Foto di gabbie, audio di bambini in lacrime che chiamavano la loro mamma o il loro papà. La vicenda dei minori separati dai loro genitori al confine del Texas ha colpito molto le coscienze, in tutto il mondo. Voci e immagini strazianti, inaccettabili, che hanno portato a una rivolta nell’opinione pubblica globale, talmente forte da contribuire in maniera decisiva alla svolta dell’amministrazione Trump sulla scelta di dividere i genitori che tentavano di entrare illegalmente negli Stati Uniti dai loro figli minorenni. Sono stati circa 2.500 i bambini coinvolti, da inizio maggio a metà giugno. Ora, gradualmente, le famiglie potranno riunirsi.
La separazione di un bambino da un genitore è un problema concreto, reale, drammatico. Non si tratta solo di pietà umana (che comunque vale la pena esercitare e allenare). Gli effetti di una separazione violenta e improvvisa oppure prolungata di un bambino dalle sue figure di riferimento sono predittive di problemi di ansia, depressione e disturbi comportamentali. Nei casi più gravi, questa deprivazione può portare a regressione e disturbi psicopatologici estremamente seri. Che i bambini debbano poter stare con i propri genitori è per noi una affermazione quasi scontata. In realtà, è una scoperta scientifica tutto sommato recente, visto che risale agli anni 50 del secolo scorso. John Bowlby, a cui si deve la teoria dell’attaccamento sui cui poggia le basi tutta la moderna psicologia infantile, si è occupato per primo di separazione e perdita sin dal 1930. All’inizio degli anni 50 è uscita l’opera “Maternal Care and Mental Health”, commissionata dall’OMS allo stesso Bowlby. Per la prima volta fu scritto nero su bianco che c’erano evidenze scientifiche degli effetti negativi a livello psicologico sui bambini di periodi prolungati di “deprivazione materna” (o di assenza di relazione e contatto con le figure di riferimento). Fino a quel momento il ruolo fondamentale dell’attaccamento e della vicinanza di figure di riferimento non era mai stato considerato, studiato, dimostrato. Nei decenni successivi, un’ampia mole di studi ha messo in evidenza che questa deprivazione provoca conseguenze a livello di sviluppo del cervello, di apprendimento e di salute fisica.
I bambini, quando vengono separati dalle figure di riferimento, affrontano tre fasi: la protesta, la disperazione e il distacco. Sono fasi che vediamo anche in situazioni assolutamente normali e quotidiane, ma che si acutizzano in maniera drammatica se la separazione è violenta o prolungata. Per esempio, se al momento della separazione la mamma o il papà (o la figura di riferimento) sono spaventati, alterati, disperati come potevano essere i clandestini che tentavano di entrare in Texas, per il bambino l’esperienza di separazione diventa un vero dramma che può influenzare il normale sviluppo emotivo del bambino.
Pensate, per esempio, a quanta cura e attenzione si mette negli inserimenti dei bimbi piccoli all’asilo nido o anche alla scuola dell’infanzia. E alle raccomandazioni delle maestre di salutare sorridendo, serenamente e senza preoccupazione i propri bimbi. Pensate con quanta meticolosità si osservano i distacchi e le reazione (della mamma o del papà e del bambino) al momento della separazione e nelle fasi successive: conta il contesto, più o meno familiare, conta la presenza di altre figure (in questo caso le maestre e i maestri) che possono dare conforto e aiutare il bambino a superare la difficoltà del distacco, conta la serenità dei genitori al distacco e nel momento della riunione. Non si tratta di eccesso di zelo: si tratta di abituare il bambino a stare in un “posto sicuro” che non è la famiglia, come fino a quel momento, ma l’asilo o la scuola. Se pensiamo all’estremo opposto, i 2.500 bambini figli di immigrati clandestini hanno sperimentato, al contrario, una separazione violenta e per loro inspiegabile, hanno visto la disperazione delle loro famiglie e dei bambini e delle famiglie intorno a loro, si sono ritrovati in un ambiente non certo accogliente o in cui potevano trovare delle cure alternative. Hanno vissuto un’esperienza che rischia di segnare in maniera pesante le loro vite e le loro relazioni future.