L’estate da genitori: tra centri estivi, lavoro e spostamenti è vacanza?

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La scuola non è certo un parcheggio. Eppure, quando le aule scolastiche chiudono, per tre mesi le primarie e per due mesi i nidi e quelle dell’infanzia, i genitori che lavorano si scontrano con un enigma tuttora irrisolto: come destreggiarsi tra l’assistenza all’infanzia, gli orari lavorativi e le normali routine della gestione della casa, garantendo al tempo stesso uno standard educativo e formativo ai bambini, che così come non devono essere parcheggiati a scuola non devono esserlo nemmeno sui divani delle loro case? Il lavoro da remoto tanto diffuso in epoca post-pandemica ha senz’altro semplificato la vita in termini di spostamenti e gestione degli spazi, ma sul fronte stress la situazione appare invariata. Il paradosso è evidente: i bambini necessitano di un tempo di stacco dall’ambiente scolastico e di immersione nelle relazioni familiari, ma se entrambi i genitori lavorano è impossibile, o molto difficile, garantire un tempo di qualità ai figli.

Se i più fortunati possono contare su una residenza estiva, mare o montagna che sia, tra le cure di nonni o tate, la stragrande maggioranza dei bambini fino a 12 anni si ritroverà al traino di mamma e papà, soprattutto di mamma, dicono le statistiche. I centri estivi non sempre sono praticabili, comunque non per tutto il periodo vacanziero: nelle variabili tra pubblico e privato, tra Nord e Sud, tra città e periferia, le cifre vanno dai 45 ai 250 euro a settimana, e incidono pesantemente sul bilancio delle famiglie, soprattutto per quelle che hanno più di un figlio da gestire. Secondo le stime di Adoc, al Sud Italia un mese di frequenza (dal lunedì al venerdì con pranzo incluso) oscilla tra 250 e 300 euro a figlio, mentre man mano che ci si sposta in grandi città o al Nord, ecco che il costo sale fino ad arrivare a 500 euro e anche ben oltre, cifra che, per molte persone, rappresenta anche il 40% dello stipendio. Considerando poi che la vacanza familiare, per quanto breve, ha un suo costo ulteriore, diventa ancora più difficile far quadrare i bilanci. E il soccorso della quattordicesima mensilità non raggiunge quell’esercito in aumento di genitori liberi professionisti, figli del precariato, che invece in luglio e agosto incontrano le scadenze fiscali delle partite Iva.

Il periodo estivo e le meritate vacanze, avrebbero il compito di restituire le energie spese durante l’anno in recupero intellettuale, fisico, emotivo. Ma per paradosso, in queste situazioni diventano sede di uno stress inaspettato: una settimana di centro estivo, una dai nonni, una con mamma e papà in vacanza, una al lavoro di mamma/papà, e via così, in un continuo e faticoso cambio di routine. Per tacere dello stress dei genitori dovuto a organizzare gli incastri e gli spostamenti facendo quadrare i conti il più possibile. Sicuramente un costo più abbordabile dei centri estivi metterebbe una pezza al problema. Ma il discorso andrebbe approcciato a un livello più sistemico.

Ad esempio, in Europa è l’Italia a detenere il primato (con Lettonia e Lituania) della durata delle vacanze estive scolastiche: 13 settimane rispetto alle 10 settimane concesse in Svezia e Finlandia e le 6 della Germania, della Danimarca e del Regno Unito. Va detto che alcune legislazioni preferiscono concedere piccole pause scolastiche più frequenti durante l’anno, per cui il numero di giorni liberi è lo stesso ma vengono distribuiti diversamente. Vero è che il nostro clima non è adatto a prolungare le lezioni nel periodo in cui l’afa diventa un disagio per grandi e piccini. D’altro canto periodi troppo lunghi di vacanza portano il rischio del “summer brain drain“, lo svuotamento del cervello in estate, teoria secondo cui una pausa eccessivamente lunga potrebbe portare lo svantaggio di far dimenticare ai giovani tutte le nozioni acquisite durante l’anno scolastico. Insomma, da qualunque angolazione si guardi il problema, non sembrano esserci soluzioni prèt-à-porter, ecco cosa vuol dire che occorrerebbe un approccio sistemico. Lasciare che le famiglie gestiscano in solitudine il carico economico e psicologico delle chiusure scolastiche, non può essere l’unica soluzione possibile.

