Dici leader e il tuo interlocutore – al 90% – immagina un uomo al comando, con tutti gli annessi e connessi. Ne consegue che, anche in completa buona fede, fa molta fatica a riconoscere i tratti di una leadership diversa. Ad esempio, femminile. Figuriamoci, comprendere le “pretese” delle donne manager, che reclamano a gran voce un po’ più di equilibrio nella loro vita personal-professionale. A dircelo è una ricerca condotta da WIN (Women’s International networking), organizzazione internazionale nata a Losanna nel 1997, su circa un migliaio tra i 4500 partecipanti alla Global WINConference tra il 2009 e il 2015. In sintesi, le donne in carriera oggi dedicano il 60% del tempo alla professione e dividono il restante 40% tra famiglia e se stesse, ma il 91% del campione ritiene che si dovrebbe raggiungere un mix fatto di 50% lavoro, 30% cura di sé, 20% casa-famiglia. I temi in gioco sono tanti, da un’organizzazione del lavoro più smart, a una più equa ripartizione dei carichi familiari, a un’offerta di servizi a supporto delle famiglie. E sbaglia chi ritiene che si tratti di una questione femminile. La ricerca del giusto tempo da dedicare al lavoro è parte intrinseca dei valori delle nuove generazioni, indipendentemente dal genere di appartenenza.
Ma torniamo alla leadership, pescando dall’attualità una chicca che la dice lunga su quanto la società occidentale sia ancora impreparata a cambiare mindset. “Dopo il caos politico seguito al referendum, i conservatori britannici hanno scelto di affidare la delicata gestione dell’uscita dall’Unione Europea a un leader non brillante ma affidabile e rassicurante” si legge nell’occhiello dell’articolo “Theresa May. Uscita di sicurezza”, di James Forsyth, pubblicato su The Spectator e ripreso da Internazionale del 22/28 luglio 2016. E nel testo: “May non fa parte della gioventù dorata. Non rientra in nessun circolo politico esclusivo. Il suo successo è il trionfo del lavoro duro, della perseveranza e della determinazione (…). Ci ha messo 19 anni per passare da un seggio alla camera dei comuni a prima ministra, rispetto ai nove di Cameron e ai 14 di Blair. E’ più anziana di quanto fossero i suoi predecessori quando hanno lasciato il numero 10 di Downing Street”.
Non è chiaro se sia un merito o meno il fatto di essere affidabili e rassicuranti, di aver perseverato e lavorato in silenzio a lungo prima di arrivare al “successo”, se le doti citate sono qualità da leader o da “sgobbona”. Siamo sicuri che la presunta carenza di leadership non stia negli occhi di chi guarda più che nelle corde dell’attuale Prima ministra inglese? Fa bene WIN a intitolare la sua prossima Global Conference, la 19esima, che si terrà a Roma dal 28 al 30 settembre, “Leading the way, with beauty, connection and confidence”: il mondo ha un gran bisogno di bellezza, relazione e fiducia per gestire con intelligenza, piuttosto che con machismo, l’accelerazione dei cambiamenti che sta vivendo e le donne possono e devono fare la loro parte. Se poi il loro stile non sarà considerato brillante agli occhi del mainstream, beh, se ne faranno una ragione, consapevoli del loro valore.