Occupazione femminile: nel confronto europeo l’Italia è ancora perdente

Nell’Unione europea lavorano più gli uomini che le donne. La notizia in sé non è nuova, ma i dati ci rendono la misura del divario che ancora persiste a livello europeo. La media degli uomini con un impiego supera, infatti, ancora di dieci punti percentuali quella delle donne. E per quanto si sia assottigliato negli anni, rispetto al 2015 questo gap è diminuito di solo un punto.

Nel 2024, secondo gli ultimi dati Eurostat, l’occupazione maschile ha raggiunto l’80,8% e quella femminile il 70,8%. Erano rispettivamente il 74,1% e il 63% dieci anni fa, quando ancora nel conto rientrava anche il Regno Unito. Livelli leggermente più alti si erano poi registrati nel 2020, quando l’Unione si è “rimpicciolita” a 27, arrivando al 77,2% in un caso e al 66,2% nell’altro. E ancora una volta, il gap tra occupati e occupate era calato di (molto) poco.

Le statistiche generali sul continente restituiscono una visione dall’alto a cui però mancano le importanti sfumature legate alle singole situazioni nazionali. Nel blocco, infatti, le differenze tra i numeri dei lavoratori e delle lavoratrici per singoli Stati membri sono ampie, con le nazioni “prime della classe” a mostrare di aver raggiunto (quasi) la parità. E, al contrario, le ultime in elenco che continuano a registrare forbici in certi casi quasi doppie rispetto alla media europea.

Su tutte le rilevazioni, una è particolarmente significativa, perché racconta una storia di immobilità e fa emergere debolezze ormai storiche: a prescindere che si guardi solo ai  27 o si consideri una prospettiva continentale allargata o che si leggano i dati dell’occupazione generale, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro o alla differenza tra i genere, l’Italia risulta sempre in fondo alla classifica. Quasi sempre ultima tra i membri della Ue.

Il caso italiano

Prima di guardare alla situazione, restituita da Eurostat, in cui si trovano le singole nazioni del continente, è interessante tracciare l’evoluzione negli ultimi dieci anni del bel Paese. Anche proprio per i primati negativi che continua a mantenere.

Per quanto in questo arco di tempo si siano registrati dei miglioramenti, è chiaro che l’Italia non ha conosciuto una crescita occupazionale simile, per esempio, ad altri Stati Ue magari simili per popolazione o cultura. Inoltre, stando ai numeri dell’istituto statistico europeo, il Paese non ha nemmeno visto lo stesso livello di crescita delle nazioni con cui condivide la coda della lista europea (in quasi tutti i casi Romania e Grecia). Né per livelli di lavoratori in generale, né per livelli specifici per occupati o occupate. E tantomeno rispetto al gap tra i due gruppi.

Dal 2015, infatti, in nessuno caso la linea della crescita italiana arriva a +7 punti percentuali. Guardando solo alla quota di occupate, per esempio, si partiva da una media del 50,5% dieci anni fa. E si è arrivati al 57,4% nel 2024. Per fare un confronto il livello della Grecia, che sia nella Ue che tutto il continente registra la seconda quota peggiore di donne che lavorano, è salito di 14,3 punti, passando dal 45,6% del 2015 al 59,9% dell’anno scorso.

Si allineano al quadro riportato da Eurostat anche le rilevazioni di Cnel-Istat di marzo riportate nel rapporto sulla condizione delle donne in Italia*. Il documento dell’istituto di statistica italiano indica, infatti, che «nel terzo trimestre 2024 il tasso di occupazione femminile risulta inferiore di 12,6 punti alla media Ue e alla Francia, e di 20 alla Germania, rimanendo il valore più basso tra i ventisette Paesi dell’Unione europea e molto distante dalla maggior parte dei Paesi: in quattro l’indicatore è oltre venti punti superiori a quello italiano, dai Paesi Bassi (+25,2 punti) alla Finlandia (+20,1 punti), in dodici è maggiore di almeno quindici punti, in altri sei Paesi di almeno dieci e, infine, in Spagna è di otto punti più alto».

Non entrando troppo nel dettaglio delle specifiche professioni e del rapporto livello di studio-occupazione svolta, è interessante comunque accennare alla situazione vissuta dalle laureate italiane. In particolare considerando che, come scriveva qualche tempo fa la professoressa dell’università di Pavia, Luisa Rosti, «l’Unione europea afferma che l’istruzione terziaria sta diventando sempre più importante** nelle economie moderne perché “svolge un ruolo essenziale nella società promuovendo l’innovazione, la crescita economica e il benessere dei cittadini”».  E potrebbe quindi rappresentare una componente importante nel contribuire a un cambiamento.

