Il web è sempre di più il luogo dove l’odio e la discriminazione provenienti da ogni parte, riescono a coagularsi organizzarsi e rafforzarsi per poi diffondersi in modo virale. Per contrastare questo pericoloso fenomeno sotto gli occhi di tutti, il 22 dicembre scorso il Ministro della Giustizia Orlando ha organizzato insieme all’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) la prima riunione contro le campagne d’odio che si diffondono attraverso la rete.
L’evento ha visto sedersi attorno a un tavolo le più importanti associazioni che sul territorio nazionale si battono contro ogni tipo di discriminazione: Amnesty International, la Comunità Ebraica, la Comunità di Sant’Egidio, COSPE – Cooperazione per lo sviluppo dei Paesi emergenti, ARCI e Arcigay (solo per citarne alcune).
“Costruiamo un’alleanza contro la propaganda d’odio veicolata sulla rete. E con voi abbiamo bisogno di costruire una roadmap per individuare possibili strumenti”. Sono state queste le parole usate dal Ministro che ha chiesto alle associazioni di elaborare una strategia comune che contrasti l’hate speech online, l’incitazione all’odio che si diffonde in rete soprattutto attraverso l’uso dei social network. Come ha spiegato Orlando, le istituzioni non possono contrapporre una verità di Stato alla falsa narrazione che alimenta ogni campagna d’odio. Ecco perchè in questo senso il ruolo della società civile è fondamentale, e deve essere quello di proporre una contronarrazione che diffondendo la verità, sia in grado di scacciare pregiudizi razziali, religiosi, di genere e orientamento sessuale.
Un coinvolgimento fondamentale e significativo quello della società civile. Un coinvolgimento che non può fare dimenticare però come i primi attori responsabili nella lotta alle campagne di odio rimangano le istituzioni (nazionali ed europee) e le società informatiche stesse.
La Commissione europea si è occupata già di hate speech online, adottando il 31 maggio 2016 un “Codice di condotta sul contrasto all’illecito incitamento all’odio online”. Attraverso questo codice, le tre piattaforme social più diffuse (Facebook, Twitter e You Tube) si sono impegnate ad esaminare in meno di 24 ore qualunque segnalazione relativa a forme illegali di incitamento all’odio, rimuovendole laddove necessario. In più, si sono anche impegnate a studiare assieme alla Comunità europea forme di narrazioni alternative e di contrasto alle campagne d’odio virale, in grado di contrastare razzismo, xenofobia e tutte le forme di intolleranza.
A livello nazionale invece, Il ministro Orlando, in collaborazione con Facebook, ha già presentato il 3 novembre scorso le linee guida “Pensa prima di condividere” per l’utilizzo consapevole dei social media e per la sicurezza online.
Guardando la questione dal punto di vista della discriminazione LGBTI, non si può fingere di non vedere il grande vuoto legislativo esistente nel nostro Paese. Ancora oggi, solo alcune forme di incitazioni all’odio sono punite dalla legge Mancino (che vieta e punisce severamente ogni organizzazione, associazione, movimento, gruppo o singolo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi), ma nulla accade ancora per l’incitazione all’odio omo-transfobico. Lo sottolinea giustamente Gabriele Piazzoni, segretario di Arcigay presente alla riunione convocata dal Ministro:
“Non possiamo che rallegrarci per l’iniziativa di UNAR e del Ministro che di fatto riapre un dibattito che la politica attraversa purtroppo in maniera ancora discontinua, perciò inefficace. Per quanto riguarda le persone LGBTI, non possiamo non sottolineare il permanere dell’assenza di una legge che definisca aggravanti per i crimini e le parole d’odio commesse nei loro confronti: la legge contro l’omo-transfobia giace, in una formulazione ambigua e insufficiente, alla commissione giustizia del Senato da più di mille giorni e non sembrano essere in campo proposte alternative per riaprire quella discussione. Quella legge resta un nodo urgente, perché rappresenta il presupposto giuridico e culturale per qualsiasi azione voglia essere messa in campo. Bene allora l’incontro di oggi, che riaccende i riflettori sul tema, ma crediamo che vada sottolineato nelle premesse che questo percorso ha bisogno che il Parlamento faccia con urgenza la sua parte”.
Un parlamento che è l’unico in grado di innescare cambiamenti culturali efficaci proprio promulgando leggi che stabiliscano regole, oltre che diritti. Esattamente quello che sta accadendo con la legge sulle Unioni Civili. Dunque ben venga tutto, e ben vengano le ottime iniziative come quelle del ministro Orlando, che sta dimostrando di essere sempre pronto a fare tutto il necessario per aiutare i diritti e combattere le discriminazioni. Tutto va bene, purchè nessuno si illuda che basteranno le segnalazioni a Facebook o i provvedimenti sanzionatori dei social per inibire davvero la diffusione dell’odio e proteggere le persone LGBTI. Per quello, bisognerà soprattutto colmare quel vuoto legislativo ancora oggi esistente.
Perchè se è vero che le istituzioni non possono imporre verità di Stato, come dice giustamente Orlando, è altrettanto vero che non solo possono, ma hanno il dovere, di stabilire delle regole chiare ed efficaci che impediscano alle menzogne camuffate da libere opinioni, di discriminare e danneggiare a propria discrezione cittadini uguali agli altri. Come? Approvando una buona legge contro l’omo-transfobia per esempio, e facendola rispettare, nella vita reale, oltre che sui social. Ma facendolo presto, perchè ieri era già troppo tardi.