Violenza sulle donne, il femminicidio di Aurora e la rete che non c’è

Quando una donna muore per mano di un uomo violento, nel 2024 in Italia, la conclusione da trarre è che la rete non ha funzionato. La rete sociale, quella della protezione, quella della prevenzione, quella familiare. Vuol dire che chi ha visto non ha capito, che se la donna ha chiesto aiuto non è stata creduta o ascoltata, che i segnali non sono stati colti, che la percezione del pericolo non era corretta. Ma se a morire è una ragazzina di 13 anni, già in affidamento ai servizi sociali, e a ucciderla facendola cadere da un terrazzo è un quindicenne che la minacciava, la seguiva e già in passato era stato violento con lei, anche in pubblico, la domanda “cosa non ha funzionato?” diventa un grido.

I segnali minimizzati

Aurora aveva 13 anni e una situazione familiare complicata, che aveva portato nel 2017 all’affidamento della bambina ai servizi sociali, che la seguivano. Sua mamma, intervistata da vari media dopo la morte della figlia, ha detto di aver segnalato i comportamenti violenti del ragazzo con cui Aurora «aveva avuto una relazione». Il Comune di Piacenza, con una lunga nota, ha subito smentito che ci fossero segnalazioni di comportamenti violenti, ma ha detto che «i servizi avevano raccolto alcune comunicazioni riferite al ragazzo frequentato dalla stessa figlia minore; la signora – si legge – lo riteneva una compagnia non gradita e riferiva una certa difficoltà a gestirne la presenza in casa, a volte anche notturna» e la stessa ragazza aveva raccontato come si trattase di un rapporto «segnato dalla gelosia da parte del 15enne». Tuttavia, il fatto che non fossero segnalati comportamenti apertamente violenti e non ci fossero denunce ha fatto sì che la situazione restasse quella che era.

L’avvocata: «Serviva un’indagine, Aurora poteva essere ancora viva»

«Aurora era affidata ai servizi sociali in forza di un decreto del tribunale dei minorenni di Bologna di giugno 2017 – dice l’avvocata della mamma di Aurora, Lorenza Dordoni – sicuramente quello che è mancato è un’indagine sul minore, i suoi comportamenti erano stati raccontati, lui la aspettava nelle scale anche di notte, per dire, ci sono anche i video che lo testimoniano». Si tratta, racconta l’avvocata, «di un ragazzo che era stato sospeso per aver minacciato un’insegnante in stato di gravidanza, era considerato da tutto il paese un bullo. Aurora poteva esser ancora viva e questo ragazzo poteva non essere in carcere se si fosse agito prima. Oggi i drammi sono due». I servizi sociali che seguivano Aurora hanno conosciuto il ragazzo dopo le indicazioni della mamma, ma nessun provvedimento è stato preso: «Hanno minimizzato», dice l’avvocata. Gli amici e le amiche di Aurora, testimoni, tutti minorenni, si sono messi a disposizione dell’autorità giudiziaria per descrivere chi è il 15enne e come si comportava con Aurora.

I modelli adulti

Un altro elemento di riflessione, che ci riguarda direttamente come adulti, come società tutta emerge dalle parole con cui è stato raccontato il rapporto tra i due ragazzini, 13 e 15 anni, ricordiamolo ancora. «Ho sentito parlare di relazione tra loro, ma dobbiamo renderci conto che si usano modelli adulti troppo facilmente e questo è molto pericoloso». Giuliana Torre è psichiatra e psicoterapeuta e si occupa da anni di tematiche legate al disagio dei più giovani. «Nel loro mettersi in realzione, i ragazzini di oggi hanno questa sorta di identificazione pseudo-adulta, sposano ciè un modello adulto che non appartiene loro e fa sì che perdano la spontaneità dello stare in relazione con l’altro propria della loro età». Di fatto spiega la psichiatra, mostrano «istanze di pseudo maturità imitativa di quello che vedono sui social, senza nessuna reale introiezione. E’ come se mandassero avanti una controfigura nella vita e si privano della relazione autentica, perché sono sopraffatti da modelli da seguire», che sono però modelli adulti, che nulla hanno a che fare col mondo interiore e con la maturità di un adolescente.

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Se stai subendo stalking, violenza verbale o psicologica, violenza fisica puoi chiamare per avere aiuto o anche solo per chiedere un consiglio il 1522 (il numero è gratuito anche dai cellulari). Se preferisci, puoi chattare con le operatrici direttamente da qui.

Puoi rivolgerti a uno dei numerosi centri antiviolenza sul territorio nazionale, dove potrai trovare ascolto, consigli pratici e una rete di supporto concreto. La lista dei centri aderenti alla rete D.i.Re è qui.

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