L’algoritmo nascosto del “vero amore” si basa sul caso o sulla scienza?

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C’è una biologa antropologa di una certa fama dietro all’algoritmo di alcune app di dating del gruppo Match.com: Helen Fisher. La conoscevo come autrice di libri come “Il primo sesso. Come le donne stanno cambiando il mondo” e l’ho ritrovata sul numero speciale di Harvard Business Review dedicato a “Le neuroscienze dietro al business”.

Da un po’ di tempo osservavo Tinder con sguardo sempre più critico: come mai mi chiede così poco di me? Possibile che il matching debba essere per forza così casuale? Conosco il potenziale di raccolta dati della tecnologia: un’app può chiederti facilmente e velocemente quasi tutto di te e usare i tuoi dati per darti un servizio migliore. Perché, avevo iniziato a domandarmi, Tinder non lo fa?

In maniera estremamente superficiale, Tinder ti chiede praticamente solo dove sei, l’età e la distanza dei tuoi potenziali incontri e due righe di auto descrizione, nemmeno obbligatorie. Il resto lo lascia al caso, alla tenacia, alla curiosità e alla capacità di chattare – che alcune persone hanno più di altre.

Ma conoscersi serve per innamorarsi, oppure è un punto di vista antiquato? Un anno fa, quando sembrava che Facebook stesse per lanciare il suo servizio di dating, un noto comico americano lo prendeva in giro proprio perché “di che cosa potevano parlare a un primo appuntamento due persone che già si conoscevano su Facebook?”. Sapere così tanto della quotidianità di uno sconosciuto avrebbe ucciso qualunque speranza romantica (o sessuale, secondo il video).

D’altra parte, quante possibilità abbiamo di innamorarci girando le figurine infinite di un’app che non sa niente di noi? La scienza può aiutare? Torniamo alla bio-antropologa Fisher, che sembra aver trovato la formula biologica dietro all’anatomia dell’amore: grazie a un test online gratuito e aperto a tutti (già fatto da 14 milioni di persone nel mondo), possiamo infatti scoprire qual è il nostro tratto prevalente tra queste quattro combinazioni:

1) se prevale la dopamina: siamo “esploratori”, amanti del nuovo e del rischio, energici e affettuosi e sempre in cerca di libertà;
2) se prevale la serotonina: siamo “costruttori”, più socievoli e tradizionali e con più desiderio di appartenenza;
3) se prevale il testosterone: siamo “direttori”, più direttivi, scettici e assertivi, più portati per i cosiddetti “sistemi basati sulle regole” come l’ingegneria, la matematica, la meccanica;
3) se prevalgono estrogeni e ossitocina, siamo “negoziatori”, più intuitivi, fiduciosi, empatici e sensibili ai sentimenti degli altri, dei bravi comunicatori.

Tutti abbiamo una combinazione dei quattro tratti, ma il nostro profilo prevalente consente al sistema di indicarci anche la giusta combinazione da cercare nella nostra anima gemella. Come convincere, però, il potenziale fidanzato a fare lo stesso test? Potrebbe non essere necessario: in qualche punto di una o più delle app di dating che appartengono al gruppo Match, con cui la professoressa Fisher collabora come esperta, deve essere nascosto il metodo in grado di farci incontrare in modo scientifico persone più adatte a noi.

In effetti, ho appena scoperto che la maggior parte delle app di dating appartengono alla stessa famiglia: Tinder, Meetic, Match.com, OkCupid, Pairs, PlentyOfFish, per citarne alcune, appartengono tutte al Gruppo Match.

Proprio come spesso la stessa azienda possiede diversi detersivi in concorrenza tra loro, e li segmenta e differenzia per pubblici diversi.

Ecco forse spiegato perché Tinder non “approfondisce”: si posiziona volontariamente nell’area di maggiore superficialità e casualità – e più a basso costo. Ho dato un’occhiata veloce a Meetic e ho visto che qui occorre pagare anche solo per iniziare a comunicare: più accurato il servizio, più caro il prezzo, fino ad arrivare tranquillamente a centinaia di euro al mese. D’altronde, se davvero si tratta di trovare la persona giusta, chi non spenderebbe un po’ di più per perdere meno tempo e autostima in decine di incontri sbagliati?

Immagino quindi che i benefici dell’algoritmo scientifico della dottoressa Fisher siano destinati a chi può e vuole pagare. L’unico modo per vedere se il risultato è davvero così diverso dalle figurine casuali di Tinder è trovarlo e provarlo. Ne riparliamo tra qualche settimana…