Capelli afro al lavoro: perché l’apparenza conta ancora così tanto?

Le ricerche lo confermano: i capelli afro a lavoro sono un problema.

Secondo il Workplace hair acceptance report 2023, il 25% delle donne nere ha perso opportunità lavorative a causa dei propri capelli e l’80% sente di dover modificare il proprio aspetto naturale per adeguarsi agli standard aziendali. Le donne nere con capelli naturali hanno 2,5 volte più probabilità di essere percepite come non professionali rispetto alle colleghe con capelli lisci. Non sorprende, quindi, che due donne nere su tre cambino acconciatura per i colloqui e il 41% scelga di lisciarli.

La regola dell’ordine

È un istinto innocente che nasconde una narrazione sociale: i capelli afro continuano a essere percepiti come qualcosa di altro, di fuori posto, lontani da standard estetici dominanti e considerati professionali. Si tratta di discriminazioni sistemiche alimentate da bias e atteggiamenti quotidiani. Frasi come «posso toccarti i capelli?» o «come sei ordinata con i capelli legati!» esoticizzano e infantilizzano, riducendo la persona a oggetto di curiosità. Gli standard estetici non sono naturali, ma costruiti culturalmente e spesso escludono chi non si conforma. Per molte donne nere questa regola dell’ordine è un peso opprimente. Oltre che un ostacolo reale all’accesso a opportunità di carriera.

Dire che l’abito non fa il monaco sul lavoro è una dichiarazione di principio molto lontana dalla realtà. Sempre secondo il Workplace hair acceptance report, l’84% dei datori di lavoro considera i capelli lisci sempre appropriati, mentre solo il 64% ritiene accettabili treccine, dreadlocks o altre acconciature afro. Questi dati raccontano più di un problema di percezione: svelano storie di esclusione e microaggressioni che si ripetono ogni giorno. Minano la fiducia di chi li riceve e perpetuano standard estetici eurocentrici che penalizzano chi sceglie di non conformarsi.

Capelli afro: tra identità e pregiudizi

Le acconciature afro, poi, non sono una semplice scelta di stile: rappresentano un simbolo di identità culturale, un legame con le proprie radici e un atto di resistenzaMarc Chalufour, senior editor della Boston university, racconta che durante il periodo della schiavitù le texture e le acconciature naturali delle persone di origine africana venivano stigmatizzate e spesso eliminate con la forza, nel tentativo di conformare i tratti estetici agli standard eurocentrici dominanti.

Le pratiche culturali legate ai capelli, che avevano significati identitari e spirituali, furono cancellate come parte di un processo sistemico di deumanizzazione. Anche dopo l’abolizione della schiavitù gli standard estetici eurocentrici continuarono a essere imposti come misura di accettazione sociale e professionale. Texture lisce e capelli trattati chimicamente divennero simboli di rispettabilità, mentre le acconciature naturali erano spesso associate a povertà o ribellione.

Solo a partire dagli anni 60 i movimenti per i diritti civili hanno trasformato i capelli naturali in simboli di orgoglio e atti di resistenza: un modo per riaffermare la propria eredità culturale in un mondo che spesso ha cercato di sminuirla. Oggi portare capelli naturali o acconciature tradizionali è per molti una scelta di autodeterminazione, ma nei contesti professionali queste espressioni possono essere percepite come un problema da risolvere, piuttosto che un’identità da accogliere.

Quando i capelli diventano diritti: l’impatto del CROWN Act

Negli Stati Uniti è stato introdotto nel 2019 il CROWN Act (Creating a Respectful and Open World for Natural Hair), una legge per vietare la discriminazione basata sulla texture dei capelli e sugli stili protettivi, come dreadlocks, treccine, twist. L’obiettivo della normativa è garantire che le persone, in particolare quelle di origine africana, non siano penalizzate o escluse da opportunità lavorative, educative o abitative a causa delle loro acconciature naturali. Attualmente, il CROWN Act è in vigore in 25 stati americani e rappresenta uno dei primi tentativi legislativi di affrontare in modo esplicito il legame tra discriminazione estetica e razzismo sistemico.

Negli stati che hanno adottato il CROWN Act le istituzioni educative, i datori di lavoro e i fornitori di servizi abitativi sono obbligati a modificare le proprie politiche per garantire che texture e acconciature naturali non siano motivo di discriminazione. Questo significa che non possono essere applicati codici estetici che penalizzino le persone per il loro aspetto naturale, considerandolo non professionale o non appropriato.

