Evitare i femminicidi si può, serve una rivoluzione culturale

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Quasi ogni giorno si aggiorna il contatore delle donne vittime di violenza o di femminicidio. Eppure i femminicidi, scrive in una recente pubblicazione il giudice Fabio Roia, uno dei maggiori esperti nel settore, “sono tragedie assolutamente evitabili. Le convenzioni e le leggi, in Europa e in Italia, ci sono. Le politiche pensate per creare un diverso approccio culturale nei confronti del rispetto del genere femminile anche”. Che cosa manca allora? Perché ogni giorno siamo costretti ad aggiornare il bollettino della violenza? E’ per dare una risposta a questa domanda che la redazione di Alley Oop-Il Sole 24 Ore, con due successivi e book patrocinati dal dipartimento per le Pari opportunità, ha indagato i numeri e la portata del fenomeno, le cause e le possibili soluzioni, il quadro normativo esistente e i provvedimenti in cantiere. Ed è di questo che si parlerà il 13 maggio nella sede del Sole 24 Ore nell’evento “Ho detto no. Come fermare la violenza contro le donne” che vede la partecipazione, tra gli altri, del sottosegretario alla Giustizia, Vittorio Ferraresi.

I numeri fotografia della violenza: un femminicidio ogni 72 ore

Ma partiamo dai numeri perché  i numeri meglio delle parole inquadrano una piaga con cui ognuno di noi è chiamato a fare i conti. In Italia in media avviene un femminicidio ogni 72 ore, secondo dati Eures di ottobre 2018. Almeno una donna su tre, dice l’Oms, nel mondo è stata vittima di violenza nel corso della sua vita. In termini numerici, sono all’incirca un miliardo. Guardando al caso italiano stando ai dati Istat del 2014, i più recenti a disposizione, nel nostro Paese sono ben 6 milioni e 788mila le donne, di età compresa tra i 16 e i 70 anni, che hanno subito nel corso della loro esistenza una violenza, che sono state molestate, perseguitate, aggredite, picchiate, sfregiate. Si tratta cioè del 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni.

Investire nella violenza conviene, anche economicamente

Un fenomeno di tale portata non può non tradursi in un costo per lo Stato, tra spesa sanitaria, sociale, giudiziaria, mancato apporto al pil delle donne vittime. Non c’è sul tema una stima ufficiale ma,  secondo la onlus We World, in un anno, tra diretti e indiretti, si calcolano costi per 17 miliardi di euro. Per Eige, l’istituto europeo per la parità di genere siamo a 13 miliardi considerando la sola violenza domestica.

Anche da un punto di vista strettamente economico, allora, investire sulla lotta alla violenza di genere conviene. Per un intervento completo, a 360 gradi, serve però un impegno finanziario da parte dello Stato.   A questo proposito un passaggio fondamentale è stato rappresentato dalla legge del 2013 anti femminicidio che prevede risorse annuali per centri antiviolenza e piano di azione. E’ sicuramente un passo avanti, ma i finanziamenti, come denunciano i centri anti violenza che talvolta rischiano la chiusura, non sono ancora sufficienti. E siamo comunque ben lontani dalle cifre della Spagna che in un solo anno ha stanziato un miliardo di euro.

