In Iran passate le elezioni, i tribunali tornano a opprimere il dissenso con sentenze brutali e a pagarne il prezzo sono soprattutto le donne. Eppure il neo eletto presidente il riformista Masoud Pezeshkian, aveva dichiarato: «Tenderemo la mano dell’amicizia a tutti. Siamo tutti gente di questo Paese, c’è bisogno di tutti per il progresso di questo Paese». Nel ballottaggio di venerdì 5 luglio ha ottenuto il 53,7% dei voti, contro il 44,3% del conservatore Saeed Jalili, ma a quanti dichiaravano vittoria perché aveva vinto il candidato più moderato rispondevano gli analisti più attenti mettendo in guardia sul fatto che poco sarebbe cambiato. Soprattutto per le donne, appunto.
Nuova presidenza, stessa “giustizia”?
Le esecuzioni di donne in Iran sono in aumento: secondo l’ong Iran Human Rights sono state almeno 220 dal 2010. Ben più del 10%, almeno 32, hanno avuto luogo nell’ultimo anno e mezzo. Durante la sua campagna elettorale, il nuovo presidente Pezeshkian aveva promesso di allentare le restrizioni sulle donne, opponendosi apertamente all’obbligatorietà di indossare l’hijab: «Rispetteremo la legge sull’hijab, ma non dovrebbe mai esserci alcun comportamento intrusivo o disumano nei confronti delle donne» aveva affermato durante il primo turno di votazioni tenutosi il 28 giugno. Una posizione ribadita anche nel secondo dibattito presidenziale del 2 luglio, durante cui il nuovo presidente aveva già sottolineato che: «Il mio governo si opporrebbe alla polizia morale e sono fermamente contrario a qualsiasi forma di coercizione contro qualsiasi essere umano», aggiungendo anche «Non abbiamo il diritto di costringere donne e ragazze e mi vergogno di questi comportamenti nei loro confronti».
Le rivendicazioni del movimento “Donne, vita, libertà” sono continuate anche durante le elezioni, ma il dissenso è sempre stato represso. Le attiviste per i diritti delle donne in Iran continuano tutt’oggi a subire misure dure e condanne severe per le loro convinzioni, secondo quanto hanno denunciato solo settimana alcune associazioni per i diritti umani.
Diritti delle donne, la situazione oggi in Iran
Un quadro di quella che è la situazione delle donne in Iran viene da Human Rights Watch, organizzazione non governativa internazionale, nel suo World Report 2024. Come sottolinea il rapporto, le donne in Iran continuano a subire discriminazioni di status personale relative a matrimonio, divorzio, eredità e decisioni relative ai figli. In base al codice civile, infatti, il marito ha il diritto di scegliere il luogo in cui vivere e può impedire alla moglie di svolgere determinate occupazioni se le ritiene contrarie ai “valori familiari”. In base alla legge sui passaporti, una donna sposata non può ottenere un passaporto o viaggiare all’estero senza il permesso scritto del marito, che può revocare tale permesso in qualsiasi momento.
«Le autorità iraniane hanno represso brutalmente le proteste di “donna, vita, libertà” scatenate dopo la morte del settembre 2022 nella custodia della polizia morale di Mahsa Jina Amini, una donna iraniano-curda, che uccide centinaia e arresta migliaia di manifestanti. Decine di attivisti, tra cui difensori dei diritti umani, membri di minoranze etniche e religiose e dissidenti, rimangono in prigione con vaghe accuse di sicurezza nazionale o stanno scontando condanne dopo processi gravemente iniqui. L’impunità delle forze di sicurezza è dilagante, senza indagini governative sul loro uso di forza eccessiva e letale, tortura, violenza sessuale e altri gravi abusi. Le autorità hanno ampliato i loro sforzi per far rispettare le leggi abusive sull’hijab obbligatorio. Le agenzie di sicurezza hanno anche preso di mira i familiari delle persone uccise durante le proteste» si legge nel rapporto.
I casi di femminicidio, poi, nonostante siano sempre più segnalati sui media e sui social, non sono contemplati dalla legge: l’Iran non ha una legge sulla violenza domestica per prevenire gli abusi e proteggere le sopravvissute. Come riportato dal quotidiano Shargh, in base alle statistiche ufficiali, almeno 165 donne in Iran sono state uccise da familiari maschi tra marzo 2021 e fine giugno 2023, una media di un omicidio di questo tipo ogni quattro giorni. Solo da metà marzo a metà maggio 2023, 27 donne sono state segnalate come assassinate nei cosiddetti “omicidi d’onore”.