Le persone che subiscono discriminazioni possono presentare denunce presso autorità competenti o intentare cause civili per ottenere risarcimenti economici e morali. Questi risarcimenti possono includere la compensazione per opportunità lavorative o educative perse e per il danno emotivo subito, oppure sanzioni pecuniarie. Tuttavia l’assenza di una legge federale lascia ancora molte aree degli Stati Uniti scoperte, rendendo le protezioni non uniformi e più difficili da applicare in modo sistematico.

Il CROWN Act ha già prodotto risultati concreti in diversi casi. In Texas, l’organizzazione non governativa ACLU (American Civil Liberties Union) ha denunciato alcune scuole per aver sospeso studenti con acconciature naturali, costringendo le istituzioni a rivedere i propri codici estetici discriminatori. In Ohio, un lavoratore ha intentato una causa contro il suo datore di lavoro per esclusione da promozioni a causa dei suoi capelli naturali, portando l’azienda a dover affrontare un’udienza legale. Un altro caso emblematico si è verificato in Iowa, dove un camionista licenziato a causa dei dreadlocks ha avviato un procedimento che ha attirato attenzione nazionale, sottolineando le lacune legislative nelle aree non coperte dal CROWN Act.

Anche in Europa la strada è lunga: la Francia ha introdotto una proposta di legge per tutelare le acconciature afro sul lavoro, mentre nel Regno Unito il movimento World afro day sta spingendo per includere i capelli afro tra le caratteristiche protette dall’Equality Act 2010, la legge contro le discriminazioni nei luoghi di lavoro. In Italia ancora niente, eppure viene difficile pensare che episodi di discriminazione basati sui capelli non siano presenti anche nel nostro Paese. Come al solito è una questione di priorità, e le priorità sono sempre strettamente legate alla prospettiva di chi ha il dovere di rappresentarci e il potere di decidere.

Quando i capelli influenzano la carriera e la salute

Nel mondo del lavoro gli stereotipi sull’estetica hanno conseguenze tangibili. Secondo uno studio della Fuqua school of business le donne nere con capelli lisci hanno maggiori probabilità di essere assunte rispetto a quelle con capelli naturali. Questo bias non solo limita l’accesso alle opportunità, ma alimenta anche un clima di conformismo che soffoca l’autenticità.

Durante lo studio sono state condotte quattro ricerche per analizzare come le acconciature naturali influenzino il reclutamento lavorativo. Nel primo studio, profili LinkedIn fittizi hanno mostrato che le donne nere con capelli naturali ricevevano valutazioni significativamente più basse rispetto a quelle con capelli lisci. Il secondo studio, basato su simulazioni di colloqui, ha rilevato che le candidate con capelli naturali erano percepite come meno professionali e meno competenti, con una probabilità inferiore del 25% di essere selezionate per un colloquio rispetto alle colleghe con capelli lisci o alle donne bianche. Il terzo studio ha evidenziato che questo bias è particolarmente marcato in settori con norme estetiche rigide, come la consulenza aziendale, ma si riduce in ambiti creativi. Infine, il quarto studio ha rivelato che gli stereotipi legati ai capelli naturali includono associazioni di disordine e non conformità, amplificando il pregiudizio.

Le pressioni per lisciare i capelli, poi, non riguardano solo l’immagine ma la salute stessa. Secondo il National institute of health l’uso di stiranti chimici, spesso incoraggiato per adeguarsi agli standard aziendali, è associato a gravi rischi: l’aumento del rischio di cancro uterino e al seno.

Oltre l’estetica: un nuovo modo di vedere il lavoro

Nel mondo del lavoro l’apparenza continua a influire su giudizi e opportunità. Nonostante spesso non ci siano regole formalizzate a indicarlo, le ricerche confermano che le acconciature afro sono percepite come inadeguate per un contesto professionale. La radice del problema è culturale: professionalità e affidabilità sono ancora associate a un’estetica eurocentrica e univoca.

Vale per i tatuaggi, i piercing, lo stile di abbigliamento, le acconciature e molto altro: se non ci si conforma alla maggioranza si rischia di perdere di efficacia. Assimilarsi e salutare i tratti distintivi della propria identità è la strada per il successo e la carriera. Anche se l’estetica di una persona non racconta nulla sulle sue capacità è spesso utilizzata come metro di misura per definirne la serietà o l’affidabilità.

Vale per tutto ciò che orienta i pregiudizi basati sull’estetica. Ma se un vestito, un tatuaggio o un piercing sono frutto di una scelta, la texture dei capelli non la scegliamo. Si tratta di muovere e smontare la natura delle nostre identità e dell’origine delle differenze che ci compongono.

Il problema dei capelli afro non è solo una questione di immagine, ma il simbolo di una battaglia più grande: la strada per riconoscere e valorizzare le differenze, senza relegarle a una posizione di marginalità.

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