A cinque anni dal conseguimento del titolo le laureate italiane, che già continuano a ottenere il titolo di studio in percentuali più alte e con votazioni migliori rispetto ai compagni, sono impiegate per l’86,8%. Lo sono il 90,2% dei laureati. Nello stesso arco di tempo, inoltre, tra le prime appaiono meno diffusi i contratti a tempo indeterminato (49,9% contro il 56,1% per i laureati) e più frequenti le occupazioni temporanee (17% contro 9,9%). Anche guardando agli stipendi la situazione risulta sbilanciata: la retribuzione media a cinque anni dalla laurea e per contratti a tempo indeterminato arriva per gli uomini a quasi 2mila euro mensili. Alle stesse condizioni, raggiunge per le donne appena 1.700 euro al mese.

Il gap di genere: dalla Finlandia in giù

Se l’Italia resta il fanalino di coda, chi fa meglio in Europa? E chi invece ha percentuali simili al bel Paese? Secondo Eurostat, considerando tutto il continente, è l’Islanda a conoscere il tasso più alto di occupazione generale. Nel 2024 aveva un lavoro l’87% dei residenti tra i 20 e i 64 anni di età. A seguire, nella terzina di testa, due Stati dell’Ue: i Paesi Bassi, che raggiungono una media totale del 83,5%, e Malta, che registra l’83%. A chiudere, invece, questa lista, la Turchia, dove sono solo il 58,2% gli occupati. Superata di pochissimo dalla percentuale registrata in Bosnia Erzegovina (58,5) e dai numeri italiani (67,1%, secondo quanto riporta l’istituto di ricerca europeo).

Questo terzetto resta la coda alla classifica anche guardando alle quote di occupazione femminile. Pure rispetto a questa voce, fa peggio di tutti la Turchia, con una media del 39,4% di donne che lavorano. Appena sopra, ancora una volta, la Bosnia Erzegovina (44,3%) e l’Italia che arriva al 57,4%. Lontanissime le quote dei Paesi in cima alla classifica. Con l’Islanda a confermare i numeri di occupate più alti (83,4%). Segue a poca distanza l’Estonia (80,9%) e la Svezia che si stacca da Tallin di un solo punto percentuale.

Anche guardando ai numeri relativi all’occupazione maschile, le nazioni agli estremi della lista europea appaiono quasi tutte le stesse.

Prima tra tutti ancora l’Islanda, che si conferma la più virtuosa con il 90,2% di lavoratori, e Malta (89%). Terza nel continente la Repubblica Ceca che vede l’88,4% di occupati uomini. All’opposto, peggio di tutti fa la Bosnia Erzegovina (71,9%) che in questo caso, però, è preceduta da Belgio (76,3%) e Croazia (76,5%).

In una prospettiva sia continentale che specificamente tra i 27 membri dell’Unione, persistono differenze nazionali anche molto profonde. Con alcuni, soprattutto ma non solo, i Paesi nordici e centro-europei, a registrare quasi sempre i numeri maggiori. È in queste aree, inoltre, che si trovano le nazioni dove il gap di genere è più basso, tanto da fare da traino e spingere, quindi, in su la media continentale.

Le quote migliori in questo senso arrivano dalla Finlandia dove nel 2024 il distacco tra occupati e occupate è stato di 0,7 punti percentuali. A seguire, con 1,4 punti di differenza, la Lituania e, appena dietro, l’Estonia (1,7 punti).  All’opposto, i Paesi dai gap più ampi risultano la Romania (18,1 punti), la Grecia (18,8). E, ancora una volta, l’Italia – ultima con una differenza di 19,4 punti. Quasi il doppio della media del blocco.

Spiegando le ultime rilevazioni, Eurostat nota anche che tra i 27 le nazioni con la forbice tra lavoratori e lavoratrici più bassa (sotto il 5%) registrano livelli occupazionali generali sopra la media Ue del 75,8%. E, all’opposto, i tre Paesi con la differenza più alta hanno le percentuali di lavoratori più basse: oltre alla quota italiana di 67,1%, la Grecia arriva al 69,3% e la Romania al 69,5%.


* Rapporto Cnel-Istat, “Il lavoro delle donne tra ostacoli e opportunità”, marzo 2025.

** Se l’ottenimento di un titolo di studio superiore offre maggiori opportunità di occupazione, il bel Paese non “produce” laureati a sufficienza. Nonostante la media europea di quanti ottengono questo titolo sia del 43% – quasi in linea con le indicazioni del Consiglio dell’Unione europea che ha posto il target del 45% entro il 2030 -, in Italia solo il 31% della popolazione tra i 25 e i 34 anni è in possesso di una laurea. Percentuale che scende al 24%, contro una media europea del 38%, se si considerano solo i numeri dei laureati maschi.

***

La newsletter di Alley Oop
Ogni venerdì mattina Alley Oop arriva nella tua casella mail con le novità, le storie e le notizie della settimana. Per iscrivervi cliccate qui.
Per scrivere alla redazione di Alley Oop l’indirizzo mail è alleyoop@ilsole24ore.com