Eli e Massimo: otto anni di violenza e manipolazione scambiati per amore

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Non sono le umiliazioni, i tradimenti, gli insulti, le minacce, la gelosia ossessiva, lo stalking giudiziario. Non sono nemmeno le botte, persino mentre Elisabetta è incinta. A colpire di più, nell’autobiografia romanzata “Sei mia. Un amore violento” scritta da Eleonora de Nardis (Bordeaux Edizioni), è la lucidità del racconto della discesa agli inferi di una donna in nome di una «cieca infatuazione». Centottantasette pagine che smascherano la credenza più comune, quella che porta tante di noi ad affermare sicure: «A me non potrà mai succedere». Non è vero. Eleonora mette nero su bianco la facilità della progressiva abitudine al male. Il male banale, per citare Hannah Arendt, anche quando pervade le relazioni sentimentali. Come sanno bene tante, troppe donne.

«Quel che ora penso veramente – scriveva Arendt – è che il male non è mai radicale, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo». Come un fungo, Massimo – noto avvocato romano, sposato e padre di due figlie – cresce e si espande sulle fragilità della bella Elisabetta, giornalista televisiva già affermata. Che lo incontra nel periodo di massima fragilità nella vita di una donna: a 29 anni è madre di due figli piccoli (Tati ha due anni, Rocco appena dieci mesi) e sola. Il marito era pieno di debiti, e glielo aveva taciuto. «Mi ritrovai senza lavoro, con un protesto bancario, uno sfratto esecutivo, creditori affamati». Massimo, amico d’infanzia di suo padre, è il legale cui si rivolge per chiedere aiuto. Non sa che quell’incontro sarà il principio di un incubo lungo otto anni.

L’inizio, come tutti gli inizi di una relazione, è inebriante. Nel primo anno di frequentazione legato a meri motivi professionali (Massimo cura la separazione di Elisabetta, le fa ottenere l’affido esclusivo dei figli, le risolve più di una questione patrimoniale), l’avvocato diventa per la giovane donna «un amico, un confidente, uno scoglio a cui aggrapparsi». In un giorno di sconforto nell’estate 2006, lui la bacia nel suo studio e le dice: «Va tutto bene. Perché io ti amo». Lei, «insicura, confusa, ferita ma vanesia», gli crede. Cominciano a frequentarsi, in un appartamento del centro storico di un amico deputato, nelle trasferte di lui a Monopoli, le domeniche mattina nei parchi romani con tutti e quattro i bambini. E come da copione Massimo le promette che lascerà sua moglie e che andranno a vivere tutti insieme, come una famiglia.

Le avvisaglie del male si presentano quasi subito. Le attenzioni di Massimo sono esagerate, quasi ossessive. Telefonate continue, serie infinite di messaggi, «dapprima accorati e in apprensione, poi sempre più indagatori, poi minatori, infine pieni di insulti». Elisabetta minimizza, come facciamo in troppe. Cancella subito i messaggi, come se insieme ne eliminasse la portata offensiva. Giustifica il suo comportamento in nome della maggiore libertà di movimento di cui lei gode, come donna separata. Tollera incursioni improvvise, anche in vacanza, controlli incrociati a distanza nei luoghi in cui gli scrive di essere. Le partenze folli, i chilometri macinati furiosamente, gli scoppi d’ira seguiti dai singhiozzi disperati la allertano, tanto più che Massimo non rinuncia alla sua routine coniugale, ma la sirena non suona abbastanza. Un’amica, lucida, le chiede: «Ma non hai pensato che se lui sospetta che tu lo stia tradendo è perché di solito lui lo fa senza problemi? Non ti viene il dubbio che le cose di cui accusa te sono in realtà le cose che lui fa normalmente e quindi è sicuro che tu sia come lui?». Elisabetta non è pronta per capirlo. Al termine della prima estate insieme baci appassionati, preghiere di perdono, abbracci, nuove promesse. Lei resta incinta, lui la fa abortire e poi le impone di prendere la pillola.

Come quando davanti a un film lo spettatore onnisciente muore dalla voglia di avvertire il protagonista di quello che gli sta per succedere, così a questo punto del libro il lettore o la lettrice sono colti dalla smania di scuotere Elisabetta da quello che appare come un torpore dell’anima. Un ottundimento della ragione. I mostri sono già lì, fuoriescono dalle pagine come altorilievi. Ma Eli, «nel vortice delle sue zone grigie», li sotterra. Quando la moglie di Massimo scopre la relazione, lui, nervosissimo, colpisce Elisabetta: uno schiaffo a mano aperta in pieno viso. Il primo di un lungo tragico elenco. Quella sera Massimo chiude Eli e i figli in casa, di cui si era offerto di pagare parte dell’affitto, e porta via le chiavi e il telefonino di lei. La mattina dopo le fa trovare ai piedi del letto il maltolto, tre cornetti, una rosa bianca e un biglietto con la richiesta di non abbandonarlo.

