Ricorderemo il 2018 come “l’anno delle donne”

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È stato definito “l’anno delle donne” ed è uno dei motivi per cui il 2018 verrà ricordato. Le donne sono scese in piazza a ogni latitudine per difendere i loro diritti, per chiederne di nuovi per tutti. Si sono indignate, sono state marea inarrestabile che continuerà ad avanzare, non può essere che così, anche nel 2019. Questa rinascita, che ha un’impronta attivista e femminista, ha segnato in una maniera formidabile.

Negli Stati Uniti il movimento #Metoo, la Women’s March (la marcia delle donne che ha portato nelle strade di Washington e degli Stati Uniti milioni di persone ) sono stati decisivi. Le donne hanno rotto il silenzio e hanno incominciato a levare alta la loro voce. La rabbia, la frustrazione con cui si sono confrontate le americane alle prese con un presidente come Donald Trump, dichiaratamente misogino, sessista e omofobo, le ha spinte a fare un passo in più. A diventare protagoniste in prima persona del cambiamento. 

Hanno marciato, si sono candidate alle elezioni del 6 novembre scorso, quelle di metà mandato, hanno corso e hanno vinto. In più di 90 varcheranno le porte del Campidoglio a Washington i primi giorni di gennaio quando si insedierà il nuovo Congresso. 

Le donne del partito Democratico, il versante opposto a Trump che è repubblicano, avevano in questa mandata elettorale un preciso obiettivo: destabilizzare il potere del presidente limitandolo con la riconquista del controllo democratico del Congresso. Ci sono riuscite. Come candidate, le donne hanno infranto le regole della politica riscrivendole. Sono partite dai loro silenzi infranti, dalle loro personali esperienze.

Come attiviste, hanno esteso la definizione dei problemi delle donne spostandola al di là dell’istruzione e dei diritti riproduttivi e includendo l’assistenza sanitaria, l’immigrazione, la violenza armata e l’ambiente. 

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Ayanna Pressley

“L’anno delle donne” ha portato a una serie di primati storici, la maggior parte dei quali dei democratici. Nel Massachusetts, Ayanna Pressley è diventata la prima donna di colore nella delegazione del Congresso del suo stato. 

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Ilhan Omar

Rashida Tlaib nel Michigan e Ilhan Omar nel Minnesota sono le prime donne musulmane al Congresso. Sharice Davids e Deb Haaland sono, invece, le prime donne native americane elette.

Con una maggioranza democratica alla Camera, le donne eserciteranno un maggiore potere istituzionale. Alcune di loro presidieranno comitati chiave, Nancy Pelosi, unica donna speaker della storia della Camera dei Rappresentanti, uno dei rami del Congresso, rioccuperà il ruolo che ha già ricoperto dal 2007 al 2011. 

Secondo la politologa Kelly Dittmar, riferisce Il New York Times, questa ondata di donne ha cambiato la politica americana:

«Per queste attiviste ha significato mettersi in gioco senza aspettare che arrivasse prima o poi il loro turno. Le candidate hanno considerato le componenti razziali e di genere che le hanno contraddistinte non come un ostacolo, ma come un vantaggio nella corsa alla candidatura e alle elezioni».

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Alexandria Ocasio – Cortez

Il 24% è la percentuale di seggi che le donne negli Stati Uniti andranno a occupare al Congresso a gennaio. Il simbolo del cambiamento è sicuramente Alexandria Ocasio – Cortez. 29 anni e un record. La donna più giovane mai eletta al Congresso. 

«Se vinceremo – aveva detto alla vigilia delle elezioni – non sarà la mia età a fare storia, ma il fatto di essere la prima eletta senza i soldi delle grandi lobby. Dimostriamo che dire cose radicali, ma giuste, funziona. E che l’America non è grande perché una persona ricca e privilegiata può fare politica, ma perché anche una bambina nata povera può diventare quel che vuole».

