Quanto è più lunga per le donne la strada verso la pensione

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Se state leggendo questo articolo avete fatto il primo passo per passare dal problema alla soluzione: informarsi per trovare le contromisure contro i gap che le donne italiane, in particolare, vivono in termini previdenziali. Un gap che è frutto di tre fattori: la minor partecipazione delle donne, rispetto agli uomini, al mondo del lavoro; una retribuzione che spesso non è adeguata a quella dei colleghi uomini; una inferiore literacy in materia finanziaria, che frena la capacità di compiere scelte conseguenti: elemento, tra gli altri, su cui per molti versi è più facile intervenire. C’è poi un ulteriore fattore che complica il destino previdenziale delle donne, rispetto a quello degli uomini: l’aspettativa di vita è maggiore di quella degli uomini — 3,2 anni per i 65enni — e, connesso a questo indubbio elemento positivo, c’è una conseguente inferiore rendita pensionistica, visto che il sistema contributivo — introdotto timidamente dalla riforma Dini-Treu nel 1995 e accelerato dalla Monti-Fornero nel 2012 — prevede che la pensione sia in funzione dell’ammontare dei contributi versati e rivalutati, in rapporto al Pil.

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Fattori che trasformano la corsa verso la pensione delle donne in una salita proibitiva. Sinteticamente individuata dal recente rapporto di Ubs in materia: le donne italiane presentano un tasso di sostituzione (rapporto tra primo assegno al pensionamento e ultimo stipendio analogo a quello delle lavoratrici francesi, ma con un superiore fattore rischio (20 invece che 15) e con una maggiore necessità di risparmio da impiegare per trascorrere una vecchiaia serena.

pensione-donneSe siete arrivate fin qui, la cosa peggiore da fare a questo punto è scoraggiarsi e abbandonarsi alla sorte. In effetti le contromisure, evocate a inizio articolo, sono a vostra disposizione. Si tratta di armarsi di carta, penna e calcolatrice, magari insieme a qualche amica, e mettersi a caccia di soluzioni. Uno strumento in più e particolarmente prezioso può essere un “pensionometro”, per calcolare i molti fattori che entrano in gioco nella determinazione del reddito pensionistico. Sul sito web www.ilsole24ore.com/calcolapensione è possibile farsi un’idea molto dettagliata degli effetti di ciascuna scelta, grazie al motore di calcolo messo a punto e aggiornato da Epheso, società specializzata nel settore, che ha realizzato alcune elaborazioni per mettere a confronto il percorso lavorativo e previdenziale di donne di generazioni differenti.

Facciamo qualche esempio: il primo caso è quello di una lavoratrice nata a gennaio 1953, impiegata del settore privato dal gennaio 1980 con un reddito lordo (2017) di 30mila euro. La prima data utile di pensione scatta nel febbraio 2020, quando sarà necessario aver compiuto 67 anni e 1 mese. Il suo primo assegno pensionistico sarà di 21.766 euro annui, con un tasso di sostituzione del 72,6%. Il secondo caso prende a riferimento una donna nata trent’anni più tardi (gennaio 1983) che, con un reddito lordo (2017) di 22mila euro, che potrà andare in pensione di vecchiaia a giugno 2053 a 70 anni e 5 mesi; a lei sarà assicurato un reddito pensionistico superiore di quello della precedente, 26.318 euro, e con un miglior tasso di sostituzione, 86,1%: ma dovrà lavorare tre anni e 4 mesi in più. Se costei però aderisse a un fondo pensione bilanciato, potrebbe puntare ad aggiungere ai suoi 26mila euro annui altri 3.500, circa 300 l’anno. E decidere magari di uscire prima dal mercato del lavoro, se all’epoca saranno operativi strumenti di flessibilità analoghi all’Ape.

Perché a maggior durata del versamento contributivo, di primo e secondo pilastro, corrisponde una prestazione maggiore. Per tutto ciò è fondamentale la capacità individuale di compiere scelte coerenti per il proprio futuro, come sottolineato dalla recente indagine Mercer: tre dei 5 fattori che determinano il nostro percorso previdenziale, si legge nel report, sono in capo e sotto la responsabilità agli individui e non al contesto.