“Purpose”. E’ la parola chiave di questa intervista a Massimo Massarotto, fondatore di Apepak. Da questo termine è partito un progetto lanciato da un veneto trapiantato a pochi passi da San Francisco, che, insieme ad un gruppo di amici idealisti e sognatori come lui, ha saputo unire testa e cuore in un’idea tanto innovativa e rivoluzionaria, quanto semplice. Apepak è il primo involucro naturale per cibo al 100%, riciclabile ed etico. È prodotto con cotone biologico certificato GOTS, proveniente da coltivazione biologica e filiera sostenibile. Una miscela di ingredienti (cera d’api biologica da fornitori selezionati dalla World Biodiversity Association, resina di pino e olio di jojoba), inoltre, rende il prodotto malleabile, antisettico e termoformante ed è l’unico certificato HACCP. Dalla natura, insomma, abbiamo ancora una volta tutte le risposte e le soluzioni. Risparmio di risorse energetiche e di denaro, riduzione di plastica degli imballaggi per il cibo (l’uso di Apepak consente un risparmio all’ambiente di 1 metro quadrato di pellicola di plastica o incarti usa e getta).
“Purpose” vuol dire “scopo”, ma vuol dire anche “motivazione” ed è necessario, oggi più che mai, trovare quella giusta, quella che rende fieri di andare avanti, che dà la sveglia al mattino e spinge a migliorare le cose intorno a noi, ma prima e soprattutto noi stessi. «Ho sempre voluto fare qualcosa di utile per me e per gli altri, anche a livello spirituale. Me ne sono andato via dall’Italia perché avevo preso tante fregature e avevo voglia di riscattarmi» commenta Massarotto, che alle spalle ha un solido background maturato nel settore del brand management e del marketing.
Spesso capitava a San Francisco per lavoro, dove ha avuto modo di entrare in contatto con il mondo delle startup, respirandone l’atmosfera energica e frizzante della progettazione, delle novità, della voglia di fare. Ed ecco il “purpose”, la leva che fa nascere in Massimo l’intuizione imprenditoriale sul business da lanciare con lo schema del “Lean Start Up” (metodologia elaborata da Eric Ries nel 2008): sua moglie Molly vuole regalare agli amici delle pezze cerate per avvolgere i cibi per Natale. L’ispirazione giunge così inaspettata e sorprendente: «Ho saputo capito che in quell’idea c’era qualcosa di buono e di valido – dichiara Massarotto – e che avrebbe avuto successo perché non era un’idea mia (ride, ndr). Ci ho provato per tanti anni, ma ricadevo sempre negli stessi errori, negli stessi circoli viziosi».
All’inizio il prodotto realizzato in maniera sperimentale viene testato nel giro di amici e di familiari (circa 200 famiglie in totale hanno provato il prodotto e risposto a questionari e questa fase è parte integrante della Lean Start up) e il riscontro è sempre stato ovunque più che positivo, totalizzando alla fine il 98%. Dopo circa un anno e mezzo, nuovi prototipi, migliorie e aggiustamenti, e successivi test, Massimo, Molly e compagni si sono sentiti pronti per lanciarsi in questa pionieristica avventura imprenditoriale, facendo conoscere il prodotto ad un pubblico più ampio. In soli quattro mesi di vita di Apepak, le vendite già raddoppiano ogni mese, e sono già tante le aziende che stanno facendo la corte.
Dieci persone nella Cooperativa sociale Sonda impegnate nella produzione (al ritmo di circa 250 confezioni al giorno), cinque nel team creativo, tecnologico e amministrativo, un anno e mezzo circa per la progettazione e il lancio sul mercato, due importanti collaborazioni (WBA, World Biodiversity Association e Slow Food). Questi i numeri di un progetto che ha un cuore italiano, ma uno schema e un approccio al business tutto californiano (“Crea un’ipotesi, testala e spendi il meno possibile, ovvero ideazione-verifica-modifica”) nella filosofia di realizzazione. Un progetto imprenditoriale che ha come obiettivo anche l’impegno di continuare a innovare. Una struttura dinamica e globale, perché gestita tra l’Italia e la California («Qui c’è molto altruismo, diversamente, devo ammetterlo – dichiara – da quello che accade in Italia, soprattutto in tempi di crisi. C’è voglia di mettersi a disposizione e di lavorare per gli altri. Sento spesso dire “Che cosa posso fare per te?”. “Come posso aiutarti?”. Questo è un approccio che ha rivoluzionato il business»), e che sposa l’etica e la cultura del riutilizzo.
Scardinare la mentalità dell’usa e getta oggi non è facile, a dirla tutta e ad Apepak lo sanno bene. Ciò che bisogna supportare è un movimento di rinnovamento con risultati tangibili. Ogni aspetto è curato nei minimi dettagli nella scelta di una filiera interamente biologica e sostenibile: la cera d’api proviene da allevamenti di apicolture a pratica sostenibile e libera da pesticidi, certificati dalla World Biodiversity Association. E poi ci sono i ragazzi di Sonda, che hanno diverse problematiche alle spalle, ma che grazie a questo impiego riescono a lavorare dignitosamente, recuperando un posto nella società.
Apepak nasce, dunque, con un grosso bagaglio valoriale alle spalle e non è stato un percorso facile, come sembra, sebbene i sorrisi di soddisfazione oggi siano di più delle perplessità affrontate. La difficoltà più grande, racconta Massarotto, è stata trasmettere l’idea alle parti coinvolte e renderle partecipi, convincendole che alla fine avrebbe avuto successo. Perché il cambiamento più grande è quello che deve avere inizio nello stile di vita di ciascuno. Ma si è trattato di un periodo necessario perché ha comunque permesso di testare iniziative e di mettere a punto l’intero progetto.
«Con Apepak ho riacquistato fiducia nel genere umano – rivela – e già siamo proiettati in avanti con altri side projects, anche se dobbiamo lavorare per assicurare futuro al prodotto. Stiamo anche valutando l’ingresso eventuale nella GDO perché abbiamo ricevuto molte proposte in tal senso. Ci piacerebbe soprattutto che Apepak entrasse anche nelle cucine professionali». E mentre lo fanno, mettono in pratica il motto “Share as you go”, ovvero “Condividi il successo mentre vai”, partecipando a progetti per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema del riutilizzo e della salvaguardia dell’ambiente, anche a scapito del ritmo di crescita. Un business etico e sostenibile è l’unico possibile per il nostro futuro.