Un proverbio africano dice che per crescere un bambino serve un intero villaggio. Quando però il villaggio non condivide le stesse idee sulla genitorialità, la situazione che si genera non è così idilliaca.
Nella nostra società oggi non esiste un modo o un metodo per essere genitori. Ne esistono un’infinità, ciascuno propugnato come verità scientificamente provata. E anche senza prove scientifiche, all’urlo “si è sempre fatto così e non è morto nessuno” tutti sono certi di possedere i segreti più reconditi della neurofisiologia del bambino. Dal sonno all’alimentazione, dall’educazione all’affettività, i neogenitori sono travolti in un turbine di consigli, libri, articoli di giornale, interviste con l’esperto, videotutorial, gruppi social, ma alla fine solo una cosa è certa: è vero tutto e il suo contrario.
L’inevitabile è che in questo brusìo costante diventa difficile trovare una voce autentica, quindi ci si sente profondamente soli. Soli con la paura di sbagliare, soli con le quotidiane decisioni da prendere di fronte a imprevisti sconosciuti, soli davanti agli scaffali dei negozi che vendono prodotti che sembrano tutti uguali ma si proclamano tutti diversi, soli con le incombenze che si moltiplicano giorno dopo giorno mentre siamo impegnati a raccapezzarci in questo nuovo ruolo che dobbiamo rivestire ora e per sempre. Amen. Scagli la prima pietra chi, almeno una volta, dopo la nascita di un figlio, non ha pensato: “Oggi vorrei non essere un genitore”.
Va tutto bene. Non c’è niente di male. Concepire questo pensiero non vuol dire non amare i nostri figli. Vuol dire sentirsi sopraffatti, spaventati, persino arrabbiati, perché cercando di aderire a un ruolo fortemente idealizzato come quello del genitore perdiamo gradualmente contatto con la nostra individualità e quindi con le nostre capacità, le nostre risorse, il nostro processo interiore di empowerment.
Non c’è relazione senza individui e non ci sono individui senza quel sano e prezioso tempo da dedicare a se stessi per conoscersi, affermarsi, rigenerarsi, riconquistarsi. Non ci sono scuse, nemmeno la genitorialità può essere una motivazione sufficiente per trascurare se stessi, anzi proprio in quanto genitori si fa più urgente la necessità di ritagliare degli spazi senza per questo sentirsi colpevoli di egoismo. Nel bellissimo saggio La famiglia è competente, il terapeuta danese Jesper Juul, scrive: “La protezione della propria integrità non è egoismo: la percepiamo così solo se abbiamo trascurato per troppo tempo le nostre esigenze o se abbiamo lasciato che altri violassero i nostri limiti. La cura e il rafforzamento della propria individualità non devono essere scambiati per egoismo.”
Vero è che un neonato di pochi mesi ha un altissimo grado di richiesta di attenzione, a maggior ragione se si allatta a richiesta come sembra essere ultimamente la tendenza per le neomamme. “Come faccio a prendermi del tempo per me se il bimbo cerca il seno ogni due ore?” Tanto per cominciare due ore sono tantissime, un tempo in cui potete fare un sacco di cose. Ma fuori casa. Uscite. In casa non potreste evitare di vedere la montagna di panni da lavare o la polvere sulla libreria. E in ogni caso non riuscireste a finire di leggere il capitolo di quel libro se il bambino dovesse piangere, accorrere sarebbe un impulso più forte di voi. Uscite mamme, date la possibilità di attivare il proprio empowerment anche ai papà e ai bambini. Non sottovalutate la competenza dei bambini (Juul ha scritto anche Il bambino è competente) e l’importanza di quel tempo senza di voi per la costruzione della relazione papà-figlio.
Superata questa scusa c’è quella universale, che vale per tutti, papà, mamme che allattano e mamme che non lo fanno: non ho tempo. Se vi è chiara fin qui l’importanza che ha riuscire a ritagliare del tempo di qualità per se stessi, allora vi sarà anche chiaro che quel tempo va trovato a tutti i costi.
Roberta Cavallo e Antonio Panarese, consulenti genitoriali, hanno scritto un libro che mira proprio ad accrescere la consapevolezza genitoriale al di là dei metodi educativi, dal titolo Sei un bravo genitore se. Sulla famigerata questione del non avere tempo suggeriscono un gioco semiserio che chiamano Agenda Incantata. Funziona così:
- su un foglio A4 disegnate una tabella con sette colonne, una per ogni giorno della settimana, e un numero di righe che suddivida la vostra giornata operativa (le ore in cui siete svegli) in mezzore;
- inserite tutti gli impegni riga per riga, e quando dicono tutti intendono anche i più scontati come il tempo per la colazione, per lavarsi, per gli spostamenti e quant’altro;
- guardate la vostra agenda e valutate come migliorarla: impegni da accorpare, cancellare, ridurre. Trovate tutti i modi possibili per intervenire sulla gestione del tempo, possibilmente facendovi aiutare da un occhio esterno, una persona di cui vi fidate che vi farà identificare i punti critici e tutte le possibilità di delegare. Ora sì che il villaggio torna a esserci utile.
A questo punto potrete inserire nelle caselle che si sono liberate e che via via andranno liberandosi sempre di più, le azioni che vi servono per rigenerarvi e ritrovare contatto con voi stessi. Solo voi sapete quali sono. Un bagno caldo? Leggere un libro? Una passeggiata? Una mostra? Stare semplicemente sul divano a non fare nulla?
Si tratta di un gioco, ma può aiutare a prendere consapevolezza del fatto che il tempo è nelle nostre mani e non abbiamo scuse per non prenderci cura di noi stessi. Non è egoismo. Lo facciamo anche per i nostri figli.
La farfalla non conta mesi ma momenti, e ha tempo a sufficienza.
(Tagore)