Le leggi ci sono, il problema è la loro applicazione

Dai numeri alle leggi. Perché buone leggi e buone sentenze sono tra gli strumenti più efficaci per combattere la violenza e per fungere da deterrente. Dall’inchiesta svolta da Alley Oop emerge che di strada in Italia se n’è fatta tanta, ma molto c’è ancora da fare, soprattutto in tema di applicazione della legge. Guardando il bicchiere mezzo pieno, basti ricordare che  l’abolizione del delitto d’onore risale al 1981 e fino al 1996 la violenza sessuale era solo un’offesa contro la morale. Da allora molti passi avanti sono stati compiuti. Nel 2013 l’Italia ha ratificato la convenzione di Istanbul per la lotta alla violenza e, nello stesso anno, ha varato la legge anti femminicidio che, oltre a prevedere finanziamenti ad hoc, arricchisce il codice penale di aggravanti e innalza le tutele delle vittime. L’ultimo provvedimento sul tema è il Codice Rosso, che non è ancora legge, ma ha passato l’esame della Camera. Un provvedimento che, al di là delle critiche e dei possibili ulteriori miglioramenti, ha un alto valore simbolico. Sono presenti novità estremamente positive, come l’introduzione del reato di Revenge porn e del raccordo tra processo penale e civile quando incidono sullo stesso caso di violenza. Ci sono aspetti ancora da migliorare come la mancata, e auspicabile, previsione dell’arresto in flagranza differito, alla stregua dei reati commessi nelle manifestazioni sportive. E norme da rivedere come, secondo quanto sottolineato ieri dalla sesta sezione Csm nel parere sottoposto oggi al voto del plenum, il termine troppo rigido dei tre giorni entro il quale il pm deve ascoltare la donna vittima di violenza .

Altre proposte di legge sulla bi-genitorialità perfetta, vanno invece  in direzione opposta alla strada della maggiore tutela della donna vittima di violenza.  E’ ancora aperto il dibattito sul Ddl del senatore leghista Pillon di riforma dell’affido condiviso che legittima l’alienazione parentale, usata spesso nei tribunali come una clava contro le donne. In molti chiedono il ritiro del disegno di legge.

Se le leggi italiane passano comunque a pieni voti l’esame, il nodo su cui lavorare è l’applicazione. In Italia le sentenze di condanna rappresentano il 55% del totale, per la durata, siamo a due anni e mezzo nei tribunali e un anno nelle procure. Inoltre i dati emersi da due differenti indagini dell’Università Bicocca mostrano una grande divergenza tra impianti accusatori e sentenze finali, che spesso ridimensionano e sottostimano la gravità della violenza a cui le donne vittime sono state sottoposte. Un’ulteriore nota dolente è costituita dalla formazione dei magistrati. Solo  il 31% delle procure ha sezioni o collegi specializzati; la percentuale scende ancora per i tribunali  (al 17%)  mentre nel 19% delle procure (e solo nell’8% dei tribunali) sono stati configurati criteri di valutazione del rischio per prevenire la recidiva o l’escalation della violenza. E’ ancora troppo poco.

I pilastri della lotta alla violenza, dall’istruzione alla formazione

La formazione, non solo dei magistrati ma di tutti coloro che entrano in contatto con le vittime, è una delle leve più appropriate su cui puntare per risolvere il problema della violenza di genere. Ed è tra i pilastri delle prevenzione previsti nell’ultimo piano anti violenza messo a punto dal dipartimento per le Pari opportunità sentendo tutte le parti coinvolte per il triennio 2017-20. Un altro pilastro è costituito dall’istruzione: come ricorda la professoressa Patrizia Romito, bisogna iniziare all’asilo nido a fare prevenzione, per formare al meglio gli uomini di domani. Per prevenire violenza e recidive è poi fondamentale agire sugli uomini maltrattanti.  Attualmente i centri attivi, mappati da Istat e Cnr, sono 59, alcuni caratterizzati da più sedi, con 76 punti di accesso. La maggior parte è al Nord. Come afferma la Convenzione di Istanbul, infatti, oltre alla protezione delle vittime e alla protezione dei colpevoli, è fondamentale agire sulle prevenzione. E’ necessario un intervento culturale e formativo a 360 gradi perché la violenza non è frutto di raptus o ‘tempeste emotive’, ma si annida nella cultura patriarcale ancora esistente.


*** Alley Oop si è occupata della violenza contro le donne nell’ebook #hodettono pubblicato lo scorso 8 marzo con Il Sole 24 Ore. La presentazione dell’ebook si terrà il 13 ma08ggio, alle ore 18.00 presso la sede del Sole 24 Ore a Milano

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