Lavoro, perché siamo insoddisfatti ma meno pronti a cambiare

Solo una persona su due in Italia è soddisfatta del proprio lavoro. Eppure, non fa nulla per cambiare. È la fotografia di un capitale umano bloccato quella che arriva dall’indagine Hopes and Fears Global Workforce di PwC. Lo studio, condotto su quasi 56.600 lavoratrici e lavoratori in 50 Paesi al mondo, evidenzia come le risorse umane italiane siano le meno proattive in termini avanzamento professionale. Solo il 54% delle persone che lavora (-6% rispetto al dato globale) è soddisfatta del proprio impiego, ma non chiede una promozione o un aumento e solo il 22% degli italiani lascerebbe il lavoro nei prossimi 12 mesi, contro il 28% a livello mondiale.

Il lavoro che vorremmo

Cosa rende un lavoro interessante per il capitale umano italiano? Senza dubbio, la retribuzione adeguata (votata dall’88% del campione italiano e dall’82% a livello global), seguita dal coinvolgimento (81% e 74% a livello global) e dal fatto che il contesto sia sfidante (81% vs 55%) e collaborativo (75% vs 63%). Aspettative che, però, non trovano riscontro nella realtà: solo il 66% delle persone intervistate in Italia definisce il proprio lavoro appagante e il 62% adeguatamente retribuito. Ma la possibilità di chiedere un aumento di stipendio è sposata solo dal 27% delle persone. La percentuale a livello globale è molto più alta: 43%. Capire cosa impedisce alle persone di mettere in atto l’evoluzione tanto ricercata è, forse, il punto più importante. Perché gli italiani e le italiane sono così arresi rispetto al loro malessere professionale, tanto da esserne quasi assuefatti? E, soprattutto, quanto incide la componente generazionale?

Come agiscono i giovani

La Gen Z è spesso criticata per la tendenza a saltare da un lavoro all’altro e per aver sposato un approccio che mette al centro delle priorità professionali il benessere mentale e l’equilibrio con la vita personale. Entrambe sono dinamiche di rottura rispetto al passato che, proprio per questo, possono risultare di difficile comprensione. Eppure, proprio in queste tendenze si trovano molte delle risposte che stiamo cercando. In sintesi: lavorare meno, ma meglio.

Basta guardare al modo di approcciare alla formazione: il 51% dei giovani tra i 18 e i 27 anni afferma che l’opportunità di imparare nuove skills influisce sulla decisione di cambiare lavoro. Il disallineamento delle competenze è un altro volto del “job hopping”. La percezione dello skill mismatch, infatti, è più accentuata rispetto alla media globale e lo è soprattutto tra la Gen Z: il 61% dei giovani italiani non ritiene il proprio profilo completamente in linea con le competenze richieste dalla mansione svolta.

L’impatto dell’intelligenza artificiale

A preoccupare è, soprattutto, l’intelligenza artificiale: in Italia solo il 5% delle imprese con almeno 10 addetti utilizza tecnologie basate sull’IA, contro una media europea dell’8%, e solo il 4% dei lavoratori intervistati dichiara di utilizzare quotidianamente l’intelligenza artificiale generativa, contro il 12% a livello globale. Guardando allo spaccato generazionale, l’utilizzo diminuisce all’aumentare dell’età: circa il 62% della GenZ ha utilizzato la GenAI almeno una volta negli ultimi 12 mesi, percentuale che scende al 42% per la GenX e al 25% per i Baby Boomers.

L’indagine dimostra, in particolare, una mancata percezione dei potenziali benefici dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale generativa alla propria carriera. Meno della metà dei rispondenti, infatti, crede che l’uso di GenAI possa migliorare la propria operatività in termini di efficienza (47%) e riduzione del carico di lavoro (40%), rispettivamente 14 e 10 punti percentuali in meno rispetto al dato globale.

Tra leadership e disincanto

In questo contesto,  solo il 55% dei rispondenti a livello italiano valuta positivamente la leadership della propria azienda in termini di comunicazione, competenze, fiducia, equità, tutela del benessere e valorizzazione dei dipendenti, dato che mostra ampi margini di miglioramento se confrontato con la media globale del 67%. Inoltre, rispetto alla media globale (77%), in Italia l’11% in meno comprende, crede e si sente partecipe della realizzazione degli obiettivi di lungo termine dell’azienda, segnando una partecipazione al futuro aziendale meno marcata. E forse proprio questa è la ragione del distacco e del disincanto con cui buona parte del capitale umano italiano guarda al lavoro.

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