A marzo, i media iraniani hanno riferito dell’avvelenamento di ragazze in almeno 58 scuole in 10 province del Paese da gennaio 2023. Le autorità hanno promesso di indagare, ma non hanno ancora fornito alcuna spiegazione concreta per gli incidenti. Lo stesso hanno fatto nel caso di Armita Garavand, una studentessa di 17 anni morta dopo 28 giorni di coma. I resoconti dei media hanno indicato che è caduta priva di sensi dopo essere stata aggredita da un agente di polizia che imponeva l’obbligo dell’hijab alla stazione della metropolitana. Le autorità hanno affermato che è caduta a causa di un «improvviso calo della pressione sanguigna» e hanno severamente limitato l’accesso dei media indipendenti alla sua famiglia e ai suoi amici.
Cosa potrebbe cambiare, dall’abolizione della pena di morte
La nuova presidenza riformista, dunque, rappresenta una piccola “breccia” in una “fortezza” da scalfire ancora profondamente: per quanto riguarda i diritti delle donne, la decisione finale resta alla guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, e al Consiglio dei guardiani, un organismo composto da 12 membri autorizzato a esaminare la legislazione.
Le loro decisioni vanno in contro tendenza rispetto a quanto affermato dal riformista Pezeshkian: il 21 settembre dello scorso anno, il parlamento iraniano ha approvato una bozza di legge sull’hijab con 70 articoli che propongono sanzioni aggiuntive, come multe, pene detentive aumentate fino a 10 anni per chi esprime opposizione alle normative sull’hijab e restrizioni sulle opportunità di lavoro e di istruzione per le violazioni dell’hijab. La legge amplia anche l’autorità delle agenzie di intelligence e delle forze dell’ordine nell’applicazione dell’hijab obbligatorio. Il 13 dicembre, l’Expediency Council ha confermato la bozza di legge.
Allarmanti sono anche i dati sulla pena di morte: secondo il rapporto annuale delle Ong Iran Human Rights e Ensemble Against the Death Penalty, l’Iran ha dichiarato la pena di morte per almeno 834 persone nel 2023, un aumento del 43% rispetto al 2022 e la cifra più alta dal 2015.
«Il numero delle esecuzioni è letteralmente esploso nel 2023 – evidenza il rapporto delle – È la seconda volta in 20 anni che il numero delle esecuzioni supera la soglia delle 800 all’anno»: le esecuzioni in Iran, uno dei Paesi che esegue più esecuzioni insieme a Cina e Arabia Saudita, vengono effettuate mediante impiccagione. Delle esecuzioni del 2023, almeno 22 riguardano donne: si tratta del numero più alto degli ultimi dieci anni che, sottolineano le ong, dimostra come l’Iran utilizzi la pena di morte come «strumento di repressione politica».
È il caso di Sharifeh Mohammadi, attivista iraniana ed esponente del Comitato di coordinamento per l’aiuto alla formazione dei sindacati in Iran: arrestata il 5 dicembre 2023, è condannata a morte dal tribunale rivoluzionario islamico di Rasht, nel nord dell’Iran, per il reato di “baghy”, ribellione armata, secondo l’articolo 187 del codice penale islamico.
In particolare, la sindacalista è stata accusata di propaganda contro lo Stato e di minaccia alla sicurezza nazionale a causa della sua appartenenza al Comitato di coordinamento per la creazione delle Organizzazioni del lavoro: il tribunale accusa il Comitato di essere affiliato al Partito comunista del Kurdistan iraniano, Komleh, che opera in opposizione alla Repubblica islamica con l’obiettivo di creare un Iran federale. Tenuta in isolamento per mesi senza poter ricevere visite, né fare telefonate, Mohammadi è stata sottoposta a torture perché firmasse una “confessione” di appartenenza al gruppo separatista curdo.