Di queste forme di violenza psicologica è piena la letteratura scientifica. Dinamiche denigratorie e mortificanti tese a distruggere l’autostima del partner assicurando nel tempo, attraverso i sensi di colpa, una totale dipendenza dall’aggressore. Sempre alternate con attenzioni esagerate, lusinghe, premure morbose, poi rinfacciate come segni di amore. Il manipolatore affettivo agisce così, abile a indossare costumi diversi a seconda della vittima prescelta. Corteggiatore astuto, bugiardo a livelli patologici, vampirizza le donne per ottenere continue rassicurazioni. È in genere per questo un traditore seriale, bulimico, proprio come Massimo.

Elisabetta finisce nella rete senza anticorpi e senza difese davanti a quella vischiosità malata sconosciuta al suo alfabeto emotivo. Lei così attraente, solare, legatissima alla sua famiglia d’origine, innamorata dei suoi figli, estroversa e piena di fiducia verso gli altri, si vede allo specchio come «una donna adulta affamata di affetto e attenzioni, senza una casa propria, spesso senza uno stipendio, con due bambini da sostentare e tante occasioni sprecate». Massimo non fa che avvalorare questa lettura, facendola sentire «stupida e inadeguata rispetto a lui». A fine ottobre 2007, Massimo prende in affitto per Eli e i suoi bambini un sontuoso appartamento ai Parioli, il quartiere bene della città. Quattrocentro metri quadrati: una reggia che si trasforma in una prigione, dove lui non si trasferirà mai perché continuerà a vivere con la moglie, ma dove li chiuderà dentro, con l’allarme inserito, ogni sera per sette anni.

Il resto del libro scorre via tra botte, interventi della polizia e referti del pronto soccorso, un esposto poi ritirato, pretese di pasti e pulizie maniacali, tentativi di fuga di Eli e patetiche riconquiste. A dicembre 2008 Elisabetta scopre di essere incinta e decide di tenere la bambina, contro la volontà di Massimo. Cinque mesi dopo, si assopisce mentre è a Ostia con i genitori e non gli risponde subito al telefono. La sera è una pioggia di schiaffi e calci dietro la schiena. Di nuovo un verbale degli agenti, di nuovo la fuga a casa dei genitori. Elsa nasce a metà agosto del 2009, lui la riconosce e tutto torna come prima. «Il mio – registra Elisabetta – era un continuo, disperato tentativo di normalizzare anche la condizione più nera». Pur di lavorare, Eli acconsente a scrivere tre monografie per Massimo, mai retribuite. La prima, ironia della sorte, è sulla violenza di genere e lo incorona esperto della materia, spesso ospite di trasmissioni televisive insieme alle sue assistite. Una racconterà di aberranti pretese a sfondo sessuale. Lui si assenta sempre più spesso e, quando c’è, non fa che armeggiare con il cellulare.

Nell’autunno del 2013 Massimo inizia lunghi viaggi transoceanici. Per arbitrati internazionali, sostiene, scrivendo dall’estero lunghe mail appassionate a Elisabetta. L’estate successiva, in Puglia, lei scoprirà la sua relazione con una hostess, vittima ignara anche lei, che alla fine deciderà di testimoniare al processo. Una delle tante donne rimaste intrappolate nella ragnatela. Perché la storia di Eli finisce con una notte di terrore, semplificata dalla cronaca come un’aggressione di lei contro di lui, e con una guerra a colpi di carte bollate. L’ennesima violenza che Massimo le infligge è infatti quella giudiziaria, con decine e decine di denunce e la minaccia suprema nota a tante madri: quella di toglierle la figlia. A inizio 2018 viene rinviato a giudizio per maltrattamenti e stalking. Violenza fisica e morale. Eli prova a rinascere. Eleonora, l’autrice, dedica il suo libro alla figlia, amatissima: «Perché viva il suo essere donna come un surplus e mai come una deminutio, perché sappia guardare oltre e perché appartenga sempre e solo a se stessa». Un libro da leggere d’un fiato e tenere tutte e tutti sul comodino, a mo’ di promemoria: niente di tutto questo è amore.

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Eleonora de Nardis
Sei mia – Un amore violento
Ed. Bordeaux, 2018
187 pagine
costo: 16 euro

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