E durante la vacanza?
Vi sarà capitato di vedere sui social uno di quei video del tipo “come una mamma si prepara ad andare in spiaggia”, dove lei è sommersa da una serie di incombenze per prendersi cura dei figli, seguita da “come il papà si prepara ad andare in spiaggia”, in cui vediamo lui indossare degli infradito, giornale sottobraccio e camminata rilassata. Beh, questo tipo di narrazione della genitorialità è tossica, inutile e nemmeno fa più ridere.

Un figlio ti cambia la vita, si dice sempre, per cui non ha veramente senso pensare che la vacanza possa rappresentare lo stesso tipo di relax e leggerezza di quando i figli non c’erano. Si può andare in vacanza dal lavoro, ma non dalla genitorialità, e anche lontano da casa i figli richiedono attenzioni, intrattenimento, educazione e cure fisiche. Detto questo, allentare un po’ la tensione delle aspettative è utile sia ai bambini che ai genitori. Una settimana di pasti a base di gelato, pizza e tramezzini, anzichè un calcolo bilanciato di proteine e nutrienti, non bloccherà la crescita dei bambini. Andare a letto con la salsedine senza fare la doccia non rovinerà la loro epidermide in modo irrimediabile. A questa generazione di genitori, consapevoli emotivamente e preparati pedagogicamente, va ogni tanto ricordato che la perfezione è fatta di piccole imperfezioni e che la spasmodica necessità di uniformare i figli a certi standard di vita è un’esigenza squisitamente adulta e non propria dell’infanzia.

All’incredibile mole di articoli con i consigli fondamentali per alleggerire lo stress delle famiglie in vacanza, si aggiunga dunque un consiglio utile non solo in famiglia, ma in tutti i campi della vita: mettersi nei panni dell’altro. Osservarsi, conoscersi, ascoltarsi. Se si vive in un ménage in cui i papà sono capaci di prendere il giornale e andare in spiaggia senza pensare alle creme solari e alle borracce di acqua fresca, le mamme possono imparare quella leggerezza, delegare i compiti in modo chiaro a tutta la famiglia e liberare la mente da alcune responsabilità. (Amica, lascia che ti dica una cosa: non è che se non lo fai tu non lo fa nessuno, è che se continui a farlo tu non lo impara nessuno). Allo stesso modo, se l’ansia organizzativa di un membro della famiglia ne appesantisce l’umore, l’altro adulto di casa può spontaneamente alleggerirne il carico assumendosi alcuni oneri, senza aspettare che gli venga detto cosa fare. Svolgere dei compiti è molto diverso dal condividere le responsabilità, e solo nel secondo caso otteniamo un vero sollievo mentale per l’altra persona.

Ma soprattutto, occorre ricordare una cosa, che impariamo dall’etimologia della parola “vacanza”: deriva da vacans, participio presente di vacare “essere vuoto, libero”. È a questo che serve il periodo di stacco dalla quotidianità. A svuotarla il più possibile da impegni, fatiche e pesantezze. Si può non fare niente, nessuno ce lo ha mai detto. Si può non cucinare per qualche giorno, non lavare i piatti, non andare all’alba al mercato del pesce per prendere le vongole che tanto amano. Senza sensi di colpa. Nè tantomeno viverlo come una rivincita. È un gesto che se compiuto con gentilezza, verso noi stesse prima di tutto, è un ridefinimento degli spazi che tutte e tutti meritiamo. Anche per più di una settimana l’anno, in verità.

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  • Roberta Corongiu |

    Salve,
    Mesi fa, in previsione dell’ennesima organizzazione pre estiva, colta da sconforto, ho scritto una mail al ministro dell’istruzione, ovviamente senza aver alcuna risposta; nella mail ho esposto lo stesso pensiero di quanto detto nell’articolo.
    Aggiungo che forse, se voluta, una soluzione, una riforma si potrebbe attuare, a giovamento di tutti.
    Se ci fossero “ break” scolastici più frequenti ma corti, le famiglie gestirebbero meglio le ferie X stare con i figli, i bambini non avrebbero buchi temporali da una routine scolastica, non ci sarebbero congestioni X le partenze, strade o mezzi di trasporto, non ci sarebbero aumenti spropositati di costi di soggiorno nelle città perché la gente potrebbe distribuire le vacanze durante tutto l’anno, senza speculazioni.
    L’economia intera ne gioverebbe, l’equilibrio familiare, di tutta la società ne gioverebbe.
    Grazie per aver portato alla ribalta un problema tanto sentito ma di cui nessuno parla

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