La sentenza di morte consolida i tratti della politica repressiva descritta dal premio Nobel Narges Mohammadi – detenuta nel carcere di Evin – in una lettera resa nota attraverso un post di lettres de Teheran: “la repubblica islamica ha trasformato le strade in campi di battaglia contro le donne per placare, attraverso il terrore e la paura, il dolore della sua illegittimità e del suo collasso e per nascondere la debolezza e il ridicolo delle sue pretese sulla scena internazionale”.
Dalle prigioni iraniane le donne cantano più forte
Nonostante l’oppressione rimanga la norma, il canto non si ferma. In Iran la rivoluzione delle donne non si arresta e diventa capillare in ogni piccolo gesto: se il regime proibisce la musica, le donne cantano più forte.
«Partire da sé», rimanendo unite, è la pratica femminista che dalle donne iraniane arriva a quelle di tutte il mondo: a Roma, alla Casa internazionale delle donne, le voci delle carceri iraniane sono arrivate attraverso il canto con l’evento “Le voci oltre le mura”, organizzato lo scorso 16 luglio dal collettivo “Donne in Cammino” della Casa Internazionale delle Donne in collaborazione con l’Associazione Donne Libere Iraniane.
Come spiega ad Alley Oop Zahra Toufigh, attivista per i diritti umani e tra le fondatrici dell’associazione Donne libere iraniane, “In Iran alle donne è proibito cantare. Ma loro continuano a farlo lo stesso tutti i giorni, coraggiosamente, per strada. Le loro voci difendono la pace e la voglia di vivere, dimostrando che questa è più forte di tutto”.
Partendo dalle letture di testimonianze delle attiviste detenute in Iran, tratte dai “Diari dal carcere” di Sepideh Gholian e “Più ci rinchiudono, più diventiamo forti» di Narges Mohammadi (Premio nobel per la pace del 2023), le loro voci risuonano più forti in musica con il coro “Madamadoré” e ricordano perché, a quasi due anni dalla morte di Mahsa Amini, la rivoluzione delle donne in Iran deve continuare a riguardarci: «Il grido delle donne iraniane Donna, vita, libertà è diventato il grido per la liberazione di tutte le donne e la difesa dei loro diritti – racconta ad Alley Oop Maura Cossutta, presidente della Casa internazionale delle donne – Non solo: il messaggio delle donne iraniane rappresenta la voce di tutte le persone che resistono contro le oppressioni, le dittature e le guerre. Guerra del patriarcato inclusa, la più feroce».
La denuncia della disumanità del carcere, dei capi d’accusa pianificati nei confronti delle prigioniere, delle torture e violenze patite, si trasforma in una forma di resistenza contro le autorità che varca le mura delle carceri attraverso i loro diari e le loro voci.
«Raccontare il carcere iraniano e la vita delle detenute significa far luce sul sistema giuridico del paese e sui disagi sociali e culturali causati da leggi ingiuste – sottolineano le organizzazioni promotrici – Attraverso le nostre voci intendiamo essere una cassa di risonanza per mettere in evidenza movimenti di resistenza che hanno preso forma, all’indomani della rivoluzione iraniana del ‘79 e che continuano fino ad oggi».
Donna, vita, libertà: un “monito” per le donne di tutto il mondo
Al centro di tutte le testimonianze, la capacità di azione delle donne: un messaggio che diventa universale e, come evidenzia Parisa Nazari, mediatrice interculturale e attivista per i diritti umani, «rappresenta un monito anche per le donne italiane: ricordare sempre di non tacere. Donna vita libertà non è un semplice slogan ma una visione del mondo che mette al centro la forza delle donne. Ed è quello che sentiamo scivolare anche nel mondo democratico. Per questo è importante rimanere unite. Tutte le donne del mondo sono soggette alle discriminazioni. Essere in un posto come la Casa internazionale delle donne, fondamentale per la lotta femminista in Italia, ci ricorda che dobbiamo lottare per i nostri diritti: restare accanto al popolo iraniano è un modo per affermare che crediamo negli ideali di democrazia».
Proprio da qui, al termine dell’evento, è partita la campagna di mobilitazione per la liberazione di Sharifeh Mohammadi: «Donna, vita, libertà è uno slogan universale che riguarda tutte le donne del mondo per proteggere i diritti acquisiti ma anche per ottenere quelli che ci vengono negati – afferma ad Alley Oop l’attivista Zahra Toufigh – La rivoluzione delle donne iraniane è una lotta per la vita».
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