Da un’elegante signora agée torinese, imprenditrice di prestigio, nominata Cavaliere del lavoro nel 2014, non ti aspetteresti parole così dirompenti. Eppure, Franca Audisio Rangoni, presidente della Dual Sanitaly, non ha peli sulla lingua: «Sono d’accordo con chi sostiene che la Clinton non ha conquistato il popolo americano, e in particolar modo le donne, anche perché ha privilegiato l’aggressività rispetto alla femminilità. Dobbiamo ricordarci che noi donne abbiamo una visione diversa del mondo e non vinceremo mai cercando di adeguarla all’ottica maschile». Lei ne sa qualcosa. L’azienda che dirige, fondata dal padre nel 1949, leader nel settore della salute e del benessere (tra i marchi che distribuisce le apparecchiature ortopediche Dr. Gibaud° Ortho), oggi impiega circa 100 lavoratori e realizza un fatturato di 19,500 milioni di euro. Un’azienda familiare, dunque, in cui entrò in giovane età.
L’azienda di famiglia era il suo destino? E’ stata una scelta o avrebbe fatto altro nella vita?
Allora non si poteva scegliere. Ho iniziato senza neanche accorgermene, da ragazza e poi, quando mio padre è mancato, era scontato che le mie sorelle e io prendessimo in mano l’azienda. Io avrei voluto diventare magistrato. Ora, si può scegliere e i miei due figli maschi hanno deciso di seguire le orme materne. Così siamo arrivati alla terza generazione.
Come ha vissuto quegli anni di giovane donna a capo di un’azienda nella sabauda Torino, con due figli da crescere?
Non è stato facile, ho fatto molta fatica a conciliare lavoro e famiglia, nonché a farmi riconoscere dai colleghi maschi come un capoazienda. Ho risposto con i fatti, senza tradire la mia femminilità. Oggi è più facile, ma la maternità rimane un momento critico, su cui è necessario intervenire per evitare di perdere tanti talenti nel mondo del lavoro e per difendere l’autonomia delle donne, a partire da quella economica.
Che cosa ha fatto nella sua azienda per incentivare questo salto di qualità?
Già mio padre aveva avviato delle iniziative rivoluzionarie per l’epoca: l’apertura di un libretto di risparmio per tutte le lavoratrici, una sorta di asilo nido aziendale ante litteram, una mensa dove offrire una dieta alimentare più equilibrata…Io ho proseguito su questo fronte, investendo molto sulla flessibilità del lavoro, in modo da rendere più facile la vita alle donne. Due lavoratrici mi hanno detto di recente “il nostro secondo figlio è figlio suo”.
Quindi, secondo lei fare impresa significa fare politica?
Assolutamente. Le scelte di come fare business e di come gestire l’organizzazione hanno un impatto e un’influenza diretti sulla società. Favorire con politiche aziendali adeguate la libertà di realizzazione delle donne significa non solo aumentare la produttività dell’azienda, ma dare un serio contributo al Pil del paese e all’evoluzione della nostra cultura.
Va nella stessa direzione l’impegno dell’associazione Aidda-Fare Impresa al femminile, di cui è presidente nazionale dal 2011?
Direi proprio di sì. Crediamo che sia urgente dare un’impostazione diversa al modo di fare impresa: non bastano più etica e correttezza, ci vuole una visione femminile da tradurre in azione. Come Aidda lo stiamo facendo attraverso il NOE, Laboratorio permanente di studio e diffusione di pratiche di sviluppo economico sostenibile e inclusivo, con l’aiuto di nomi prestigiosi quali gli economisti Vera Negri Zamagni e Andrea Segrè.