L’Iran è un Paese profondamente diverso dall’Italia: qui dagli anni ’70 le donne hanno perso, insieme a molte altre libertà, anche quella di vestire come vogliono. Dal 2014, la reazione non violenta viene manifestata ogni settimana, nei cosiddetti “mercoledì bianchi” lanciati dal movimento “My Stealthy Freedom”- ovvero “La mia libertà clandestina”, seguito su Facebook da un milione di persone. Ogni mercoledì chi vuole protestare contro l’obbligo del velo islamico può indossare qualcosa di bianco.
In qualcosa, però, questo Paese è simile all’Italia: a un livello di istruzione altissimo (il 59% degli studenti universitari sono donne, in Italia la percentuale di laureate donne è del 58%) corrisponde un’occupazione femminile molto bassa, meno del 12% (l’Italia è arrivata al 49%, ancora tra le percentuali più basse del continente europeo).
In questo, più che in altri dati che sembrano essere immutabili laddove governa la sharia, è possibile leggere l’insostenibilità di un sistema che forma le persone per poi relegarle in casa e obbligarle all’obbedienza. Proprio in Iran negli ultimi giorni è emerso il simbolo della giovane donna che, in piedi sopra a un pilastro che le rende estremamente visibile, sventola con calma il proprio velo bianco, a capo scoperto. A seguito di questo gesto, silenzioso e pacifico, potente più di mille parole, è stata arrestata. E anche l’arresto è diventato un simbolo.
Qualcosa si muove, forse, e comunque gli sguardi si dirigono verso un luogo dove oggi, nonostante i tentativi governativi di silenziare social e comunicazioni, le voci delle donne si alzano con forza insieme a quelle di quanti sono stufi di non avere un futuro. Ed ecco un altro dato che avvicina Italia e Iran: l’Iran è al 140esimo posto della classifica del Gender Gap del World Economic Forum per quanto riguarda la partecipazione economica delle donne. L’Italia è al 118 posto e sta a guardare, ancora senza voci, senza simboli e forse senza motivazioni sufficienti per inventare un nostro “mercoledì”.