
Cara Alley,
mi sei venuta in mente tu perché sto perdendo le speranze, come essere umano innanzitutto, poi come cittadina che prova a far funzionare la società in cui vuole vivere e non sopravvivere, sto perdendo fiducia come educatrice appassionata del suo lavoro e infine come genitore di due figli a cui cerco di insegnare il rispetto e il peso delle parole.
Partiamo dal principio: quattordici settimane senza scuola, quattordici settimane da organizzare per tenere impegnati due ragazzi di 10 e 12 anni, con tutto il peso di una età complicata per i mille motivi che tutti già conosciamo. Quattordici settimane organizzate tenendo conto di una quantità di variabili e incastri che tutti i genitori italiani ben conoscono: le ferie, le vacanze, i compiti, i soldi, gli amici con cui imprescindibilmente bisogna fare quel centro estivo, l’oratorio solo se c’è tizio, il camp sportivo solo se c’è sempronio. A fatica si arriva così a riempire queste 14 settimane, fino all’inizio della scuola il 15 settembre.
Finalmente dormi sonni tranquilli, le iscrizioni sono andate a buon fine, hai trovato posto, hai trovato i soldi, hai trovato gli amici, hai trovato i genitori con cui scambiarti favori, hai trovato i giorni giusti per incastrare turni e smart working. Tutto fila, la gigantesca macchina è partita e avviata.
E invece no. E invece quando ti sembra che la strada fili dritta e liscia un enorme masso ti blocca e allora devi decidere, se fare il giro lungo con pazienza e accettazione o se schiantarti contro l’imprevisto con tutte le conseguenze che ne derivano. Ebbene sì, mi sono schiantata con tutte le forze che avevo.
Il masso in questione è una insegnante di scuola elementare che in estate si diletta a intrattenere ragazzi e bambini in un camp sportivo: probabilmente esasperata dall’ottava settimana di lavoro la signora ha sbottato con mio figlio dicendogli che era “SENZA CERVELLO”, urlandogli in faccia e prendendolo in giro.
Ho chiesto un confronto con il responsabile del camp sperando in un dialogo proficuo ma sono stata trattata con aggressività, non solo non era affatto dispiaciuto dell’accaduto ma era piuttosto scocciato che io chiedessi una spiegazione di tale offesa, che nel contesto in cui erano ha ritenuto di giustificare e non condannare.
I miei figli non sono facili, l’età è quella di mezzo in cui non sono piccoli, ma neanche grandi e pretendono una libertà che ancora non sanno dosare: però ho sempre dato ragione a insegnanti, educatori, allenatori sul tenere una linea dura con loro. Io sono un genitore sempre dalla parte degli adulti, sempre dalla parte di chi ha il diritto di avere collaborazione dalle famiglie. Ma le offese no, non ci sto che chi deve dare un modello di educazione e ascolto arrivi a tanto, non ci sto che mio figlio frequenti un ambiente del genere perché io e la società non riusciamo a offrigli qualcosa di meglio. E quindi si, li ho ritirati.
Allora, cara Alley, io alzo le braccia, ci rinuncio. Mi ritrovo con due settimane scoperte senza uno straccio di camp pur essendo disposta a pagare. Tutto questo perché noi genitori illusi di insegnare il rispetto ai propri figli, dovrebbero accettare in silenzio organizzazioni e società che prendono personale svogliato, spesso incompetente, improvvisato, animatori giovanissimi sempre al cellulare, disinteressati a conoscere il bello di chi hanno davanti, che passano l’estate a racimolare qualche soldo facile sulle spalle dei genitori che non sanno dove sbattere la testa.
Ti lascio Alley con una domanda: i videogiochi tanto amati dai miei figli, i video stupidi di YouTube e TikTok, i tornei di Fornite con gli amici virtuali forse sono il male minore per questa generazione? Forse il vero problema siamo noi adulti, che non abbiamo nessuna voglia di metterci in contatto con loro e iniziare a vederli per quello che sono davvero? Dei ragazzi e delle ragazze che provano a emergere in una società dove si nega l’evidenza, si alza la voce per niente, si hanno pregiudizi come stile di vita e preconcetti come valore esistenziale.
Con affetto,
Chiara con poche speranze