La guerra è una faccenda per soli uomini? Sulla linea del fronte il ruolo delle donne è necessariamente passivo, estraneo all’azione? È vero che le donne soffrono due volte rispetto agli uomini: per loro e per il marito e i figli?
Sono solo alcune delle domande che mi ronzano in testa, una volta uscito dalla mostra In prima linea. Donne fotoreporter in luoghi di guerra, in corso a Torino (Palazzo Madama) fino al 13 novembre.
Nata da un’idea della reporter di origine croata Andreja Restek, fondatrice e direttrice del quotidiano on line APR news, con lo scopo di smentire la convinzione dominante che ritiene il fotogiornalismo di guerra un territorio esclusivamente maschile, l’esposizione ci fa conoscere 14 donne fotoreporter, impegnate sui fronti più caldi e pericolosi dei nostri giorni. Rappresentate da 5 immagini a testa – purtroppo in un allestimento angusto che non le valorizza – e accompagnate da una breve scheda che ci fornisce le coordinate fondamentali della biografia e attività di ciascuna, possiamo comprendere le ragioni che hanno portato queste donne a compiere la medesima, difficile scelta professionale e di vita.
“Non c’è uno sguardo femminile o uno maschile sulla guerra, parlerei piuttosto di differenze culturali e diverse sensibilità”, afferma Restek, evitando così sterili diatribe che potrebbero accendersi attorno alle questioni di genere. Le fotografe sono molto diverse tra loro per formazione, cultura ed esperienze e questo si traduce in una grande ricchezza dei punti di vista: ognuna ha un suo stile, un proprio modo di accostarsi a persone e avvenimenti, ma si avverte un’affinità di fondo nella volontà di raccontare storie reali, mostrare le persone e le loro emozioni, spesso drammatiche, ma profondamente vere.
In mostra potrete vedere anche le foto di Camille Lepage, uccisa nel 2014 in un’imboscata in Repubblica Centrafricana: aveva 26 anni; le sono bastati per lasciarci immagini chiare e potenti.