Lo striscione di questa pubblicità progresso campeggia da anni in Corso Buenos Aires a Milano. La faccia della donna è funerea e la frase è una condanna: nel mondo del lavoro essere donna non paga abbastanza.
La donna, decisamente vittima, tiene in mano una banconota da 7 euro. Se l’informazione visiva non bastasse, il testo prosegue informando che “oggi le donne vengono pagate fino al 30% in meno rispetto agli uomini”. La chiusura è ancora più cupa: Essere donna è ancora un mestiere complicato. Diamogli il giusto valore.
Chi ha criticato la comunicazione del Fertility Day sembra non essersi invece accorto di questo obbrobrio: in giro, appunto, da anni. Gli errori contenuti in questa comunicazione sono così tanti che sembra impossibile per un testo così breve. Intanto, essere donna non è un “mestiere”. Secondo poi, mai come in questa pubblicità la donna è vittima di un sistema che non può cambiare. Infine, sembra più una campagna di informazione su quando si può risparmiare assumendo una donna: “guarda che puoi pagarla anche il 30% in meno!” che la denuncia di una profonda ingiustizia.
Sì, il paygap di genere è una delle ingiustizie più smaccate che un paese evoluto possa veder accadere. Nel 1968 le operaie inglesi scesero in piazza per recuperare almeno un po’ del gap salariale con gli uomini che, a differenza loro, venivano considerati “operai specializzati” pur facendo esattamente lo stesso lavoro. Due anni dopo, nel 1970, il ministro Castle varò l’equality pay act, la legge che sancisce il diritto all’uguaglianza salariale. La storia è raccontata in un bellissimo film dal titolo “We want sex (equality)”.
Oggi la storia si ripete in Islanda, dove le donne hanno deciso di lavorare il 14% in meno per compensare un paygap del 14% appunto.
Eppure, come dice la presidente islandese Vigdis Finnbogadottir: “L’Islanda è un bel posto per essere una donna”. Questo dopo che nel 1975 il 90% delle donne islandesi scioperò: niente lavoro, niente cucina, niente cura dei bambini – contro il fatto che solo 9 donne sedevano in parlamento. Lo sciopero si è rivelato efficace: la Finnbogadottir è stata la prima donna presidente del mondo occidentale e oggi il 90% dei padri islandesi prende il congedo di paternità. Insopportabile comunque, per le donne islandesi, essere pagate meno degli uomini a parità di ruolo, e soprattutto l’idea che, se non si interviene, questo gap si chiuderà solo in 52 anni. Una vita…
E in Italia? Il paygap di genere sembrerebbe contenuto, intorno al 7%, ma solo perché le donne sono in gran parte impiegate in professioni in cui non è consentita molta varianza. Se si dà un’occhiata al mondo della finanza e delle assicurazioni, dove gli stipendi possono variare sensibilmente, le donne italiane sono pagate il 30% in meno degli uomini a parità di ruolo, di responsabilità, di tempo lavorato. Sì, un terzo di meno: che equivale a dire che lavoriamo gratis quattro mesi all’anno. E che, se decidessimo di fare come le Islandesi, potremmo uscire dall’ufficio tutti i giorni 3 ore prima.