Sembra ci sia una certa difficoltà a che scocchi la scintilla tra domanda e offerta di lavoro in Italia. Soprattutto per quanto riguarda il mondo giovanile. I NEET, cioè i giovani di 15-29 anni che non studiano e non lavorano, sono oltre 2,2 milioni (il 24,3% della relativa popolazione), con una incidenza più elevata tra le donne rispetto agli uomini. Eppure i posti vacanti, cioè quelli per cui un’impresa sta cercando attivamente un candidato, sono lo 0,8% che in valori assolti rappresenta un numero molto elevato. Per esempio in un settore come quello dell’Ict, che dovrebbe essere uno dei favoriti per l’occupazione giovanile, l‘Ue stima che entro il 2020 ci saranno fino a 800mila posti vacanti e, già oggi, in sette dei Paesi membri mancano al mercato 150mila professionisti del settore. Ci troviamo di fronte a quello che il premio Nobel Alvin Roth chiama “mercato imperfetto” dove non è il denaro l’unico fattore a determinare che cosa spetta a ciascuno. E’ una questione di “matchmaking”, la nuova scienza economica che studia come abbinare domanda e offerta affinché ognuno abbia il suo. Ma in che modo si possono incontrare, innamorarsi e giurarsi amore un NEET e un lavoro?
Prima di trovare l’amore, bisogna volerlo cercare e darsi da fare. Anche con il lavoro funziona così. Spesso i giovani, dalla Generazione Z ai Millennial, impiegano le loro energie a seguire le passioni senza prima aver fatto un’analisi più concreta dei loro talenti e dell’effettiva offerta di lavoro. Un po’ come per la ricerca dell’amore: a volte potrebbe aiutare saperne di più di come funziona una coppia o di quello che realisticamente ci si può aspettare da una relazione, confrontarsi con chi ha più esperienza prima di buttarsi a capofitto. Così nella ricerca di lavoro: un’idea potrebbe essere quella di creare un sistema di mentoring per i NEET, con senior che hanno terminato la loro carriera lavorativa e sono disposti a mettere a disposizione le loro competenze. Potrebbero essere le aziende stesse che nominano i loro professionisti come mentor così come anche artigiani e imprenditori potrebbero raccontare le loro professioni, ispirare i giovani e orientarli ad un percorso professionale concreto e incline alle loro passioni e talenti. I mentor dovranno essere sia uomini che donne, soprattutto le ultime ispireranno le ragazze con il loro esempio che sono al momento più penalizzate. Negli Stati Uniti esiste un piano nazionale di mentoring supportato sia dal mondo privato che pubblico che ha l’obiettivo di liberare il potenziale dei giovani con bellissime storie da raccontare. Anche in Italia esistono programmi di mentoring ma molto parcellizzati senza un piano integrato.
Certo però, l’esperienza altrui aiuta, ma non è decisiva. Immaginiamo allora come può nascere e come si può sviluppare questo connubio tra i giovani e lavoro, proprio come fosse un rapporto di coppia!
1. Amore a prima vista
I siti più grandi di dating hanno realizzato il loro successo attraverso algoritmi molto complessi che servono a raggiungere il matching perfetto, l’amore a prima vista! Un algoritmo complesso potrebbe unire i giovani ai lavori più in linea con le loro competenze, capacità ed aspirazioni. Sicuramente un sistema informatico ha una potenza maggiore rispetto alla capacità dei singoli di trovare lavoro.
2. Alto tradimento
A un certo punto della storia potrebbe arrivare il tradimento. Da una recente ricerca Nielsen, circa la metà dei Millennial è intenzionata a cambiare lavoro dopo 2 anni, quasi il doppio rispetto ai baby boomers o i ragazzi della Generazione X. Inoltre il mercato del lavoro sta diventando sempre più fluido e anche la GIG economy sta portando i giovani ad utilizzare piattaforme come ad esempio Fiverr che permettono lavori molto flessibili. Il tradimento potrebbe avvenire anche da parte dell’azienda, ma questa è un’altra storia.
3. Pausa di riflessione
Se nella coppia spesso la pausa di riflessione è un modo un po’ codardo di mascherare la fine di una storia, nel lavoro potrebbe essere una risorsa. All’estero sono molto comuni i periodi sabbatici che fanno i giovani al termine dei loro studi oppure ad un certo punto della propria carriera. In Italia queste pause hanno un alone negativo e stereotipato, potrebbero invece essere momenti di profonda meditazione sul proprio futuro così come grandissima opportunità di “re-skilling”.
4. Finché morte non ci separi?
Se possiamo augurarci di trovare l’amore che duri tutta la vita, non è detto che la stessa cosa sia un bene in campo lavorativo. Cambiare lavoro può voler dire crescere professionalmente, essere stimolati a far meglio, centrare sempre di più i propri obiettivi e le proprie aspirazioni, sperimentarsi in situazioni diverse. Il “finché morte non ci separi”, allora, lo lasciamo alle storie d’amore.