrivare a fine giornata ancora “intatta”. Ma comunque durante la settimana c’è sempre la fotografia, lo studio, tanto riposo a letto, la fisioterapia in piscina e qualche uscita con gli amici!».
La fotografia è entrata per caso nella sua vita, grazie all’incarico che le diedero i suoi genitori da ragazzina. «I miei genitori dipingono da quando sono nata – racconta – e quando ho compiuto 14 anni hanno deciso di portarmi in giro per le loro mostre, con un incarico in particolare, avrei dovuto fotografare le esposizioni per conservarne i ricordi. Così è iniziato tutto, ma non avrei mai immaginato di appassionarmi a tal punto da farla diventare oggi una professione». La fotografia assolve ad una funzione terapeutica e di elaborazione di una situazione non affatto facile da gestire, e che fortuna non lesina soddisfazioni.
In queste settimane, compatibilmente con i suoi ritmi, va in giro a presentare il suo libro Naiade, nato grazie ad un progetto di crowdfunding. Ovunque vada il pubblico la accoglie con entusiasmo e scioglie le sue paure. Nasce all’inizio come un diario per raccontare le sue giornate, le ansie, per poi trasformarsi in qualcosa di più: «Naiade rappresenta me stessa, è la mia storia – afferma – ho deciso di raccontare attraverso le fotografie, non solo ciò che mi fa star bene, ma proprio la mia vita, la sofferenza di una malattia ancora incerta, tra ospedali, medicine, mesi interi in casa, e piscina. E’ nato due anni fa come un diario fotografico e poi con tanto studio all’interno di un Master in Progetto Fotografico, tentativi, continui edit, critiche e consigli, è diventato adesso un libro di fotografie pubblicato grazie ad una campagna di crowdfunding su Ulule che si è conclusa qualche mese fa, e adesso finalmente in vendita online e in alcune librerie della mia città».
Claudia è una ragazza piena di vita. Si pone degli obiettivi, come quello di continuare a studiare fotografia, e fa di tutto per raggiungerli. Spera nella ricerca e in terapie sperimentali. Perché malattia rara significa anche e soprattutto questo: «Sicuramente l’assenza di una diagnosi certa e restare nel buio per tanto tempo, non avere risposte o possibilità di cura, sono le cose più sconfortanti e difficile da accettare – conclude – ma per fortuna le persone non sono più indifferenti da quando ho deciso di parlare apertamente della mia condizione, anche se noto che è ancora radicata tra la gente la convinzione per cui le disabilità devono essere per forza visibili all’esterno, altrimenti è un po’ come se non esistessero; questo fa un po’ male, ma sensibilizzare molto su questa tematica credo sia l’unico modo per cambiare la visione delle cose».