Mamma di Portorico, papà del Bronx, Ocasio ha sempre detto: «Non è previsto che corrano alle elezioni del Congresso donne come me». Eppure lei è stata eletta nel suo distretto che copre i quartieri di New York, Bronx e Queens.

«Non vengo da una famiglia ricca e potente. Sono nata in un quartiere dove il codice di avviamento postale della zona in cui vivi determina il tuo destino» ha affermato Alexandria che ha proposto sanità per tutti, l’abolizione del dipartimento per l’immigrazione e le frontiere, la protezione dei “dreamers” (i giovani immigrati portati negli Usa da piccoli da genitori clandestini) e un sistema di finanziamento delle campagne elettorali più trasparente.

Ritornata nel Bronx dopo la laurea in economia e relazioni internazionali, ha iniziato a lottare per una migliore educazione e alfabetizzazione infantile, dando vita a una casa editrice di libri per bambini che cercava di ritrarre il suo distretto in una luce positiva. 

«Comunità come la mia sono state così ignorate a lungo» ha detto in un’intervista . «Quali altri leader o quali altre scelte ha questa comunità? Per me è come se fosse una responsabilità presentarmi per questa comunità, battermi per lei».

Carismatica, combattiva, Ocasio ha scritto sul suo profilo Instagram queste parole:

«Una delle mie citazioni preferite è di Martin Luther King: – Tutti possono essere grandi, perchè chiunque può servire. Non devi avere una laurea per essere utile. Non è necessario che il soggetto e il verbo concordino per essere utile. Ti serve solo un cuore pieno di grazia. Un’anima generata dall’amore -. Quindi prendi spazio, parla. Tieni la porta aperta e fai venire gli altri con te. Accetta che sarai criticato a prescindere da cosa dirai. Questo è il prezzo da pagare per il cambiamento e l’innovazione. Io considero le critiche costruttive per per il miglioramento del mio progetto e una medicina per il mio ego.Le persone che fanno l’ingrato lavoro del cambiamento, sono quelle che trasformano la società. Possiamo essere tutti parte del cambiamento, se scegliamo di agire. Possiamo tutti bussare a una portare o educare noi stessi a un problema che ci tocca o incuriosisce. Siamo tutti capaci di risveglio e impegno. E per questo tutti possiamo fare la differenza, tutti possiamo essere grandi».

È trascorso più di un mese dal giorno delle elezioni e le donne non si sono fermate. Girano e bussano a ogni porta in cerca di persone che in genere non votano. Dicono che non possono rallentare, che devono continuare a usare le loro voci per coinvolgere e formare una rete più ampia.  

Una sorellanza che ha il nome di “Shine Theory” e che possiamo riassumere nella frase “non brillo, se non brilli anche tu”, termine coniato dalle podcaster femministe Ann Friedman e Aminatou Sow per descrivere le donne che fanno uno sforzo comune per sostenersi a vicenda.

Perchè c’è anche questo. Donne che stanno cercando insieme di costruire un’opposizione. «Si stanno mobilitando – scrive Il New York Times –  perché il cosiddetto “Anno delle donne” non sia solo questo. Un anno e basta. Vogliono non disperdere l’energia di chi ha marciato dopo l’inaugurazione del presidente Trump e di chi ha promosso l’ondata democratica a novembre per continuare non solo attraverso la campagna presidenziale del 2020, ma fino a quando le donne non riusciranno ad essere il 50% della classe politica».

È un percorso che non sarà privo di ostacoli. Difficile, ma colmo di speranza. «I movimenti femministi –  asserisce  la sociologa inglese Catherine Rottenberg – richiedono drammatiche trasformazioni economiche, sociali e culturali, ma creano potenti visioni alternative per il futuro. E dato quanto sia deprimente il futuro al momento per un numero sempre crescente di persone in tutto il mondo, questo è proprio il tipo di femminismo di cui abbiamo bisogno». Anche e soprattutto in Italia.